2021-03-31
Il re dei virologi fa a pezzi il lockdown: «Quel modello è già stato smentito»
Uno studio di John Ioannidis ha confrontato i risultati delle serrate totali e delle sole limitazioni alla mobilità arrivando alla conclusione che sono identici. Uno schiaffo ai chiusuristi che usano la scienza come una clava.Lockdown sì o no? Un interrogativo pesante, non fosse altro perché dalla risposta a questa domanda dipende il destino economico, sociale e psicologico, di centinaia di milioni di persone. Ma quello relativo alle serrate totali rappresenta anche il punto sul quale, nel corso dell'ultimo anno, sono inciampati i governi di mezzo mondo. Confortata dal giudizio della quasi totalità della comunità scientifica, la politica si è lasciata convincere della necessità di imporre una serrata totale. A mettere in dubbio l'efficacia del lockdown, decretando di fatto la sua sostanziale inutilità, è arrivata una ricerca pubblicata venerdì scorso sul prestigioso Journal of clinical epidemiology. Uno studio firmato, tra gli altri, dal celebre epidemiologo statunitense John Ioannidis e intitolato «Effect estimates of Covid-19 non pharmaceutical interventions are non robust and highly model dependent» («Gli effetti stimati delle misure nella lotta al Covid-19 di carattere non farmaceutico non sono solidi e risultano fortemente modello dipendenti»). Un nome una garanzia, quello di Ioannidis. Laureatosi in medicina con il massimo dei voti all'università di Atene, lo scienziato greco americano si è poi specializzato ad Harvard. Vincitore di numerosi premi, oggi Ioannidis ricopre l'incarico di professore all'università di Stanford, universalmente riconosciuto come uno dei migliori atenei al mondo. Per dare un'idea del valore della sua produzione scientifica, basti sapere che Google scholar gli attribuisce oltre 330.000 citazioni e un h-index, l'indice utilizzato per valutare l'impatto e la produttività scientifica, pari a 212. Tanto per citare due virologi nostrani, a Roberto Burioni viene riconosciuto un h-index di 33, mentre Fabrizio Pregliasco si ferma a 23.Non è il primo studio scettico nei confronti delle chiusure sfornato dall'epidemiologo di Stanford. Quest'ultimo, tuttavia, ha una caratteristica che lo rende forse ancora più autorevole. Per valutare l'efficacia del lockdown, Ioannidis e i suoi hanno infatti paragonato due differenti modelli elaborati dall'Imperial college di Londra, entrambi volti a capire l'evoluzione dell'indice di riproduzione (Rt) del Covid-19. Il primo, pubblicato a giugno 2020 su Nature, valuta l'effetto delle restrizioni (altrimenti dette «non pharmaceutical interventions», o Npi), misure che vanno dalla chiusura delle scuole, al distanziamento sociale, al divieto di grandi eventi, fino alla chiusura totale, e rappresenta la pietra filosofale dei «chiusuristi», dal momento che attribuisce ai lockdown nazionali «la riduzione dell'80% dell'indice di riproduzione Rt», e un risparmio in termini di vite umane pari a 3,1 milioni di persone in 11 Paesi europei. Il secondo, pubblicato a dicembre dell'anno scorso su Nature communications, prende invece in esame la variazione dell'Rt in funzione della sola mobilità (spostamenti e interazioni sociali).Traslando i due modelli sulle curve del contagio di 14 Paesi europei - tra i quali Italia, Francia e Germania - gli scienziati si sono resi conto che, al netto di effetti diversi sull'Rt attribuibili ai casi «sommersi» e alla differente capacità di testing, il risultato in termini di decessi giornalieri risulta praticamente identico. Secondo gli scienziati, gli effetti delle restrizioni «non sono solidi» e risultano «altamente sensibili al modello utilizzato, alle ipotesi e ai dati utilizzati per adattare i modelli». D'altronde, sottolinea il gruppo di Ioannidis, gli stessi due modelli realizzati dall'Imperial college arrivano a conclusioni diverse: se il primo considera il lockdown come la misura più efficace per arginare il numero dei decessi, il secondo in realtà attribuisce alle chiusure totali un beneficio minimo, se non addirittura nullo. Tradotto, attuando le misure base previste dal «modello 2» (riduzione della mobilità, distanziamento, uso delle mascherine e igiene), il risultato in termini di decessi sarebbe stato identico. Non proprio una bella notizia, segno che il virus «morde» indipendentemente dalle limitazioni messe in campo, ma quantomeno ci saremmo risparmiati un lockdown.Che problema c'è, potrebbe chiedersi qualcuno. Del resto per la scienza confutare le tesi e formularne di nuove rappresenta il pane quotidiano. Tuttavia, ammettono gli autori, il primo modello ha avuto un peso determinante nel condizionare la scelta del decisore politico di attuare le chiusure totali. E, sempre secondo gli scienziati, trascurare la «sostanziale incertezza del modello» quando si è trattato di applicare restrizioni «più aggressive» in grado di produrre «effetti più negativi su altri aspetti della salute, della società e dell'economia», ha rappresentato un errore madornale. Nessuno può tornare indietro per cambiare il passato e impedire l'applicazione di misure che oggi possiamo considerare sproporzionate. Ma perché alla luce di questi studi l'unica soluzione proposta contro il Covid, anche nel nostro Paese, rimane solo chiudere, chiudere e ancora chiudere? Una posizione ideologica, frantumata oggi dalla stessa scienza che i tifosi del lockdown invocano a ogni piè sospinto.
Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
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