2025-06-07
Enzo Fusco: «Col piumino Onda è nata una nuova icona»
Il patron di Blauer Usa: «È amatissimo dai ragazzini, tanto che vedo una miriade di imitazioni in giro. Oggi i clienti cercano un mix di comfort, funzionalità tecnica e fashion: se si riesce a metterli insieme si fa bingo. Fondamentale l’archivio».Creativo visionario e imprenditore tenace, Enzo Fusco è uno di quei nomi che hanno riscritto le regole del fashion in Italia, coniugando estetica e funzionalità come pochi altri. Fondatore di Fgf industry e mente dietro il rilancio di marchi iconici come Blauer Usa, Fusco ha sempre guardato alla moda come a un linguaggio che deve parlare di identità, qualità e innovazione. In questa intervista, ci racconta il suo percorso e il futuro della moda secondo la sua visione. «La situazione», racconta Fusco, «è un po’ preoccupante. C’è una crisi generalizzata, la gente è influenzata dalle notizie nefaste di tutti i giorni. Le nuove generazioni preferiscono fare un weekend o un apericena in più e comparsi un giubbotto in meno. Non gliene frega niente di mettersi una T-shirt o una giacca della stagione scorsa, anzi. Sta tornando l’heritage, è diventato trendy». Perciò anche le collezioni si adattano a queste nuove richieste? «Quest’anno, nell’estivo, per la prima volta abbiamo messo una linea che si chiama Garment, tinto capo dall’aspetto vintage. Diciamo che era nell’aria e piace molto. Sicuramente la tendenza è un po’ all’heritage, un po’ all’outdoor, un po’ al work. Se uno è bravo a mischiarli, rappresenta ciò che va per la maggiore oggi».Come si costruisce un’identità forte nel mondo della moda partendo da una formazione tecnica come la sua? «Prima di tutto si deve amare il proprio lavoro e poi sapere che è un grande impegno. Segue la ricerca che, come in ogni attività, è un po’ la base di tutto. E infine, avendo un po’ di anni sulle spalle, c’è l’esperienza per capire chi sei e dove vuoi andare. Nell’abbigliamento si può fare tutto, ma non è che mi posso mettere a fare Chanel se non stravolgendolo secondo le mie idee. Se vado a New York o a Londra e mi siedo a un tavolino, guardando 100-200 persone che passano, capisco quella che può essere la tendenza».Blauer Usa è diventato sinonimo di outwear urbano e funzionale. Qual è stata la chiave per trasformare un marchio tecnico americano in un’icona di stile italiana?«Devo dire che ci ha aiutato tantissimo il piumino, il piumino in generale. Siamo riusciti a creare un’icona anche in un momento come questo, cioè il giubbotto con l’onda, tutti i ragazzi impazziscono per averlo».Cosa caratterizza il piumino Onda? «La trapunta è a forma di onda, fatto con una piuma leggera ma molto calda. Di questi giubbotti se ne vedono in giro tantissimi, il 40% sono falsi, ci copiano in una maniera spudorata, brutti, con etichette vecchie. All’uscita di elementari e medie si possono vedere cinque ragazzi su dieci indossare la nostra Onda. D’inverno il 50% del nostro fatturato lo facciamo con la piuma. Piuma e sintetici: non dimentichiamo che noi siamo stati i primi a usare la plastica riciclata, le imbottiture con il famoso Sorona che è una ovatta di alta qualità».Negli anni lei hai spesso anticipato le tendenze. Quanto c’è di istinto e quanto c’è di strategia?«Direi istinto, perché faccio molta attenzione a quello che succede, quindi cerco di capire. Poi ho la fortuna di avere questo archivio meraviglioso che ho costruito in 40 anni di lavoro, quando vado lì mi chiudo dentro e lo guardo. Trovo sempre cose che avevo visto anche dieci volte ma non avevo notato, da lì traggo molti spunti. Poi ci sono delle cose che percepisci, forse fa parte proprio di una vita di lavoro. E vale anche per i colori. Fa parte del mestiere, della sensibilità».Moda e funzione sembrano due mondi opposti, come riesce a fonderli senza sacrificare l’estetica? «La moda è bella perché ci sono sempre tanti cambiamenti anche nei materiali. In questo momento ci sono dei poliestere con finissaggio mano lana, tu lo tocchi e dici che bella questa lana, e invece è tutto poliestere. Tanti uomini vogliono il pantalone, la camicia stretch, molto confortevoli. Se riusciamo a dare comfort e tecnicità rendendoli un po’ fashion abbiamo fatto bingo. Un tecnico fashion può essere vincente». Le nuove generazioni sembrano andare sempre più verso capi autentici, veri. Secondo lei, la moda si sta finalmente riavvicinando alla sostanza? «Me lo auguro perché comunque quando parliamo di Blauer parliamo di un marchio che esiste dal 1936, che ha una storia, e i marchi veri hanno un grande valore aggiunto. Se i giovani cominciano ad apprezzarlo a me fa molto piacere perché è anche un fatto di cultura».Com’è cambiato il rapporto tra moda e comunicazione in questo senso? Il prodotto basta o serve costruirgli una narrazione intorno? «Bisogna costruire in parte una narrazione, il prodotto lo devi comunicare e lo devi spiegare, questo è molto importante perché la gente è preparata e vuole sapere quello che compra, quindi secondo me la narrazione è necessaria. E si deve fare una comunicazione che rappresenti il prodotto. Noi quest’anno per la campagna invernale abbiamo preso Bruce Weber e gli abbiamo fatto fare il servizio, ci siamo rivolti a un rappresentante della storia alla fotografia, questo dimostra un po’ come ragioniamo».