2021-01-03
Maurizio Setti: «Anche la nostra filiera ha bisogno di risorse. E le tasse vanno sospese»
Maurizio Setti (Enrico Locci/Getty Images)
Il presidente di Antress Industry: «Il governo abbia rispetto del settore. Se non si sfrutta la stagione giusta, poi tutto va in rimanenze. E le perdite sono alte».«Il futuro dipende solo da noi, dalla nostra capacità di unire tre elementi apparentemente opposti: creatività senza freni, una certa follia imprenditoriale e costante cautela». Chi parla è Maurizio Setti, presidente di Antress Industry, proprietaria di Manila Grace, brand nato nel 2004, protagonista della settantaseiesima edizione del Festival cinematografico di Venezia, i cui capi sono stati immortalati su attrici, modelle e socialite belle e impegnate, soprattutto pronte a indossare la cosiddetta moda premium, griffe di fascia medio alta. «Alla parola successo preferisco il senso e la forza dell'azione» continua Setti, «La nostra azienda si fonda sulla gioia dell'azione, abbiamo la capacità di non riposare sugli allori ma di avere sempre in cantiere la voglia di ampliare, di rinnovare costantemente la gamma e la qualità di quello che stiamo facendo».Lei si è sempre occupato di moda?«No, quando ho iniziato facevo il magazziniere. Carpi, la mia cittadina di nascita nonché dove si trova l'azienda da sempre, polo riconosciuto per la maglieria, ha tante industrie e, in una di queste, svolgevo le mie mansioni. Finito il militare ho iniziato un percorso di aziende in società con altre persone per produrre maglieria e ho potuto rendermi conto cosa significasse la produzione vera e propria. Parliamo ormai di 32 anni fa».Poi arriva Manila Grace.«Manila Grace ha vent'anni, ho acquisito il brand per svilupparlo e portarlo subito al dettaglio. L'avvio è stato tortuoso anche perché il clima della moda stava cambiando e non c'era più spazio per produrre per terzi. Dal filo al capo finito, siamo passati da una collezione di maglieria fino ad avere un total look e dall'anno scorso anche accessori con linee di borse e scarpe fatte direttamente da noi. Un'artigianalità tutta italiana, inventiva, ottimo rapporto qualità-prezzo hanno costituito negli anni l'identità di Antress Industry Spa che è in grado di controllare anche l'intero ciclo del prodotto: dal design alla produzione fino alla distribuzione e alla vendita». Dove avviene la produzione?«Una larga percentuale è made in Italy, ma parecchio abbigliamento e accessori vengono prodotti in Cina, Bangladesh, Portogallo e la restante parte di produzione è distribuita in Paesi che si affacciano sul Mediterraneo».Carpi è ancora il distretto più importante per la maglieria?«Dagli anni Sessanta era il vero polo d'attrazione per chi voleva produrre maglieria. Tanti i marchi di grande successo nati in quella terra. Venivano anche da altri Paesi a produrre qui. Stessa filosofia, partiti dalla maglieria per poi sviluppare una linea completa vera e propria. Oggi la maglieria è una delle componenti ma non più la sola. Tante azienda hanno iniziato a Carpi che ha avuto il merito di sapersi modificare in base ai cambiamenti del settore. Oggi mantiene la supremazia della bella maglia, della qualità non della quantità. Prato a livello di quantità è nettamente superiore. Carpi, anche per questione di costi, ha dovuto spostarsi sulla qualità».Quali sono le origini del nome Manila Grace?«È stato creato da chi la disegnava nella prima parte del percorso. Manilla, con due elle, è un tipo di fibra tessile ottenuta dalla lavorazione delle foglie di musa, una delle fibre naturali più durevoli. Tolta una elle è rimasta Manila, e Grace è la canzone, ma richiama anche la grazia che caratterizza tutti i capi. Non c'era una logica particolare ma suonava bene e piaceva. Manila racchiude il dna della nostra filosofia, fatta di fibre naturali, colori naturali e la costruzione di un prodotto che deve essere morbido, comodo e possa dare un senso di libertà».Principalmente usa materiali che rispettano l'ambiente?«Sì, siamo molto attenti. Ma se devi essere competitivo devi usare materiali guardando il target di riferimento . È chiaro che in base alle scelte c'è una grande attenzione, da un lato per contenere i prezzi, dall'altro di offrire capi qualitativamente elevati».Quante persone lavorano per Manila Grace?«Sono 180. Sede a Carpi dove è sempre stata. 45 negozi diretti, una serie di franchising e 1.500 clienti nel mondo. Un milione di capi venduti all'anno».Quali i mercati di riferimento?«L'Italia ha un peso del 65% e 35% distribuito tra Europa, Russia e Cina. Nel futuro c'è la voglia di essere più proporzionati sull'estero e portare l'Italia sotto il 50%. Prima del Covid c'era un programma già segnato, ora si spera di poter ripartire dove avevamo lasciato ma bisogna attendere. In Corea si stava andando bene e il nostro prodotto era percepito ma abbiamo dovuto abbandonare. In America, altro Paese per noi importante, non sappiamo cosa accadrà. Senza dubbio continueremo nei Paesi dove già lavoriamo, ma l'espansione andrà verificata». Che impatto ha avuto la pandemia sulla vostra azienda?«Devastante, non facciamo ristorazione ma forse il governo si dimentica che la nostra produzione scade come una mozzarella. Se non si sfrutta la stagione giusta poi tutto va in rimanenze che fanno perdere un sacco di soldi. Tanti punti diretti e ti crei un magazzino che vale poco. Abbiamo dovuto finanziare molto l'azienda e speriamo nella ripartenza altrimenti il nostro settore è in una grave crisi».Cosa chiede al governo per la moda?«Non chiedo aiuti specifici ma valutare, come fanno in Germania, la situazione di un'azienda. Se perde il fatturato, la differenza tra costi e ricavi deve essere rifinanziata. Oppure per tot anni non pagare più Irap, Irpef e il resto in modo da recuperare. Non ho la bacchetta magica ma vorrei che avessero rispetto per una delle filiere italiane più importanti e che crea lavoro. Se sono dei professionisti dovrebbero avere la capacità e il rispetto di capire di cosa ha bisogno questo settore che in Italia si suddivide tra lusso, che ha delle necessità, premium, che siamo noi e che ne abbiamo altre e il primo prezzo che ne ha altre ancora. Quindi valutare le opportunità anche in base a chi ha delle catene di negozi rispetto a chi ha solo la produzione, o chi ha fatto investimenti in macchinari».Cosa vede nel 2021?«La Cina è già ripartita alla grande e punteremo verso quel Paese».Lei si occupa anche di calcio ed è il patron del Verona e del Mantova. Cosa l'ha spinta a occuparsi di sport?«Tutto parte dalla passione altrimenti non puoi fare l'imprenditore del calcio. Ho giocato a calcio una vita e mi sono ritrovato con una serie di imprenditori a far sopravvivere la squadra della nostra cittadina, il Carpi. Faccio anche biciclette da tanto tempo, abbiamo un'azienda da dieci anni a San Marino che produce biciclette e motorini elettrici con il marchio Garelli».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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