2025-08-11
Nicola Di Bari: «Ho cantato Charlot e riso con Zalone»
L’artista: «L’amicizia con Tenco era un privilegio, sua mamma mi chiese d’interpretare i suoi brani. Tentazioni in tournée? Macché, sono ancora innamoratissimo di mia moglie. Mi fa male leggere degli scandali a Milano».Voce possente, è la sua, inconfondibile, quella della Prima cosa bella, che, per quanto il tempo non si possa fermare, sembra quasi di risentirla in quelle sale da pranzo con televisore in bianco e nero nelle case nel 1970. Uno o più brani di Nicola Di Bari, al secolo Michele Scommegna, potrebbero essere inseriti, tra 50 anni, nella colonna sonora di un film su com’era l’Italia. Figlio di viticoltori, fresco di studi classici, partì dalla Puglia per Milano e trovò una camera nella metropoli. Quella voce così originale piacque e si ritrovò vincitore di due Sanremo e di Canzonissima. Divenne celebre non solo in Italia. Le sue canzoni si ascoltavano in tutto il mondo. Se cercate la colonna sonora per un pomeriggio originale ascoltate Rosa. «Rosa / come un mattino che si sveglia pigro tra i capelli tuoi / tramonto steso sopra i grattacieli della mia città…». Tutti sappiamo che hai scelto il tuo nome d’arte pensando al santo patrono di Bari. Come nacque questa devozione?«Per caso. Quando ero bambino, mio padre il 6 dicembre mi portava a Bari dove poi mettevano il Santo sulla barca. Questa situazione mi affascinò talmente tanto che m’innamorai dell’avvenimento ma soprattutto del Santo. Per cui, quando ho dovuto scegliere il nome d’arte, ho preso il suo». Ne sei ancora devoto?«Quanto entri in casa mia la prima immagine che vedi è la sua». Pensavi fosse un destino che tu diventassi artista?«Assolutamente non pensavo che tutto questo avvenisse. Sono sempre stato innamorato della musica, sia leggera sia lirica. Per caso cominciai a partecipare a qualche piccolo concorso per dilettanti perché mi piaceva l’idea di raccontarmi e scrivere le mie emozioni con le mie canzonette. Fino a che, a Bari, mi notò un produttore milanese e mi offrirono una scrittura privata di 3 mesi a Milano. Stavo studiando, ma dissi ai miei genitori: “Vado a conoscere Milano, passati i 3 mesi tornerò a casa e riprenderò gli studi”».E invece?«Il discografico della mia prima casa a Milano si rese conto che avevo una voce strana e gli piaceva tantissimo. Disse “questo qui me lo tengo e gli faccio un contratto di 5 anni”. E quindi cominciai a partecipare, nel ’65 a Sanremo e l’anno prima al Cantagiro con una canzone mia, su misura per me, un rhythm&blues americano. Questa mia strana voce cominciò a piacere ai ragazzi della mia età e di lì cominciò questa storia. Poi ci fu qualche anno così così, fino a che non passai alla Rca a Roma. Lì scrissi delle canzoni sempre raccontando la mia vita, le mie emozioni. Una di queste canzoni, El trotamundo, cioè Il giramondo, la mandarono in Sudamerica e all’improvviso venni a sapere che era al primo posto in tutti i Paesi sudamericani». Poi incidesti delle canzoni di Charlie Chaplin…«Sì, ma con testi miei, chiedendo ovviamente il permesso a sua figlia Geraldine Chaplin, unica erede, la quale mi disse di sì. Raccontai queste storie che mi piacevano perché ero innamoratissimo di Charlot. E poi arrivai al ’70 con La prima cosa bella». Pezzo sempre meraviglioso, intramontabile. Alcuni credono erroneamente sia una storia d’amore che un uomo dedica alla fidanzata e invece… «È un racconto che mi riguarda da molto vicino. Il giorno che nacque la nostra prima figlia, Ketty, nel 1968, cambiò tutta la mia vita. A questa bambina che ci stava regalando emozioni che non conoscevamo - uno fin che non diventa genitore non sa cosa voglia dire - io e la mamma dedicammo La prima cosa bella, per ringraziarla».Come ricordi tuo padre e tua madre?«Sono stati tutto per me. Senza di loro non sarei qui con te a parlare in questo momento. Mi hanno sempre supportato, mandato a scuole importanti, volevano un avvocato e invece… Un avvocato in meno e un artista in più». È vero che eravate dieci fratelli? «Sì, eravamo in dieci perché mio padre, da giovane, perse la moglie giovanissima e aveva figli, e a mia madre, sempre giovanissima, morì il marito. Anche lei aveva figli. Erano stati fidanzatini da ragazzi. Poi s’incontrarono di nuovo e siamo nati in cinque. Diventammo una famiglia numerosissima, era una festa, a cena, a pranzo». Felicità nella tua famiglia con il tuo successo. «Puoi immaginarti… Non pensavano che sarebbe successo tutto questo. La prima cosa bella arrivò seconda a Sanremo, poi l’anno dopo vinsi con Il cuore è uno zingaro, poi l’anno successivo lo rivinsi con I giorni dell’arcobaleno, poi vinsi anche una Canzonissima con Chitarra suona più piano e lì cominciò la mia vera storia d’artista».Ricordiamo chi presentava Canzonissima nell’edizione da te vinta?«Corrado e Raffaella Carrà. Non pensavo di vincerla perché, al primo posto, nelle preferenze, c’era Massimo Ranieri. Io ero al quarto-quinto ma la sera finale un po’ tutta l’Italia votò per Chitarra suona più piano».Quanti anni avevi quando ti trasferisti a Milano?«Non ancora 18. Nel periodo di attesa, prima di registrare, conobbi una ragazzina veneta e mi piacque talmente tanto che cambiò la mia vita».Tra poco ci torniamo. Come ti trovasti, all’inizio, nella metropoli?«In un primo momento mi sono sentito un po’ spaesato. Partivo da un paesino di 2.000 abitanti e la cosa fu un piccolo shock. Ma piano piano mi abituai e Milano mi ha cresciuto, adottato, dato tutto, quindi è diventata il mio paesello un po’ più grande». All’inizio, andasti a vivere in una stanza in affitto?«All’inizio mi adattai presso una stanza di napoletani che erano a Milano. Quando conobbi Agnese, mia moglie, comprai un pezzo di terra, le cose cominciarono ad andare bene e costruimmo la nostra attuale casa, dove sono nati i nostri 4 figli».In quale zona del capoluogo lombardo?«Alle porte di Milano, a San Maurizio al Lambro». È vero che il primo incontro con lei avvenne in corriera?«È verissimo, perché io andavo a Milano per lezioni di dizione. Lei prendeva lo stesso pullman che prendevo io per andare da San Maurizio a Milano. Un giorno il pullman era zeppo. La vidi in piedi e le offrii il posto a sedere. Poi ci ritrovammo la sera tornando a casa, prendemmo un caffè e da lì iniziò il nostro romanzo».Romantico. Quanti avevate?«Io 24 anni e lei 18». Poi le presentazioni con le rispettive famiglie…«Raccontai ai miei genitori che avevo una ragazzina, una cosa seria. Vennero a Milano e conobbero lei e i suoi genitori. La cosa piacque sia ai suoi sia ai miei».Agnese, originaria di Taglio di Po (Rovigo). Come si sono incontrate le cucine pugliese e veneta?«È stato soprattutto merito suo perché quando l’ho portata per la prima volta giù imparò benissimo e prestissimo il modo di cucinare di mia madre. In casa nostra si mangia bene perché abbiamo cucina veneta, pugliese e lombarda». Dove vi siete sposati?«Ci siamo sposati a Peschiera del Garda perché il fratello di Agnese, che era un frate-sacerdote, era alla Madonna del Frassino e decidemmo di farci sposare lì da lui. La cosa non fu facile perché dovetti chiedere il permesso al Vaticano, che lo concesse».Pranzo di nozze lì a Peschiera?«Sempre a Peschiera. Il pranzo lo portò mia madre, un pranzo alla pugliese che piacque molto anche ai miei suoceri e cognati. Mangiammo lì, con i frati e le suore, nel piccolo refettorio del monastero, fu bellissimo». Avete avuto 4 figli…«Tre femmine, Nicoletta, Arianna, oggi attrice famosa e, nel 1979, è nato il maschietto che porta il nome di mio padre, Matteo, che adoravo, era un mio amico. Quando vinsi Sanremo con Il cuore è uno zingaro ebbe una tale emozione che dopo 3-4 giorni, purtroppo, morì d’infarto».La tua amicizia con Luigi Tenco. In un album la tua voce interpretò i suoi brani. Era ombroso?«A me piaceva moltissimo perché era un ragazzo molto intelligente e preparato. Era un po’ introverso. Quando ci incontrammo per la prima volta in un locale a Milano ci piacemmo. Essere suo amico non era facile. Fu un privilegio. Lo guardavo come un dio, era già famoso. Il suo destino è stato un grande dolore. Peccato per quello che ha fatto, se l’ha fatto. Ero lì in albergo quando mi comunicarono la notizia. Piansi come un bambino di tre anni. Dopo, sua mamma mi chiamò dicendomi “Nicola, devi farmi un regalo. Luigi non c’è più. Le sue canzoni le devi cantare tu”. Con i fratelli Reverberi, i miei produttori, anche loro genovesi, registrammo il disco».Quando andavi in tournée all’estero tua moglie temeva che qualche fan cercasse un’avventura con te?«Non vorrei essere banale, ma non ho mai avuto nessuna storia perché ancora oggi sono innamoratissimo di mia moglie».Grande! Non è banale, anzi la fedeltà è un valore essenziale.«Ai primi tempi avevamo i figli piccoli e non poteva venire. Da quando sono diventati grandi, circa dal 1980, cominciò a seguirmi in tutto il mondo». Checco Zalone ti ha voluto in una parte in Tolo Tolo.«Lui mi chiamò da Bari e disse di voler venire a trovarmi a Milano. A pranzo mi raccontò che era mio fan fin da ragazzino. Pensando alla parte dello zio, ha voluto che fossi io. Mi convinse. Durante i 15 giorni con lui, più che lavorare è stato un gioco, una festa. Per me è un genietto. Ho un amico in più. Da ragazzo, a 32 anni, avevo partecipato al film Torino nera. Il regista Carlo Lizzani pensava ad Aznavour ma poi con il produttore De Laurentiis disse “voglio te”. Comunque non mi sono mai sentito un attore». Milano, ancora una volta sconvolta dallo scandalo della corruzione…«Ho conosciuto quella Milano dove era un piacere viverci. Non posso certo giudicare, ma queste cose mi fanno male».
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