2025-09-11
«Previdenza integrativa in crescita, ma i giovani restano esclusi»
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Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello (Imagoeconomica)
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».
Il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello: «Dopo il 2022 il settore si è rilanciato con più iscritti e rendimenti elevati, ma pesano precariato, scarsa educazione finanziaria e milioni di posizioni ferme o con montanti troppo bassi».«La previdenza integrativa sta andando meglio ma non ancora in modo soddisfacente. Mancano all’appello gran parte dei giovani sfavoriti da un mercato del lavoro precario e che ha scarse retribuzioni. Pesa anche la scarsa educazione finanziaria». Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, fa il punto su un settore con cui i risparmiatori hanno ancora scarsa dimestichezza.Quale è lo stato di salute della previdenza complementare in Italia?«Direi buono, sebbene non entusiasmante. Il periodo negativo del 2022, caratterizzato da forti turbolenze sui mercati finanziari e da un rallentamento delle adesioni è decisamente alle spalle. Il 2023 è il 2024 si sono connotati per un deciso rilancio dei fondi pensione. Crescono il numero degli iscritti, i flussi contributivi e, soprattutto, i rendimenti, grazie a un contesto di mercato più favorevole, in particolare per gli strumenti azionari. Dalla Relazione annuale Covip del giugno scorso, emerge che le 291 forme pensionistiche complementari operanti al 31 dicembre 2024 contano un numero di iscritti intorno ai 10 milioni, ossia circa il 38 % della forza lavoro complessiva, con un incremento del 4% sul 2003. Questo aumento di iscritti è certamente rilevate. I fondi negoziali hanno ora quasi 4,1 milioni di aderenti, più del 5,5% sul 2023. I fondi aperti nel 2004 presentano oltre 2 milioni di adesioni, una crescita del 7 % sul 2023, e i Pip, i piani individuali pensionistici, si attestano a 3,7 milioni di posizioni. A trainare le nuove iscrizioni sono in parte i meccanismi di adesione automatica, in primis nel pubblico impiego, ma soprattutto la sempre più diffusa consapevolezza delle difficoltà legate al futuro sistema pensionistico pubblico. Le persone stanno acquistando coscienza del fatto che l’ordinamento previdenziale obbligatorio non sarà più in grado di garantire una copertura soddisfacente, a causa della metodologia di calcolo contributivo delle prestazioni, cosicché i fondi pensione rappresentano una compensazione necessaria per assicurarsi una anzianità tranquilla. Non mancano però le ombre: oltre 1,5 milioni di posizioni non sono oggetto di versamenti contributivi e un gran numero di esse recano montanti individuali di ammontare poco più che simbolici, del tutto insufficienti a dar luogo a una copertura pensionistica».I rendimenti soddisfano le attese del popolo della previdenza integrativa?«Il 2024 si è chiuso con rendimenti medi particolarmente significativi per tutte le principali tipologie di fondi. I comparti azionari dei fondi negoziali hanno registrato un risultato medio annuo superiore al 10%, mentre quelli dei fondi aperti hanno superato il 12%. L’andamento è stato nettamente migliore rispetto al 2022, quando i rendimenti erano risultati negativi a causa delle tensioni geopolitiche e dell’impennata dei tassi d’interesse e positivi anche sul 2023. All’attualità le riserve accumulate dalle forme pensionistiche complementari ammontano a circa 250 miliardi».Quale è il confronto con il Tfr lasciato in azienda?«Uno dei motivi per cui molti lavoratori subordinati non aderiscono a un fondo pensione con il loro Tfr è perché pensano che il rendimento di quest’ultimo sia maggiore. Ma basta guardare ai dati per rendersi conto del contrario. Nel 2023 la rivalutazione del trattamento di fine rapporto si è attestata all’1,9%, ben al di sotto dei rendimenti registrati dalle forme di previdenza complementare. Se consideriamo il lungo periodo il divario è ancora più importante. Negli ultimi dieci anni, i comparti azionari hanno garantito rendimenti medi annui superiori al 4%, contro una media del 2,4% del Tfr. Per converso le linee azionarie continuano a essere scelte da una quota ancora decisamente minoritaria di iscritti ai fondi, l’11,7%».Eppure nonostante questi vantaggi l’adesione è ancora bassa. Come mai?«Quello che mi sembra preoccupante è che mancano ancora all’appello grosse fasce di lavoratori e che, come dicevo, troppe posizioni di aderenti risultano non alimentate o presentano montanti di ammontare troppo esiguo. I giovani under 35, anche se in aumento, rappresentano appena poco più del19,% degli iscritti complessivi. La causa è in un mercato del lavoro caratterizzato da lunghi periodi di carriere discontinue e precarie, dalla difficoltà ad accedere con continuità al lavoro stabile e retribuito, cioè il primo presupposto per costruire una pensione integrativa solida. Rispetto al 2019, cioè in un quinquennio, vi’è stata una certa crescita, siamo al + 17, ma siamo ancora lontani da un livello ottimale. Questi dati sono preoccupanti perché, a fronte di pensioni di base che saranno sempre più leggere – oltre che per il giá ricordato metodo di calcolo degli assegni - anche per la difficoltà di avere versamenti contributivi regolari, la generazione dei trentenni si avvia a una senescenza con rendite pensionistiche di base molto basse».Quanto pesa la scarsa cultura finanziaria degli italiani?«In materia di previdenza in senso complessivo e di pensioni complementari in particolare, certamente vi è nel Paese un enorme gap conoscitivo ancora da colmare e questo vale per tutti i cittadini. Per quanto specificatamente attiene ai lavoratori precari (e ad altre fasce di soggetti deboli), a prescindere anche dalla conoscenza dello strumento, vi è, comunque, come ho detto prima, un problema di risorse economiche disponibili, che mi sembra, purtroppo, assorbente».Come si può incentivare l’adesione dei lavoratori ai fondi pensione?«L’argomento necessiterebbe di una lunga e articolata trattazione, toccando anche questioni oggettivamente problematiche e controverse, anche per la contrapposizione di interessi tra i soggetti in gioco. Tralasciando, quindi, di parlare di ipotesi tecniche di meccanismi di automatismo di iscrizione di vario genere, ribadisco – e sul punto, direi, il consenso è unanime – che per incentivare l’adesione ai fondi complementari da parte dei lavoratori tanto subordinati quanto autonomi il primo strumento è certamente l’informazione, la cultura finanziaria, il bagaglio di conoscenze previdenziali del singolo cittadino».Vi è l'ipotesi di utilizzare il TFR come rendita per consentire l'uscita a 64 anni, cosa ne pensa?«A parte che una misura del genere reputo incontrerebbe una profonda avversione da parte dei lavoratori potenzialmente interessati, non spenderei troppe parole su un intervento di cui sono del tutto sconosciuti i possibili meccanismi applicativi. Certo, il tirare in ballo il Tfr su questo tema non è un buon segnale nei confronti della previdenza complementare, che, com’è noto, trova in esso la primaria fonte di finanziamento, per quanto attiene al lavoro subordinato. Tra l’altro, proprio l’ordinamento della previdenza di secondo pilastro contempla istituti, veri e propri ammortizzatori sociali, suscettibili operare come ponte verso la maturazione dell’assegno pensionistico pubblico».Da gennaio 2027 dovrebbe scattare l'aumento di tre mesi per andare in pensione. Il sottosegretario Durigon promette di bloccare l'uscita a 67 anni. Quali opportunità?«Come tecnico che si occupa da parecchi anni di previdenza, sia pure prevalentemente della complementare, mi auguro vivamente che il congelamento dell’età per l'accesso al trattamento pensionistico non sia realizzato e che l'asticella si alzi, secondo le regole prefissate. Per dirla in tutta franchezza, non mi sembra che un aumento di qualche mese dell’età edittale minima per conseguire il diritto pensionistico possa configurarsi, comunque, come un’emergenza sociale, tanto più ove si consideri che la normativa in tema di lavori usuranti consente di risolvere le situazioni di effettivo disagio, anche con l’anticipo dei trattamenti».Il governo tedesco punta a una riforma per incentivare la previdenza integrativa: un versamento di 10 euro al mese da parte dello Stato in un fondo per la pensione futura per ogni bimbo dai 6 anni fino a 18. La somma sarebbe esentasse fino al pensionamento. In Italia un contributo simile investito in un fondo pensione potrebbe fruttare fino a 53 mila euro a 67 anni. Cosa ne pensa?«Se mi è consentita una battuta amara, considerato l’agghiacciante trend delle nascite in Italia, imitare l’idea tedesca, che confesso di non conoscere, non costerebbe davvero tanto! Battute a parte, di per sé l’iniziativa, che, in astratto, potrebbe anche essere positiva e, per certi versi, educativa nei riguardi del risparmio, non mi convince. Conoscendo il nostro Paese, non vorrei che ne scaturisse un qualche accrocco, tipo l’istituzione di un qualche fondo presso l’INPS per gestire queste somme. In definitiva, ove vi siano delle risorse da destinare alla previdenza complementare in favore dei giovani, negli anni Passati Assoprevidenza non ha mancato di fornire suggerimenti tecnici. All’occorrenza siamo sempre a disposizione per recuperarli e illustrarli».
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