2021-07-18
È di Ischia il piatto che fa inorridire il Me too
La letteratura gastrocuriosa si è esercitata sul come e perché sia stata battezzata puttanesca una storica e semplice ricetta: gli spaghetti alla marinara. E non è la sola stranezza culinaria dell'isola in mezzo al Mediterraneo, set dei grandi del cinema.Le sue origini risalgono all'antica Pithecusa, il primo insediamento greco sulla penisola. Una sorta di emporio multietnico sulle rotte del Mediterraneo condiviso con etruschi e fenici. Per i romani insula visca, italianizzato poi in Ischia, posto che, dalla boscaglia, si otteneva una resina utile per rendere impermeabili le anfore per il trasporto del vino, di cui da sempre l'isola è stata generosa fonte di Bacco. La sua origine vulcanica l'ha resa importante riferimento per le cure termali, come testimoniato da Strabone. In origine, per greci e romani, rimedio alle ferite di guerra. Riscoperta poi nel rinascimento e valorizzata in epoche successive dalle soste rigeneranti di personaggi quali Camillo Benso di Cavour, Giuseppe Garibaldi, Arturo Toscanini. Proiettata nello star system del boom economico da Angelo Rizzoli, editore illuminato. Incuriosito a investire nell'isola per il rilancio delle terme dall'amico medico Piero Malcovati, dopo un primo soralluogo a Lacco Ameno se ne sbottò in meneghino con «questo non è un buon affare, ma Ischia è selvaggia, e per questo stupenda». Il giorno dopo prese dimora nella settecentesca villa Arbusto, ora diventata Museo. La Cineriz del vulcanico Rizzoli scelse l'isola quale scenario ideale per svariati film, passe partout in technicolor per farne conoscere le svariate bellezze. Ciak si gira di maestri della settima arte, da Vittorio De Sica a Billy Wilder. Testimonial international, quali Liz Taylor o Maria Callas. Ecco che Ischia si trasforma. Da enclave contadina a controcanto della già famosa Capri. Due bellezze diverse, laddove questa isola circondata dal mare, con salde radici sulla terra, è storicamente divisa, come ricorda lo chef indigeno Nino Costanzo tra «marecoppe» (il mare di sopra) e «marevascio» (il mare di sotto). Il tutto all'insegna del calacala, un mantra locale che significa baratto, merce di scambio. Quando i pescatori tornavano dopo aver issato le reti dai fondali si avvicinavano ai muretti perimetrali a delimitare i terrazzamenti sulle vie dell'isola, le parracine, e lì i contadini calavano i cesti ricchi di frutta e verdura per ritirarli poi con totani, lampughe e qualche polpo. Caratteristiche isolane che i loro ambasciatori in loco, cuochi e trattori, cercano di tenere più vive che mai. Addentrarsi lungo storie e tradizioni raccontate dalla cucina locale è una autentica scoperta. Un instant classic la zingara, fette di pane tostato inventato agli inizi degli anni Settanta dai fratelli Trani. Una golosa farcia che vede in jam session maionese, prosciutto, lattuga, mozzarella e pomodoro. Ma è ora di sedersi a tavola per una gastromarathon che vi fidelizzerà a futura memoria. L'inizio un po' guascone con la puttanesca. L'etimo è solo apparentemente triviale, da locandine goliardiche con Alvaro Vitali e starlette associate. Vi è un'intera letteratura gastrocuriosa che si è esercitata sul come e perché del nome di quella che, in area campana, era una storica pasta con aulive e chiapparelli (olive e capperi), acciughe e pomodoro, ma che sui menù dell'epoca poteva anche essere una semplice spaghetti alla marinara. In realtà una disputa in famiglia. Nella sua villa Rosica il pittore con l'hobby culinario, Eduardo Colucci, la offriva agli amici, da Luchino Visconti ad Anna Magnani, offrendo il bis a Vittorio Gassman. In realtà, pur rispettando gli ingredienti dello zio, il nome vero e proprio è nato qualche anno dopo quando il nipote, l'architetto Sandro Petti, ha dovuto affrontare una sfida tra amici per mettere sul piatto qualcosa sul fare della mezzanotte. Così l'ha raccontata ad Anna Maria Chiarello. «Mi chiesero di fare qualcosa, con quello che avevo in cucina». «Ragazzi, vi posso preparare quello che trovo». «Massì, facci una puttanata, basta che ci passi la fame». «La chiamai puttanesca, perché non mi sembrava carino chiamarla puttanata». Questo non gli valse l'assoluzione del vescovo di Ischia, Ernesto De Laurentis, che gli fece una pubblica reprimenda quando la notizia finì sui giornali. Gli orti ischitani sono custodi di antiche meraviglie giunte sino a noi, come ad esempio i cucuzielli, piccole zucchine che hanno trovato testimonial catodica un'entusiasta Benedetta Parodi. Ideali allo scapece, con foglioline di menta. Da non perdere le pizzette di sciurilli, i loro fiori (di un verde che sfuma in un arancio brillante) soffritti in pastella. A Campagnano li chiamano l'oro nero della terra, anche se, in realtà, sono di un intrigante rosso scuro con striature bianche. Sono i fagioli zampognari, salvati dall'oblio grazie a Slow food che ha tenuto vivo il lavoro dei pochi coltivatori rimasti. Detti così perché, durante la crescita, la pianta si avvolge attorno alla canna di sostegno a ricordare i lacci delle calzature degli zampognari. Coerenti anche in pentola, si gonfiano a ricordare la zampogna, appunto. Il primo a valorizzarli il botanico Giovanni Gussone, nel 1854. Ideali nella «marenna», una merenda da spiaggia con bruschette di pane cotto a legna, anche se ve li potete gustare seduti comodi con la classica pasta. Qui sull'isola si usa buttare nella pentola entrambi, così che tutto l'amido della pasta viene conservato, ecco perché la pasta e fagioli all'ischitana ha il suo tipico sugo denso e cremoso. L'Ischia piscatoria vi può offrire il meglio, ad esempio con il totano imbuttunat, ovvero imbottito con olive, pangrattato e aromi (la versione aristocratica prevede anche uva passa e pinoli), ma se volete divertirvi affidatevi alle mani sapienti di una della star dei fornelli locali, Pasquale Palamaro. Al suo tavolo il menù vi verrà servito su di una busta sigillata con cera lacca, che aprirete con apposito tagliacarte decorato con un cavalluccio marino. «Ischia è un'isola contadina e verace, ecco perché ho scelto di lavorare il pesce come le altre carni». Nascono così intriganti proposte. La soppressata di ricciola, il prosciutto crudo di tonno, la 'nduja di spigola. Sarebbe da volare nell'isola solo per questo. Ma Palamaro ha anche un'altra sfida, le meduse. «Stiamo sviluppando un progetto con il Cnr di Lecce e il supporto del professor Stefano Piraino per rendere commestibili queste creature marine anche per la legislazione europea, come già avviene in Asia». Ricche di proteine e minerali, croccanti dal gusto eclettico a seconda degli abbinamenti. Palamaro le propone con agrumi ed erbe mediterranee. Dalla notte dei tempi Ischia è famosa per il suo coniglio … sotterraneo. Ovvero con dimora nei vasti cunicoli di origine vulcanica. Alimentato rigorosamente con erbe locali in cui la marcia in più viene regalata dalla piperna, ovvero il timo serpillo. Una liturgia di preparazione che richiede arte senza guardare all'orologio, tanto da essere piatto della festa senza eguali. Vi è poi il pollo alla fumarola. Lo trovate dove non c'è il coniglio. Con il vulcano Eponeo dormiente da millenni dal ventre della terra escono i suoi umori, attraverso piccole gallerie che possono raggiungere temperature che vanno dai 30° ai 100°. Tradizione vacanziera vuole che si prenda il pollo opportunamente scomposto, lo si avvolga in carta stagnola e canovaccio e si lasci tranquillamente pipare il tutto sotto la sabbia mentre si va di tintarella a go go. Tra i peccati di gola ischitani non poteva mancare il maiale, con le sue particolarità. Come ha raccontato nell'Ottocento il giudice Gaetano Amalfi, gli isolani erano particolarmente risparmiosi. Ergo la macellazione avveniva in quaresima, epoca di digiuno, posto che tradizione vuole che, dopo il sacrificio del divin porcello, si faccia omaggio dei suoi tagli ad amici e notabili del luogo. «U signe», cioè il segno, il dono che, a seconda dell'importanza del pezzo donato, stabiliva l'importanza del rapporto personale. Da non perdere i cicoli, il grasso residuo reso croccante e da gustare con il panino del muratore: pane, cicoli, ricotta fresca e sale.