2025-06-29
Batacchi: «Leonardo, Lockheed, Boeing. Ecco chi avrà più ordini dalla corsa agli armamenti»
Il direttore della Rivista Italiana Difesa: «Ai colossi americani andranno buona parte delle commesse, vantaggi anche per Iveco, Avio e la nostra filiera delle Pmi».«L’industria italiana ha solo da avvantaggiarsi dall’aumento degli investimenti in difesa. Gruppi come Leonardo, MBDA, ELT Group, Avio Aero, tutta la filiera aereonautica come Magnaghi, poi Iveco Defence Vehicles che già sono eccellenze a livello internazionale, diventerebbero ancora più competitive. E questo vuol dire commesse in tutto il mondo, più ricerca e sviluppo e più occupazione. Senza contare poi le ricadute sul settore civile poiché le infrastrutture militarmente strategiche sono anche a uso civile». Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa, traccia uno scenario dell’impatto che l’accordo scaturito dal vertice della Nato a L’Aia, avrà per l’industria militare europea e italiana in particolare e sul sistema Paese. Un accordo che segna una svolta per l’alleanza atlantica con l’impegno dei 32 Stati membri ad aumentare la spesa per la difesa entro il 2035 fino al 5% del Pil ma che è stato accompagnato da aspre polemiche soprattutto dalla sinistra.Innanzitutto questo 5% come sarà ripartito? «Un 3,5% della spesa andrà a investimenti di ammodernamento, per il personale che è la componente più grossa, la manutenzione dei mezzi, l’addestramento e tutte quelle attività che consentono di mantenere in efficienza l’apparato militare. Questa categoria è strutturalmente bassa. Negli ultimi tre anni in Italia, abbiamo visto un aumento delle spese per ammodernamento, quelle per il personale sono rimaste più o meno stabili ma quelle per il mantenimento di efficienza dello strumento militare sono rimaste basse. Quest’anno addirittura inferiori a 2 miliardi l’anno. Sono numeri preoccupanti. Poi c’è l’1,5% dedicato a spese collaterali, come le infrastrutture strategiche, ovvero i ponti, le strade, i sistemi ferroviari. Questi hanno una spiccata natura duale, cioè consentono in caso di guerra di spostare uomini e mezzi con rapidità ma in pace servono ai trasporti civili. Poi abbiamo un po’ di spese per la cyber, per la protezione da attacchi cibernetici, la tutela delle infrastrutture critiche come le condutture sottomarine che portano gas. Nell’1,5% c’è una parte significativa di investimenti di cui ne beneficiano le nostre industrie». Eppure c’è chi a sinistra sostiene che gli investimenti in difesa tolgono fondi al welfare, alla sanità. In sostanza impoveriscono il Paese.«È un ragionamento demagogico che ha come unico obiettivo di coltivare il proprio orticello elettorale, ma gli uomini di Stato devono guardare al futuro del sistema Paese. E tra i settori strategici del futuro, c’è la difesa. Senza sicurezza non c’è benessere. Quel welfare, modello europeo di cui tanto si parla, è stato possibile grazie alla garanzia politico militare della Nato, grazie al fatto che i Paesi europei durante la Guerra Fredda dedicarono una parte significativa del Pil alle spese militari. Questo consentì di creare un perimetro di sicurezza dentro il quale è stato possibile sviluppare ricchezza e stato sociale».E adesso cos’è successo? «La Nato, sulla spinta dell’amministrazione Trump ha deciso di aumentare le spese militari anche a causa degli avvenimenti internazionali. C’è il pericolo russo, l’instabilità nel Mediterraneo, nel Medio Oriente. La questione centrale è quella della supply chain, delle grandi catene di approvvigionamento soggette a instabilità. Per proteggere le fonti di approvvigionamento e le grandi vie di comunicazione, occorrono strumenti adeguati che sono militari ad alta tecnologia in grado di monitorare e fare da deterrente. Più un Paese ha potere dissuasivo e meno mette a rischio la sua sicurezza e i suoi interessi».Questa massa di investimenti non finirà per avvantaggiare l’industria bellica tedesca e francese più che quella italiana?«Direi di no. Ne beneficerà anche il nostro aerospazio da difesa che in Europa è secondo solo a quello francese. Oggi questo comparto è al vertice strategico dell’industria manifatturiera considerando anche la crisi dell’automotive. È un’industria assolutamente competitiva, che è in grado di competere a livello internazionale, mentre tanti settori della manifattura non lo sono più. Noi saremmo dunque beneficiari di tali investimenti. Si avvantaggeranno non solo colossi quali Leonardo, Fincantieri, MBDA, ELT Group, Avio Aero ma anche tutta la filiera di centinaia piccole e medie imprese, custodi di competenze e tecnologie».Chi polemizza sostiene che i maggiori vantaggi li avranno gli Stati Uniti. All’Italia andranno le briciole?«Non credo. È chiaro che oggi l’industria militare americana è la più forte e sviluppata perché ha sempre investito. Penso ai colossi Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing Defence, RTX (nata dalla fusione nel 2020 di United Technologies e Raytheon Company, ndr). Ma ne beneficeranno anche l’Europa e l’Italia. Per esempio?«Recentemente l’Italia ha acquistato 25 nuovi caccia Eurofighter il cui valore per il 36% dipende da Leonardo che realizza importanti componenti strutturali e elettronici. Dire che i vantaggi saranno solo per gli americani è un esercizio di retorica. In Italia oggi è in corso un potenziamento della supply chain dello spazio e difesa molto importante e questo dipende dal fatto che ci saranno gli investimenti. Altrimenti compreremo solo dagli americani, ma non è così».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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