2025-12-18
Natale nelle Marche: spettacolo di colori, luci e pura magia
Addobbi natalizi a Senigallia (Marche) di notte (iStock)
ll profumo del frustingo e del vino cotto si mescola all’aria fredda, le luminarie illuminano i vicoli acciottolati già bui alle cinque del pomeriggio, gli addobbi e gli alberi di Natale decorano piazze e vetrine nei centri storici, mentre il rintocco delle campane e le musiche stile Jingle Bells fanno da colonna sonora a mercatini e presepi.
Dalle calme acque dell’Adriatico fino alle vette silenziose dell’Appennino, le Marche si trasformano nel periodo dell’Avvento. Diventano un teatro a cielo aperto sospeso tra memoria e meraviglia. In scena storie e tradizioni, colori e sapori di città e paesi che, vestiti a festa e allestiti a regola d’arte, sembrano volere raccontare la propria versione della magia natalizia, invitando a scoprirla, chiamando a viverla.
In una gara di soli vincenti, in uno spettacolo di soli protagonisti, piccole e grandi province marchigiane regalano tutte qualcosa di speciale. A partire da «Il Natale che non ti aspetti». Un evento diffuso che coinvolge fino al 6 gennaio una ventina di borghi tra Pesaro e Urbino. Da tranquilli centri diventano mondi incantati. Si animano e scendono in strada con mercatini artigianali, performance itineranti, giochi e giostre per far sognare adulti e bambini. Lo stesso succede con il «Grande Natale di Corinaldo», che accende di vita e di festa il piccolo borgo, tra i più belli d’Italia: spettacoli, mercatini, eventi, che toccano l’apice con la Festa conclusiva della Befana, il 6 gennaio. Altrettanto coinvolgente e forse ancor più suggestiva, «Candele a Candelara» (www.candelara.it; nell’immagine in alto a destra, scorci del borgo durante l’evento. Foto: Archivio fotografico Regione Marche - Associazione Turistica Pro Loco di Candelara APS).
Arrivata alla 22esima edizione, la festa delle fiammelle di cera va in scena nel borgo medievale vicino a Pesaro fino al 14 dicembre, con un calendario di eventi, visite guidate, attrazioni e divertimenti, oltre all’immancabile rito nel cuore del borgo. Qui ogni sera si spengono le luci artificiali per lasciare posto a migliaia di fiammelle tremolanti accese. Per qualche minuto tutto sembra sospeso: il tempo rallenta, il silenzio avvolge le vie, l’atmosfera si carica di poesia e la grande bellezza delle piccole cose semplici affiora e travolge.
Spostandosi ad Ancona con il naso all’insù, ecco che il periodo di Natale ha il passo della modernità che danza con la tradizione o, meglio, vola: una ruota panoramica alta trenta metri domina il centro, regalando una vista unica sul porto e sulla città illuminata. Da lassù si vedono i mercatini tra piazza Cavour e corso Garibaldi rimpicciolirsi e i fiumi di persone che girano per il centro diventare sinuose serpentine.
A Macerata e dintorni, invece, il Natale porta allegria, sulla scia della pista di pattinaggio su ghiaccio in piazza Cesare Battisti, dei villaggi di Babbo Natale che accolgono con renne ed elfi, e dei tanti mercatini che tentano il palato con dolci e salati, caldarroste e vin brulè, e attirano con prodotti perfetti da regalare a Natale. Mentre Fermo e Porto San Giorgio invitano a immergersi in compagnia in villaggi natalizi pieni di luci e mercatini, riscoprendo il valore dello stare insieme al di là dei display. Stessa cosa succede nella provincia di Ascoli Piceno, ma in una formula ancora più intensa, complice «Piceno Incantato», cartellone che raccoglie attorno a piazza Arringo concerti, gospel, villaggi natalizi, presepi artigianali e viventi. A proposito di presepi, da non perdere il Presepe di San Marco a Fano. Costruito nelle cantine settecentesche di Palazzo Fabbri, copre una superficie di ben 350 metri quadrati. Ed è composto da una cinquantina di diorami (scene), che riproducono episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, con più di 500 statue a movimenti meccanizzati creati ad hoc da maestri artigiani. Una rarità, ma soprattutto un’opera d’arte. Info: www.letsmarche.it
La tradizione è servita in tavola
Non solo olive ascolane. Nelle Marche, terra fertile e generosa, sono tante, tantissime le ricette e le specialità che imbandiscono la tavola, dando forse il meglio d’inverno. Ingredienti di stagione, sapori intensi, piatti robusti e vini corposi sposano a regola d’arte le temperature che si fanno via via più fredde, stuzzicando il palato e riscaldando l’atmosfera. Al bando diete e via libera a calorie e piatti di sostanza. Ecco che le cucine tornano a profumare di tradizione e la convivialità marchigiana diventa, più che un invito al ristorante, un rito semplice, lento e gustoso, servito in indirizzi intimi, curati, con prezzi e porzioni che a Milano e Roma si sognano, e incorniciato da colline morbide e pendii che guardano il mare.
Nel menù ingredienti semplici, genuini, figli di una terra che non ha mai tradito il legame con la stagionalità. Il brodetto, con le sue note calde e avvolgenti, diventa un abbraccio capace di scaldare e colorare le giornate più grigie. Le paste tirate a mano tornano protagoniste, con i vincisgrassi che la fanno da padrone. Imponente e generosa, questa pasta all’uovo, cotta al forno, stratificata con ragù ricco di carni miste e una vellutata besciamella, è un inno calorico alle tradizioni contadine e all’amore profondo per la cucina casalinga.
I cappelletti in brodo di cappone, piccoli scrigni di pasta fatta a mano con ripieno, immersi in un brodo fumante, riportano all’infanzia, ai pranzi delle feste, a un’idea di famiglia che non si lascia scalfire dal tempo. Nei camini e forni accesi, l’arrosto di maiale diffonde un profumo che vola nell’aria, mentre le erbe spontanee, raccolte nei campi addormentati dall’inverno, insaporiscono minestre e ripieni con un carattere rustico e sincero.
I formaggi stagionati, dalle tome ai pecorini più strutturati, raccontano il lavoro meticoloso dei casari, custodi di saperi antichi. E poi ci sono i legumi, piccoli tesori che diventano zuppe dense e nutrienti: ceci, cicerchie, fagioli che profumano di terra buona e di gesti lenti. E poi c’è la gioia della gola per eccellenza: il fritto misto all’ascolana. Che nel piatto presenta pezzi di carne e verdure avvolti in una pastella leggera e dorata che scrocchia a ogni morso, raccontando un’arte culinaria che sa essere golosa e raffinata al tempo stesso. Da accompagnare, senza esitazione, con un calice di Rosso Piceno o di Rosso Conero, che con i loro profumi avvolgenti e il tannino morbido sposano perfettamente le note decise di questo piatto. In alternativa la Lacrima di Morro d’Alba, vino locale, raro e aromatico, regala un tocco di originalità.
Non manca poi il carrello dei dessert. Sfilano veri tesori dolciari. Sul podio, in ordine sparso, il miele, prodotto con cura da apicoltori del territorio, il mitico frustingo, dolce natalizio a base di frutta secca e spezie, e i cavallucci, biscotti speziati che raccontano storie antiche e profumano le feste (e non solo). Da abbinare rigorosamente a un’altra specialità marchigiana: il vino cotto. Ottenuto dalla lenta riduzione del mosto d’uva, nel calice è una liquida e dolce coccola.
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Dalle rive dell’Adriatico alle vette dell’Appennino, borghi e città si vestono a festa e sfilano tra villaggi di legno, mercatini artigianali, prodotti tradizionali e presepi.La tradizione è servita in tavola. Dai vincisgrassi al fritto misto all’ascolana, al vino cotto, trionfo di sapori tipici marchigiani.Lo speciale contiene due articoli.ll profumo del frustingo e del vino cotto si mescola all’aria fredda, le luminarie illuminano i vicoli acciottolati già bui alle cinque del pomeriggio, gli addobbi e gli alberi di Natale decorano piazze e vetrine nei centri storici, mentre il rintocco delle campane e le musiche stile Jingle Bells fanno da colonna sonora a mercatini e presepi. Dalle calme acque dell’Adriatico fino alle vette silenziose dell’Appennino, le Marche si trasformano nel periodo dell’Avvento. Diventano un teatro a cielo aperto sospeso tra memoria e meraviglia. In scena storie e tradizioni, colori e sapori di città e paesi che, vestiti a festa e allestiti a regola d’arte, sembrano volere raccontare la propria versione della magia natalizia, invitando a scoprirla, chiamando a viverla. In una gara di soli vincenti, in uno spettacolo di soli protagonisti, piccole e grandi province marchigiane regalano tutte qualcosa di speciale. A partire da «Il Natale che non ti aspetti». Un evento diffuso che coinvolge fino al 6 gennaio una ventina di borghi tra Pesaro e Urbino. Da tranquilli centri diventano mondi incantati. Si animano e scendono in strada con mercatini artigianali, performance itineranti, giochi e giostre per far sognare adulti e bambini. Lo stesso succede con il «Grande Natale di Corinaldo», che accende di vita e di festa il piccolo borgo, tra i più belli d’Italia: spettacoli, mercatini, eventi, che toccano l’apice con la Festa conclusiva della Befana, il 6 gennaio. Altrettanto coinvolgente e forse ancor più suggestiva, «Candele a Candelara» (www.candelara.it; nell’immagine in alto a destra, scorci del borgo durante l’evento. Foto: Archivio fotografico Regione Marche - Associazione Turistica Pro Loco di Candelara APS). Arrivata alla 22esima edizione, la festa delle fiammelle di cera va in scena nel borgo medievale vicino a Pesaro fino al 14 dicembre, con un calendario di eventi, visite guidate, attrazioni e divertimenti, oltre all’immancabile rito nel cuore del borgo. Qui ogni sera si spengono le luci artificiali per lasciare posto a migliaia di fiammelle tremolanti accese. Per qualche minuto tutto sembra sospeso: il tempo rallenta, il silenzio avvolge le vie, l’atmosfera si carica di poesia e la grande bellezza delle piccole cose semplici affiora e travolge.Spostandosi ad Ancona con il naso all’insù, ecco che il periodo di Natale ha il passo della modernità che danza con la tradizione o, meglio, vola: una ruota panoramica alta trenta metri domina il centro, regalando una vista unica sul porto e sulla città illuminata. Da lassù si vedono i mercatini tra piazza Cavour e corso Garibaldi rimpicciolirsi e i fiumi di persone che girano per il centro diventare sinuose serpentine. A Macerata e dintorni, invece, il Natale porta allegria, sulla scia della pista di pattinaggio su ghiaccio in piazza Cesare Battisti, dei villaggi di Babbo Natale che accolgono con renne ed elfi, e dei tanti mercatini che tentano il palato con dolci e salati, caldarroste e vin brulè, e attirano con prodotti perfetti da regalare a Natale. Mentre Fermo e Porto San Giorgio invitano a immergersi in compagnia in villaggi natalizi pieni di luci e mercatini, riscoprendo il valore dello stare insieme al di là dei display. Stessa cosa succede nella provincia di Ascoli Piceno, ma in una formula ancora più intensa, complice «Piceno Incantato», cartellone che raccoglie attorno a piazza Arringo concerti, gospel, villaggi natalizi, presepi artigianali e viventi. A proposito di presepi, da non perdere il Presepe di San Marco a Fano. Costruito nelle cantine settecentesche di Palazzo Fabbri, copre una superficie di ben 350 metri quadrati. Ed è composto da una cinquantina di diorami (scene), che riproducono episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, con più di 500 statue a movimenti meccanizzati creati ad hoc da maestri artigiani. Una rarità, ma soprattutto un’opera d’arte. Info: www.letsmarche.it<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/natale-nelle-marche-2674596382.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-tradizione-e-servita-in-tavola" data-post-id="2674596382" data-published-at="1766065883" data-use-pagination="False"> La tradizione è servita in tavola Non solo olive ascolane. Nelle Marche, terra fertile e generosa, sono tante, tantissime le ricette e le specialità che imbandiscono la tavola, dando forse il meglio d’inverno. Ingredienti di stagione, sapori intensi, piatti robusti e vini corposi sposano a regola d’arte le temperature che si fanno via via più fredde, stuzzicando il palato e riscaldando l’atmosfera. Al bando diete e via libera a calorie e piatti di sostanza. Ecco che le cucine tornano a profumare di tradizione e la convivialità marchigiana diventa, più che un invito al ristorante, un rito semplice, lento e gustoso, servito in indirizzi intimi, curati, con prezzi e porzioni che a Milano e Roma si sognano, e incorniciato da colline morbide e pendii che guardano il mare.Nel menù ingredienti semplici, genuini, figli di una terra che non ha mai tradito il legame con la stagionalità. Il brodetto, con le sue note calde e avvolgenti, diventa un abbraccio capace di scaldare e colorare le giornate più grigie. Le paste tirate a mano tornano protagoniste, con i vincisgrassi che la fanno da padrone. Imponente e generosa, questa pasta all’uovo, cotta al forno, stratificata con ragù ricco di carni miste e una vellutata besciamella, è un inno calorico alle tradizioni contadine e all’amore profondo per la cucina casalinga.I cappelletti in brodo di cappone, piccoli scrigni di pasta fatta a mano con ripieno, immersi in un brodo fumante, riportano all’infanzia, ai pranzi delle feste, a un’idea di famiglia che non si lascia scalfire dal tempo. Nei camini e forni accesi, l’arrosto di maiale diffonde un profumo che vola nell’aria, mentre le erbe spontanee, raccolte nei campi addormentati dall’inverno, insaporiscono minestre e ripieni con un carattere rustico e sincero. I formaggi stagionati, dalle tome ai pecorini più strutturati, raccontano il lavoro meticoloso dei casari, custodi di saperi antichi. E poi ci sono i legumi, piccoli tesori che diventano zuppe dense e nutrienti: ceci, cicerchie, fagioli che profumano di terra buona e di gesti lenti. E poi c’è la gioia della gola per eccellenza: il fritto misto all’ascolana. Che nel piatto presenta pezzi di carne e verdure avvolti in una pastella leggera e dorata che scrocchia a ogni morso, raccontando un’arte culinaria che sa essere golosa e raffinata al tempo stesso. Da accompagnare, senza esitazione, con un calice di Rosso Piceno o di Rosso Conero, che con i loro profumi avvolgenti e il tannino morbido sposano perfettamente le note decise di questo piatto. In alternativa la Lacrima di Morro d’Alba, vino locale, raro e aromatico, regala un tocco di originalità.Non manca poi il carrello dei dessert. Sfilano veri tesori dolciari. Sul podio, in ordine sparso, il miele, prodotto con cura da apicoltori del territorio, il mitico frustingo, dolce natalizio a base di frutta secca e spezie, e i cavallucci, biscotti speziati che raccontano storie antiche e profumano le feste (e non solo). Da abbinare rigorosamente a un’altra specialità marchigiana: il vino cotto. Ottenuto dalla lenta riduzione del mosto d’uva, nel calice è una liquida e dolce coccola.
Negli anni Venti la radioattività diventò una moda. Sulla scia delle scoperte di Röntgen e dei coniugi Pierre e Marie Curie alla fine dell’Ottocento, l’utilizzo di elementi come il radio e il torio superò i confini della fisica e della radiodiagnostica per approdare nel mondo del commercio. Le sostanze radioattive furono esaltate per le presunte (e molto pubblicizzate) proprietà benefiche. I produttori di beni di consumo di tutto il mondo cavalcarono l’onda, utilizzandole liberamente per la realizzazione di cosmetici, integratori, oggetti di arredo e abbigliamento. La spinta verso la diffusione di prodotti a base di elementi radioattivi fu suggerita dalla scienza, ancora inconsapevole delle gravi conseguenze sulla salute riguardo al contatto di quelle sostanze sull’organismo umano. Iniziata soprattutto negli Stati Uniti, la moda investì presto anche l’Europa. Il caso più famoso è quello di un integratore venduto liberamente, il Radithor. Brevettato nel 1925 da William Bailey, consisteva in una bevanda integratore in boccetta la cui formula prevedeva acqua distillata con aggiunta di un microcurie di radio 226 e di radio 228. A seguito di un grande battage pubblicitario, la bevanda curativa ebbe larga diffusione. Per 5 anni fu disponibile sul mercato, fino allo scandalo nato dalla morte per avvelenamento da radio del famoso golfista Eben Byers, che in seguito ad un infortunio assunse tre boccette al giorno di Radithor che inizialmente sembravano rinvigorirlo. Grande scalpore fece poi il caso delle «Radium girls», le operaie del New Jersey che dipingevano a mano i quadranti di orologi e strumenti con vernice radioluminescente. Istruite ad inumidire i pennelli con la bocca, subirono grave avvelenamento da radio che generò tumori ossei incurabili. Prima di soccombere alla malattia le donne furono protagoniste di una class action molto seguita dai media, che aprì gli occhi all'opinione pubblica sui danni della radioattività sul corpo umano. A partire dalla metà degli anni ’30 la Fda vietò definitivamente la commercializzazione delle bevande radioattive. Nel frattempo però, la mania della radioattività benefica si era diffusa ovunque. Radio e torio erano presenti in creme di bellezza, dentifrici, dolciumi. Addirittura nell’abbigliamento, come pubblicizzava un marchio francese, che presentò in catalogo sottovesti invernali con tessuti radioattivati. Anche l’Italia mise in commercio prodotti con elementi radioattivi. La ditta torinese di saponi e creme Fratelli De Bernardi presentò nel 1923 la saponetta «Radia», arricchita con particelle di radio. Nello stesso periodo fu messa in commercio la «Fiala Pagliani», simile al Radithor, brevettata dal medico torinese Luigi Pagliani. Arricchita con Radon-222, la fiala detta «radioemanogena» era usata come una vera e propria panacea.
Fu la guerra, più che altri fattori, a generare il declino definitivo dei prodotti radioattivati. Le bombe atomiche del 1945 con le loro drammatiche conseguenze a lungo termine e la continua minaccia di guerra nucleare dei decenni seguenti, fecero comprendere ai consumatori la pericolosità delle radiazioni non controllate, escludendo quelle per scopi clinici. A partire dagli anni Sessanta sparirono praticamente tutti i prodotti a base di elementi radioattivi, vietati nello stesso periodo dalle leggi. Non si è a conoscenza del numero esatto di vittime dovuto all’uso di alimenti o oggetti, in quanto durante gli anni della loro massima diffusione non furono da subito identificati quali causa dei decessi.
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