2025-04-08
«Dazi? Gli americani continueranno a comprare i mobili italiani»
Il presidente di FederlegnoArredo, Paolo Fantoni
Il presidente di FederlegnoArredo, Paolo Fantoni: «No a ritorsioni. Ci fanno più male le regole Ue».«Gli americani continueranno a comprare i mobili italiani anche con i dazi. Mi attendo dall’Europa la strategia della diplomazia, non ritorsioni. I contro dazi sarebbero un danno ancora più grande. Penso che Trump abbia imposto maggiori tariffe non come risposta ai dazi europei ma come risposta ai vincoli burocratici che ostacolano i commerci». Paolo Fantoni, imprenditore del mobile e vicepresidente di FederlegnoArredo, guarda con ottimismo al Salone del Mobile che si apre oggi. «Ci aspettiamo una presenza importante di americani, con numeri superiori all’anno scorso. C’è stato lavoro molto intenso da parte del sistema arredo Italia che ha operato in modo intensivo negli Usa».I dazi quindi non impatteranno sugli ordinativi?«Una cosa è la presenza, altra i flussi degli acquisti. Ma è presto per fare stime. Il settore potrebbe soffrire ma i mobili italiani sono di alta qualità, non paragonabili con quelli a prezzi contenuti. Chi ama il made in Italy continuerà ad acquistarli. Il nostro prodotto non teme la concorrenza da imprese di altri Paesi. La conferma è l’alto numero di dealer al Salone del Mobile. Certo l’aumento delle tariffe ci preoccupa, come pure l’andamento delle Borse ma nel nostro settore siamo sicuri della tenuta dei nostri prodotti. Mi chiedo piuttosto quanto questa situazione sia sostenibile per la stessa economia Usa». Vuol dire che Trump, anche a fronte dell’impatto nel suo Paese, dovrebbe essere più disponibile ad una trattativa?«Ho la convinzione che la decisione di Trump di imporre i dazi non nasce da una risposta ai dazi europei ma dalle logiche commerciali imposte da Bruxelles, dominate dai lacci burocratici. Mi riferisco in particolare all’Eudr, l’European deforestation free products regulation che vieta l’immissione o l’esportazione di prodotti nel e dal mercato comunitario che non rispettino requisiti di legalità e sostenibilità. In linea di principio nulla da obiettare, perché l’obiettivo è di contrastare la deforestazione dei territori più fragili, ma quando poi si va sul concreto ci sono tanti fardelli burocratici che rendono difficile l’operatività e sono indigesti anche agli operatori europei. Ci sono mille ambiti in cui l’Europa ha legiferato cercando obiettivi che si sono tradotti in vincoli operativi restrittivi per singole categorie merceologie. Credo che la lettura che va fatta dell’imposizione dei dazi è di una risposta a normative penalizzanti per gli esportatori americani» Cosa dovrebbe fare l’Europa per convincere Trump a rivedere le sue posizioni?«La strategia dei contro dazi è sbagliata, in quanto innesca un processo a catena pericolosissimo. Piuttosto dalla Ue dovrebbe venire un segnale della volontà di snellire la burocrazia che ostacola le esportazioni dagli Usa. Le stesse problematiche le troviamo nei target alle emissioni delle auto. Le sanzioni sembrano ispirate dalla buona volontà di ridurre la CO2 ma poi subentrano meccanismi di controllo e certificazione che rappresentano barriere di ingresso ai modelli stranieri. Si può cominciare rivedendo il Green deal».Come andrebbe cambiato?«I principi del Green deal vanno tradotti in modo pratico e concreto, basati sul buon senso e non sull’ideologia. Attualmente rappresentano una serie di complicazioni amministrative e gestionali che si traducono in maggiori costi scaricati poi sui consumatori. Andrebbe anche cambiato il Patto di stabilità».In che modo?«Dalla Germania è già venuto il segnale di allentare i vincoli di bilancio. È una strada da seguire, a meno che non si voglia restringere la spesa pubblica con tagli. Bisogna pensare a un bilancio più espansivo per affrontare le emergenze come quelle attuali».C’è il rischio che i dazi portino ad una invasione di prodotti cinesi?«I vincoli del Green deal fanno perdere competitività alle nostre aziende. Acciaio e alluminio devono essere importati perché la produzione europea è ostacolata dalle norme ambientaliste. Il problema è quello delle regole che Bruxelles si è data e che la stanno penalizzando più dei dazi».
Marta Cartabia (Imagoeconomica)
Sergio Mattarella con Qu Dongyu, direttore generale della FAO, in occasione della cerimonia di inaugurazione del Museo e Rete per l'Alimentazione e l'Agricoltura (MuNe) nella ricorrenza degli 80 anni della FAO (Ansa)