2023-01-29
Invio di armi all'Ucraina, la retorica non basta. La maggioranza degli italiani dice no
Secondo un sondaggio di Euromedia, il 52% dei cittadini non approva gli aiuti militari e il 68% è contrario a un coinvolgimento della Nato. Un’opinione demonizzata dai media e non rappresentata in Parlamento.Sessantotto. Poiché non è mai stato un numero ma un simbolo, oggi quelle due cifre di granito sono il fallimento di chi lo ha fatto e ci ha costruito sopra un pensiero, un’ideologia, un riflesso condizionato politico. Mentre gli elettori del Pd (con il post sessantottismo marchiato su anime inquiete a stipendio fisso) e qualche atlantista fermo alla guerra fredda stanno orgogliosamente in trincea con l’elmetto, il 68,5% degli italiani è contrario al conflitto. Ne diffida e teme l’escalation nucleare. È l’aggiornamento di un monitoraggio tenuto mese per mese dalla sondaggista Alessandra Ghisleri e pubblicato ieri in prima pagina dalla Stampa, che fotografa l’umore dell’Italia profonda nei confronti della guerra in Ucraina. E conferma lo scollamento assoluto del Palazzo rispetto alle sensibilità frustrate del Paese reale.Piaccia o meno, i numeri sono altrettante sentenze. Il 78,2% degli italiani percepisce la guerra lontana (percentuale in aumento dal rilevamento di dicembre) e non ne vede la fine. Il 68,5% è contrario e boccia un eventuale ingresso diretto della Nato; qui è doveroso aggiungere che solo il 16,2% è favorevole (il 15,3% non si esprime). Altro tema, altra bocciatura: il 52% non vorrebbe inviare nuove armi a Volodymyr Zelensky (qui la forbice si restringe perché i favorevoli sono il 39,9%). Il 58% ritiene come minimo «pericoloso» mandare sul campo i panzer Leopard perché lo considera un ulteriore passo verso il coinvolgimento diretto e totale dell’Alleanza atlantica. Interessante l’approfondimento politico relativamente ai missili e ai tank in dono a Kiev: i partiti più bellicisti sono Azione (91%), Pd (68,1%) e Fi (56,2%) mentre quelli più scettici sono Lega (71,5% contrari) e M5s (66,4%).Il significato del sondaggio Euromedia non pone dubbi: a quasi un anno dal coinvolgimento strategico, l’Italia è stanca della guerra. «E il pensiero che la Nato debba intervenire direttamente» commenta Ghisleri, «stimola le paure più profonde degli italiani i quali, pur comprendendo l’aiuto necessario e dovuto nei confronti di un Paese violato nei suoi confini e nei suoi principi, leggono tutto ciò come un’importante crisi per la sicurezza europea. Ed è proprio lo stesso termine dei carriarmati “panzer” a evocare i terribili scenari legati alla seconda guerra mondiale in territorio europeo». A far correre il pensiero alle tre mattanze di Kharkiv e a quella di Kursk con i Tiger tedeschi lanciati e poi fermati nella pianura sarmatica dal fuoco sovietico non sono soltanto quattro nostalgici putinisti di professione, come l’infantile vulgata mainstream vorrebbe far credere. Il «sessantotto» sta a dimostrare che l’Italia è diffidente nei confronti di un’escalation destinata a portare truppe occidentali con «boots on the ground» in Ucraina. Il partito trasversale dei prudenti non è composto da vetero-pacifisti anni Novanta, intellettuali reazionari, gruppettari smarriti ma dalla maggioranza sempre più consistente del Paese. Quindi porsi qualche domanda, mettere lì qualche critica, chiedere che termini come «negoziato» e «tavolo di pace» entrino finalmente in gioco non è un esercizio residuale di smidollati al servizio dello zio Sergej Lavrov, ma un’esigenza concreta di una percentuale maggioritaria del Paese. Una percentuale che in Parlamamento non ha voce e non è minimamente considerata. La situazione è singolare: i rappresentanti del popolo (che si definiscono tali a pranzo e a cena facendosi scudo dell’esercizio democratico della delega) continuano a votare regolarmente contro la volontà del popolo medesimo. E lo fanno riparandosi sotto un arco costituzionale larghissimo perché alla fine anche Lega e pentastellati tendono ad allinearsi. È la conferma, del tutto pleonastica, della sovranità limitata e del vincolo esterno con i quali l’Italia deve fare i conti. Con un’aggravante tutta nostrana. Negli anni dell’Iraq e dell’Afghanistan una contrapposizione democratica delle posizioni era palpabile nel Palazzo e nelle piazze. Era espressa con manifestazioni a senso unico, con deliri in bandiera rossa e keffiah davanti alle basi Nato, con pretesti politici per far riaffiorare pulsioni veterocomuniste fuori dalla Storia. Ma c’era. E nessuno aveva paura di esprimere il dissenso nel rispetto delle posizioni. Oggi il pensiero del 68% degli italiani viene demonizzato, mistificato, macchiettizzato innanzitutto dal sistema mediatico a senso unico (con alcune eccezioni), appiattito sui diktat planetari di un presidente americano come Joe Biden, che non riesce a trovare la porta d’uscita da un convegno nel Wyoming, figuriamoci da una guerra continentale. In un continente che ovviamente non è il suo.L’unico obiettore con la spunta blu ormai è papa Francesco, al quale viene affidato un ruolo scontato, ministeriale, depotenziato dal «tanto non può dire altro». Nel frattempo i Leopard accendono i motori e l’intellighenzia trasversale che da un anno definisce i russi «quasi sconfitti» ha un motivo in più per esultare. Resta quel 68,5% di diffidenti. Forse saggi, forse spaventati. Certamente consapevoli degli effetti di un’escalation. E dell’impatto devastante - nella società occidentale dell’immagine - del rientro di una bara con la bandiera sopra.