2020-06-21
Colpire il pm
non servirà a tacitare lo scandalo
Che dei giudici impedissero a un imputato di difendersi non si era mai visto, se non nei regimi dittatoriali. Invece è ciò cui abbiamo assistito ieri e a condannare senza appello l'accusato, vietandogli il diritto di dire ciò che pensa, sono stati proprio dei magistrati della Repubblica italiana, alcuni dei quali membri o ex membri di un'associazione che si dice democratica. Il colpevole senza possibilità di replica alle accuse a lui rivolte è Luca Palamara, pm egli stesso anche se sospeso, ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, l'uomo che da un anno sta involontariamente terremotando il mondo delle toghe, perché tramite il suo telefono sono state carpite conversazioni e messaggi che hanno scoperchiato il verminaio delle nomine nei tribunali. Palamara è stato sottoposto al giudizio del Comitato direttivo centrale dell'Anm, organismo che già per il nome non evoca nulla di buono, perché ricorda il Pci e il centralismo democratico, ovvero una gestione del potere nelle mani di pochi eletti. Il vertice dell'associazione doveva discutere la proposta dei probiviri di cacciare Palamara dal sindacato che egli stesso aveva presieduto per quattro anni. Ma quando lui e il suo difensore hanno chiesto la parola o per lo meno la possibilità di depositare una memoria scritta, il politburo dell'Anm ha respinto la domanda, decidendo di espellere il suo ex capo dall'associazione. La scelta è stata motivata da evidenti ragioni. Impedendo all'accusato di parlare, si intendeva evitare una chiamata di correità degli stessi vertici dell'Anm. Palamara è stato a lungo il capo di una corrente tra le più importanti della magistratura e da capo ha gestito gli accordi con le altre organizzazioni, garantendo anni di spartizioni dei vertici degli uffici giudiziari. Grazie a lui si nominavano procuratori capo di importanti città. Per suo tramite si faceva o non faceva carriera. E sempre con il suo consenso si sceglievano i vicepresidenti del Consiglio superiore della magistratura. Sì, Palamara era uno dei tre o quattro magistrati più potenti d'Italia: non per la funzione ufficialmente ricoperta, ma per il potere che esercitava sul percorso professionale di ciascuna toga. Infatti era blandito e inseguito da tutti. Ed è questa la sua enorme colpa. Il suo telefono è stato chiamato da tanti e lì sono custoditi anni di segreti e di messaggi con i colleghi. Peccato che il cellulare, a causa di un'inchiesta che ha visto il pm indagato (al momento è caduta l'accusa più grave, quella di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio), sia stato messo sotto controllo per ordine della stessa magistratura e, da muto custode di inconfessabili patti, ha cominciato a parlare. Le trame contro i ministri non graditi, gli scambi con la politica, le guerre tra bande fra le stesse toghe e le smanie di carriera all'ombra della Giustizia sono così state svelate. Anni e anni di manovre e di degenerazione delle correnti, improvvisamente emersi alla luce del sole e al giudizio dell'opinione pubblica grazie al deposito degli atti d'indagine che un solo giornale, La Verità, ha pubblicato e messo online senza alcuna censura. Il capo dello Stato, dopo essersi detto sconcertato dal mercimonio, ha parlato di «modestia etica di molte toghe», perché lo scandalo getta un'ombra inquietante sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura e non sul solo Palamara. Ma invece di fare pulizia, di andare fino in fondo, di costringere il Csm alle dimissioni attuando una riforma degna di questo nome del parlamentino dei giudici, l'Anm che ha fatto? Ha imbavagliato il suo ex capo, negandogli il diritto di difesa e condannandolo all'espulsione. Il comitato centrale sperava di evitare l'arringa di Palamara. Ma così non è stato, perché un secondo dopo essersi sentito vietare la possibilità di parlare, l'ex presidente dell'Anm ha distribuito alle agenzie l'intervento che avrebbe voluto leggere davanti ai suoi giudici. Il testo è un atto d'accusa contro quegli stessi magistrati che lo hanno condannato. Palamara punta il dito dicendo che se lui è colpevole di aver gestito la spartizione delle Procure e di aver agevolato carriere a scapito di altre, anche molti di coloro che lo hanno messo sul banco degli imputati per poi sanzionarlo lo sono ugualmente.Se zittendo Palamara il Politburo dell'Anm sperava di silenziare lo scandalo, beh diciamo che ha ottenuto l'effetto contrario. Oggi più che mai alla sbarra non c'è l'ex capo dell'Associazione nazionale magistrati, ma l'intero sistema delle nomine e dunque lo stesso Csm. Luciano Violante, l'uomo che - a torto o a ragione - è stato a lungo ritenuto il capo del «partito dei giudici», ieri su Repubblica ha scritto un articolo dal titolo: «Perché serve un altro Csm». In esso, l'ex presidente della Camera sostiene l'urgenza di una riforma del Consiglio: «Non intervenire mette a rischio la credibilità dell'intera magistratura». Tappare la bocca a Palamara non basta insomma a tacitare lo scandalo, come dimostra l'intervista che pubblichiamo qui a fianco.