2025-01-26
Boom di investimenti stranieri sull’Italia: in un anno sfiorano il tetto di 180 miliardi
Gli acquisti dei titoli di Stato raggiungono i 114 miliardi. Segnale di forza, ma vuol dire anche che i dividendi finiscono all’estero.Seguire il flusso dei soldi che entrano ed escono dal nostro Paese è uno dei metodi per capire cosa stia realmente accadendo all’economia italiana. Quei flussi di denaro da e verso l’estero raccontano come gli investitori ogni giorno valutano l’Italia e il rapporto pubblicato venerdì da Bankitalia ci rivela novità molto interessanti, riguardanti anche il risiko bancario in corso.Continuiamo ad essere un Paese esportatore netto di capitali che è l’altra faccia della medaglia di essere un Paese con un importante saldo positivo della bilancia commerciale e delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. L’eccedenza di risparmio interno generata dal settore privato (famiglie e imprese) finisce investita all’estero. Ma questa tendenza negli ultimi due anni ha subito un rallentamento e, al contempo, sono in significativo aumento gli investimenti degli stranieri verso strumenti finanziari italiani, con una sostanziale impennata negli ultimi mesi del 2024, che è il fatto nuovo che emerge dai dati Bankitalia.L’Italia all’estero è tornata di gran moda. Investono in tutte le direzioni: azioni con finalità di controllo societario (i cosiddetti investimenti diretti), investimenti di portafoglio (investimenti con finalità puramente finanziaria), depositi presso banche residenti (classificati sotto «altri investimenti») e, soprattutto, titoli del debito pubblico italiano.Le cifre sono significative. Nei 12 mesi terminati a novembre 2024, tra investimenti diretti e di portafoglio sono entrati in Italia ben 178 miliardi (contro 117 dei 12 mesi precedenti e un deflusso di 45 miliardi nei 36 mesi precedenti). Di questi, 114 miliardi sono il flusso che è andato a favore di titoli pubblici, la cui consistenza in mano straniera era arrivata a 761 miliardi al 31 ottobre. Di rilievo anche gli acquisti di obbligazioni private e bancarie, per circa 41 miliardi.Quegli acquisti di titoli italiani si sommano a quelli dei 12 mesi precedenti (36 miliardi) e concorrono a chiudere completamente la «fuga» che nel triennio 2020-2022 aveva portato gli stranieri a disinvestire 123 miliardi dai nostri titoli pubblici. In quegli anni la Bce è stato l’unico «sceriffo» sul mercato dei titoli pubblici italiani, ponendosi come compratore netto di gran parte dell’offerta dei nostri titoli.Da metà 2023, quando la Bce ha cessato gli acquisti netti e i reinvestimenti, erano numerose le Cassandre che si chiedevano timorose cosa sarebbe accaduto alle emissioni del Tesoro. La risposta degli investitori è stata forte e chiara. Con la Bce e le banche in ritirata, ci hanno pensato gli investitori esteri e famiglie e imprese italiane (+44 miliardi nei 12 mesi terminati ad ottobre 2024) a comprare debito pubblico.Quindi tutto bene? Non esattamente. Infatti, più attività finanziarie italiane in mano straniera significa più flussi in uscita per pagare interessi e dividendi. A questo fine, i tassi offerti sul debito pubblico italiano, da quando è partita a luglio 2022 l’ondata di rialzi, sono stati un decisivo elemento di attrazione, dato il rischio (modesto) percepito dai mercati.E questo è diventato un elemento di debolezza per il nostro Paese, sotto un duplice aspetto. Da inizio 2023 è diventato negativo (10 miliardi e poi 14 miliardi nel 2024) il flusso annuo netto di pagamento di interessi e dividendi verso l’estero (redditi primari nella bilancia dei pagamenti). Questo ha significa un peggioramento non banale del saldo delle partite correnti che pur beneficiando del rinnovato saldo positivo della bilancia commerciale (+58 miliardi nei 12 mesi fino a novembre 2024, tornata ai livelli pre Covid), è decurtato dal flusso in uscita dei redditi primari.Pur continuando ad avere una posizione netta sull’estero positiva per circa 265 miliardi a settembre 2024 - cioè le attività finanziarie detenute dagli italiani all’estero sono superiori a quelle detenute dagli stranieri in Italia – è cambiato molto nella loro composizione perché gli investimenti degli stranieri sono concentrati su attività più redditizie, basti solo pensare alle partecipazioni bancarie in Italia di Credit Agricole e Bnp Paribas.Detto del ruolo del debito pubblico, l’altro punto debole è il settore bancario, dove negli ultimi 12 mesi gli stranieri hanno accresciuto enormemente gli investimenti di portafoglio in partecipazioni azionarie e sono stati acquistati da non residenti circa 40 miliardi di azioni bancarie e, al seguito, i relativi dividendi. Questi flussi hanno peggiorato la posizione netta sull’estero (già negativa) di tale settore.Movimenti che hanno peggiorato i nostri conti con l’estero e devono evidentemente aver suscitato qualche preoccupazione (non da oggi) dalle parti di Palazzo Chigi. È lo stesso motivo per cui la Francia, pur avendo una bilancia commerciale in pesante passivo, riesce a compensarla parzialmente con un rilevante flusso in entrata di interessi e dividendi, possedendo all’estero alcune galline dalle uova d’oro. Gli investimenti esteri sono un’arma a doppio taglio, perché vanno remunerati e potrebbero ripartire con la stessa rapidità con cui sono arrivati. Non è banale campanilismo.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
Continua a leggereRiduci
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)