2025-08-24
Investire sulle persone, senza paura. La banca rivoluzionaria di Giannini
All’età di 6 anni, il fondatore della Bank of Italy vide uccidere suo padre per un dollaro. Una ferita che generò una visione inedita: rapporti umani e profitto non sono in antitesi. E chi ha i calli sulle mani merita un credito.La figura che, nella prima metà del Novecento, ha rivoluzionato il sistema bancario americano, mettendo al centro il valore della persona piuttosto che la ricchezza, è l’italoamericano Amadeo Peter Giannini. La sua visione ha aperto la strada anche a progetti pioneristici nel campo tecnologico e infrastrutturale, nonché nell’ambito artistico e culturale negli Stati Uniti. A lui è dedicata una mostra del Meeting di Rimini, intitolata «Non si può morire per un dollaro. La rivoluzione di Amadeo Peter Giannini», collocata al padiglione A5.Giannini nasce nel 1870 a San José, in California, da una famiglia di immigrati italiani, giunti negli Stati Uniti dalla Liguria. Nel 1876, quando Amadeo ha sei anni, il padre viene ucciso davanti ai suoi occhi: l’assassino è un operaio che, non presentandosi al lavoro, non aveva ricevuto lo stipendio giornaliero di un dollaro. Da qui, Giannini apprende due lezioni: la prima è che «non si può morire per un dollaro», la seconda è che le relazioni nella comunità in cui si vive sono il cardine del benessere sociale. Dopo la scomparsa del padre, infatti, la famiglia di Giannini riesce ad andare avanti grazie al sostegno degli italiani presenti sul territorio. Si sposa nel 1892 con Clorinda Flores Cuneo e nel 1902 subentra nel consiglio di amministrazione della Columbus saving and loan alla morte del suocero, che ne era azionista. Diventa però consapevole che le banche agevolano chi possiede già una ricchezza a discapito di classi sociali meno abbienti, a cui viene precluso ogni accesso al credito. Dopo due anni dà le dimissioni, convinto che il sistema bancario deve essere invece il vero traino dello sviluppo sociale. La svolta arriva con la Bank of Italy fondata da Giannini nel 1904 a San Francisco per sostenere le fasce meno facoltose, dagli immigrati ai piccoli imprenditori. È l’occasione per concretizzare sul campo la sua visione: il rapporto umano e il profitto non sono in antitesi, anzi quest’ultimo dipende dal primo. Crea quindi una banca ad azionariato popolare in cui la proprietà è sottoscritta da persone che non hanno nulla a che fare con il settore bancario, tra cui pescatori e fornai. Non permette di possedere più di 100 azioni. I prestiti, «anche a partire da 25 dollari» e senza garanzia, sono concessi non in base alla ricchezza patrimoniale, ma guardando «i calli sulle mani» e la presenza della fede al dito: riconosce così chi vive in un contesto sociale di responsabilità. Amadeo, comprendendo che la banca deve essere vicina alle persone, inizia ad aprire altre banche e filiali. Crea dipartimenti che mirano a sostenere ogni ramo del tessuto sociale: quindi gestiti da donne e per le donne oppure dedicati all’educazione finanziaria dei bambini o volti a sostenere i migranti italiani, polacchi, irlandesi. Nel giro di due anni, i depositi della banca superano il milione di dollari. Quando, nel 1906, San Francisco viene colpita dal terremoto, Giannini offre «prestiti come prima, più di prima» senza garanzie, a chiunque volesse ricominciare: così il quartiere italoamericano di North Beach è tra i primi a essere ricostruito. Nel 1916 dà il suo contribuito alla Federal farm loan act, che mira ad aumentare il credito alle famiglie degli agricoltori rurali. Nel 1933 è nelle riunioni con i banchieri, volute dal presidente Roosevelt per decidere le misure da adottare per far fronte alla Grande depressione iniziata nel 1929. A tal proposito, nel bel mezzo della crisi economica, non licenzia i dipendenti e ordina di agevolare chi chiede finanziamenti per aumentare le attività produttive. Sempre in quel periodo, con l’economia in stallo, finanzia il Golden gate bridge, comprando tutto il pacchetto obbligazionario. Nel 1929 concede finanziamenti all’iniziativa Hetch Hetchy, il sistema idroelettrico che garantisce acqua corrente a San Francisco. Il suo sostegno arriva anche in Italia: nel secondo dopoguerra la Bank of Italy anticipa, senza interessi, i fondi previsti dalla Casa Bianca per garantire l’arrivo di beni essenziali nel nostro Paese. La sua visione coinvolge anche l’ambito culturale: ecco quindi che nel 1937 finanzia Walt Disney per completare Biancaneve ed è sempre grazie a lui che Il monello di Charlie Chaplin viene realizzato. Il suo contributo è essenziale anche per la nascita della Silicon Valley: nel 1939 concede un prestito a William Hewlett e David Packard, fondatori di Hp, per sviluppare l’oscillatore audio. Nel 1930 la Bank of Italy diventa la Bank of America: 15 anni dopo, quando Giannini a 75 anni dà le dimissioni, viene annunciato che la banca è diventata la più grande del mondo, con risorse maggiori ai 5 miliardi di dollari. Nello stesso anno, nel 1945, dona metà del suo patrimonio, ovvero oltre 500.000 dollari, alla Fondazione Giannini della banca d’America, creata da lui con l’obiettivo di finanziare la ricerca medica e garantire borse di studio ai lavoratori della Bank of America.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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