2019-03-12
Invece di pensare agli agricoltori Coldiretti chiede nuovi immigrati
L'associazione: «Bisogna approvare subito il decreto flussi, oppure non si riuscirà a fare la raccolta». A Trento, sindacati contro i porti chiusi: «Con meno profughi le coop dell'accoglienza licenziano».Chi ha speculato per anni sull'accoglienza pensava che la pacchia dovesse durare per sempre. E ora che le nuove norme sull'immigrazione impongono di stringere la cinghia protesta. Dopo le cooperative rosse toscane e bolognesi con in testa l'Arci, si ribellano Coldiretti e i sindacati. Sull'agenda al primo posto non ci sono i problemi dei pastori sardi, delle produzioni agricole messe in ginocchio dalla concorrenza estera, degli allevatori lombardi, ma i porti chiusi. Guai a toccare il business dei migranti. Ne sa qualcosa il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti. Si ritrova i sindacati in piazza da quando ha annunciato i tagli a quelli che la giunta a trazione leghista ritiene dei privilegi. Con le bandiere della Cgil in testa, i sindacalisti si sono presentati dal presidente per mettere sul tavolo il solito tentativo di ricatto legato alla perdita di posti di lavoro. Ma a Trento la misura era davvero colma. E Fugatti appena si è insediato ha preparato un piano per correre ai ripari. Il primo gennaio ha chiuso i corsi di lingua e cultura italiana, dal primo febbraio ha ridotto il servizio di supporto psicologico. Dal primo aprile è prevista la chiusura del servizio di orientamento al lavoro. E poi sarà il turno delle coop. Ultimo punto dolente per i sindacati è la dismissione del 30% degli alloggi affittati dalla Provincia per l'accoglienza. La risposta è stata questa: da quando si è insediata la giunta a trazione leghista c'è una manifestazione al mese. L'ultima risale a sabato scorso. Il ritornello è sempre lo stesso: si lasciano per strada 140 dipendenti di coop e associazioni. «La verità è un'altra», ha spiegato Fugatti al quotidiano l'Adige, «l'emergenza profughi è finita e non ci sono più arrivi. Si sapeva che il sistema pensato qualche anno fa per fare in modo di essere in grado di ricevere in Trentino fino a 1.800 persone era a tempo determinato». E allora ieri Fugatti ha deciso di incontrarli i sindacati. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil del Trentino sono entrati subito in argomento: sono contrari allo smantellamento del sistema basato sulla diffusione dei richiedenti asilo sul territorio. «Ma dislocare i richiedenti asilo sul territorio», ha riposto Fugatti, «ha dei costi superiori rispetto alle collocazioni nelle strutture di Trento. Lo Stato passa 24 euro al giorno a migrante, la spesa da sostenere per accoglierli nelle realtà periferiche è molto più alta». La richiesta avanzata qua e là per l'Italia, non solo in Trentino, è di riaprire i porti. E non parte da un'organizzazione non governativa, né dall'opposizione in Parlamento. Si è fatta portavoce la Coldiretti.È sul ministero degli Interni che l'associazione di categoria fa pressing per l'approvazione del decreto flussi 2019, che dovrebbe aprire le porte a poco più di 30.000 migranti extracomunitari, di cui 18.000 stagionali. «Il caldo ha anticipato la maturazione dei raccolti che», spiegano da Coldiretti, «rischiano di rimanere nei campi senza il via libera all'ingresso in Italia dei lavoratori stagionali extracomunitari». I migranti servono per la raccolta delle fragole nel Veronese, delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna e dell'uva in Piemonte.Nel 2018 era stato autorizzato l'ingresso di 18.000 lavoratori stagionali provenienti da Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Corea, Costa d'Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia e Ucraina. «Molti di loro», secondo Coldiretti, «hanno trovato lavoro in agricoltura che, insieme al turismo, è il settore che ha offerto maggiori opportunità». Flussi aperti, quindi, per far respirare il settore agricolo. Ma restano da risolvere i problemi legati alla loro accoglienza, soprattutto al Sud. Smantellata qualche giorno fa, dopo anni di chiacchiere, la baraccopoli di San Ferdinando a Reggio Calabria, restano ancora in piedi i non luoghi pugliesi, lucani e campani. Tra Foggia e Palazzo San Gervasio, in Basilicata, c'è Boreano, località nella quale si concentrano i braccianti stranieri occupando casolari di campagna e creando dei veri e propri ghetti. A Metaponto, nelle strutture industriali dismesse della Felandina. Nella Valle del Sele, in provincia di Salerno, tra Eboli e Battipaglia, richiamati dalla raccolta di pomodori e verdura. Località, avvertono le forze dell'ordine, in cui ancora esiste il caporalato.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)