2025-07-19
La Pietra: «La pesca affoga sotto l’onda del Green deal»
Patrizio Giacomo La Pietra (Imagoeconomica)
Il sottosegretario alla Sovranità alimentare: «La manovra 2028-2034 taglia di due terzi i finanziamenti. Ursula von der Leyen ha deciso che mangeremo cibi da laboratorio. Le restrizioni verdi imposte ai nostri pescherecci favoriscono le flotte extra-Ue».Cancellati d’un colpo 4 miliardi su 6,2 del fondo pesca, e le nostre barche «affondano». È l’ultimo «regalo» di Ursula von der Leyen che col Green deal di Frans Timmermans ha dichiarato guerra totale chi «coltiva il mare». Come anticipato ieri da La Verità «il non ci sto dell’Italia» è risuonato altissimo. Lo grida Patrizio Giacomo La Pietra, senatore di Fratelli d’Italia, sottosegretario al ministero per la Sovranità alimentare, il primo difensore dei pescatori. Sottosegretario quanto ci rimette la pesca italiana? «L’Italia è fortemente preoccupata per il futuro della pesca dopo le recenti proposte di bilancio Ue per il periodo 2028-2034. Tagliare di due terzi i finanziamenti e accorpare il Fondo europeo per gli Affari Marittimi, la Pesca e l’Acquacoltura (Feampa) vuol dire affondare le marinerie europee. Condivido le preoccupazioni delle associazioni di categoria italiane che evidenziano il mancato riconoscimento dell’importanza strategica della pesca per l’economia e per la sovranità alimentare dell’Ue, l’impossibilità di ammodernare le flotte, azzerandone la competitività e la capacità di rispetto delle norme ambientali. Lotteremo per ristabilire il giusto livello di risorse, ma non sarà facile. Siamo consapevoli che dopo la devastante parentesi della gestione Timmermans siamo a un bivio e imboccare la strada sbagliata significherebbe perdere la sfida della sostenibilità economica, sociale e ambientale». Pare che Von der Leyen voglia abbandonare la produzione alimentare in Ue. C’è il rischio che si scivoli verso il cibo/il pesce sintetico? «Tagliare così drasticamente le risorse a sostegno della produzione alimentare tradizionale significa abbandonare al proprio destino i nostri pescatori, al pari di quanto si sta rischiando con gli agricoltori. Sarebbe una negazione dei valori fondanti della Unione Europea che nella Pac ha il suo pilastro e determinerebbe un attacco senza precedenti alla capacità dell’Europa di produrre il proprio cibo. Altro che sovranità alimentare, così ci si consegna ai cibi alternativi, incluso il sintetico. Un percorso contro il quale il ministro Lollobrigida e il governo si sono battuti a Bruxelles e che anche in questa occasione ci vedrà al fianco dei nostri agricoltori e pescatori».Come sta il settore anche riguardo alla piccola pesca?«La pesca italiana sta attraversando un momento delicato, destinato ad aggravarsi con le proposte di bilancio europee. Abbiamo già subito una riduzione del 40% delle nostre marinerie, un dato ben oltre la media Ue. La nostra flotta si è ridotta, l’età media di imbarcazioni e pescatori è elevata e la concorrenza sleale da parte di flotte extraeuropee, unita agli effetti dei cambiamenti climatici, rende il quadro ancora più complesso. In questi due anni e mezzo di governo abbiamo ridato speranza al settore con interventi mirati e a volte anche innovativi, mettendo risorse ma soprattutto rendendo centralità e attenzione al settore che negli ultimi governi era stato abbandonato. Dobbiamo consapevolizzare la Commissione europea sul valore della piccola pesca artigianale, una vera eccellenza e prerogativa soprattutto italiana. Attività come il pescaturismo e l’ittiturismo hanno un enorme potenziale, ma necessitano di investimenti e supporto».Le restrizioni Ue giustificate con il green in realtà favoriscono la concorrenza delle alte marinerie? «Le stringenti restrizioni green imposte dall’Ue ai nostri pescatori hanno concretamente favorito le flotte extra-Ue che operano con standard molto più bassi. Mentre i nostri pescatori sono sottoposti a controlli severissimi, per altri i dati sono spesso opachi. Stesso discorso per il fermo pesca o altre regolamentazioni: i nostri pescatori li rispettano scrupolosamente, ma in molte aree del mediterraneo, come sulle sponde dell’Africa, queste regole vengono ignorate dalle flotte dei rispettivi Paesi, creando una concorrenza sleale inaccettabile. L’Ue si impegna a combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU) e richiede certificati di cattura, ma l’efficacia di questi sistemi dipende dall’affidabilità dei dati forniti da Paesi terzi».Quando arriverà il riconoscimento del “pescatore custode” e del marchio di qualità sul pesce italiano, allevamenti compreso? «Guardiamo con grande attenzione al riconoscimento del “pescatore custode” che ne valorizzi il loro ruolo cruciale nel presidio del mare, nella salvaguardia della biodiversità e delle tradizioni, offrendo loro tutele e benefici specifici e allo sviluppo di un marchio di qualità per il nostro pesce italiano. Per la qualità siamo pronti alla definizione di un marchio nazionale del “Pescato Italiano” che ne garantisce la tracciabilità e la sostenibilità. Esiste poi il disciplinare per l’Acquacoltura Sostenibile, che certifica gli allevamenti che rispettano elevati standard ambientali. Questi marchi non sono solo etichette, ma strumenti essenziali per valorizzare l’eccellenza della nostra filiera e sostenere i nostri pescatori e allevatori».La difesa del pescato è difesa di corretta alimentazione perché l’Ue lo ignora? «Difendere la pesca italiana non è solo tutelare l’economia, ma è una difesa della corretta alimentazione, della dieta mediterranea e della nostra stessa idea di mare. È francamente incomprensibile come l’Ue sottovaluti questi aspetti vitali. La sostenibilità ridotta a numeri e tabelle è un approccio che non possiamo e non vogliamo condividere». Dopo l’intesa adriatica provate anche un’intesa complessiva sul Mediterraneo? «Assolutamente sì, l’intesa Adriatica è per noi un modello chiave che vogliamo replicare per l’intero Mediterraneo. Certo, l’obiettivo è ambizioso e mancano ancora attori fondamentali come Spagna, Francia e i Paesi del Nord Africa occidentale, con i quali condividere un approccio basato su una gestione concertata degli stock, l’armonizzazione delle regole, una lotta comune alla pesca illegale e un maggiore scambio di dati. Ma il futuro del nostro mare e dei nostri pescatori dipende proprio da questa capacità di collaborare».