2024-12-09
«Ora sull’autonomia possiamo procedere. La coalizione è unita»
Massimiliano Fedriga (Imagoeconomica)
Massimiliano Fedriga: «Il Friuli-Venezia Giulia chiederà competenze. Terzo mandato? Discutiamone. La Lega ha vissuto anni peggiori».Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli-Venezia Giulia, l’autonomia a voi cara è stata rasa al suolo dalla Consulta? «Non mi sembra. Sono state richieste alcune correzioni. Si può procedere verso un nuovo assetto che favorisca i cittadini. Come regione a statuto speciale, ne siamo la dimostrazione: abbiamo adottato misure su fisco, sanità e trasporti».Volete anche i poteri delle sovrintendenze.«Per avere personale legato al territorio e una maggiore efficienza. Bisognerebbe fare lo stesso con gli uffici giudiziari». Ahia.«Non eserciteremmo nessun potere. E c’è già una convenzione tra la nostra regione e la Corte d’appello per 30 dipendenti amministrativi». Lei presiede la Conferenza delle regioni. I suoi colleghi del Pd assicurano che la riforma distruggerà l’Italia.«È totalmente falso. Si può legittimamente condividere il centralismo, ma raccontare che spacca il paese è una colossale bugia. Come? Perché? Dov’è scritto? Nessuno da mai risposte. Sono preconcetti utili solo alla lotta politica. La riforma Calderoli, tra l’altro, ripercorre una strada già battuta dal centro sinistra con il ministro Boccia».Al secolo Francesco, già plenipotenziario piddino agli Affari regionali. «L’attuale testo è migliorativo, però». Sono contrari pure i governatori di Forza Italia.«Si preoccupano di come i cittadini percepiranno l’autonomia differenziata. La sinistra, invece, strumentalizza. Racconta che li impoverirà ulteriormente. Ma bisogna iniziare a colmare il divario, gestendo le competenze sul territorio. Pensare che il Mezzogiorno non sia all’altezza di farlo è umiliante». Sicilia e Sardegna sono già a statuto speciale…«Il buongoverno è fatto di persone. Quante volte l’Italia non è stata amministrata bene? Una cosa è l’assetto efficiente, un’altra è chi esercita il potere». L’autonomia è uno dei tanti pomi della discordia tra Matteo Salvini e Antonio Tajani.«L’ha votata tutta la maggioranza. Ed è scritta nel programma».Le incomprensioni proseguono.«Mi sembra che sui provvedimenti da votare la coalizione sia unita. Non vedo particolari criticità». Il governo arriverà alla fine della legislatura?«Certo. Se accadesse il contrario, non sarebbe un tradimento agli alleati, ma agli elettori. Sono loro a chiederci di andare avanti lealmente». Vincenzo De Luca, governatore della Campania, vuole il terzo mandato. Lei è favorevole?«Molto favorevole. Istituirlo non significa automaticamente essere riconfermato, ma offre solo la possibilità di sottoporsi di nuovo al giudizio popolare. Non vedo perché limitare la scelta. Eppure non ci sono limiti per cariche senza elezione diretta, vedi il presidente del Consiglio». Per Tajani, l’ipotesi «non esiste». «Non si possono fare le norme nell’interesse dell’uno o dell’altro. Serve una discussione generale. Bisogna far scegliere ai cittadini. Invece, per legge, gli si dice: non potete». De Luca ha già approvato la modifica. «Anch’io potrei far legiferare il consiglio, visto che ho competenza esclusiva. Ma vorremmo trovare una soluzione condivisa. La norma che impone di recepire quel limite non ha profili propriamente costituzionali».Pure Luca Zaia non può continuare a fare il presidente del Veneto.«Visto il consenso che ha, sarebbero tutti favorevoli a un ulteriore mandato. Ma si cerca di andare contro la volontà dei cittadini, per allontanarli ancora di più dalla politica». I vostri alleati avanzano nomi alternativi. Forza Italia lancia l’arcirivale Flavio Tosi, ex sindaco di Verona.«La discussione è sempre utile. Basta che non sia fatta a priori, escludendo Zaia. Non sarebbe democratico. Poi, se c’è qualcuno più bravo di lui, che si faccia avanti». Proprio Zaia, sulla Lega, dice: «Ho visto momenti migliori».«Io penso che sia un buon momento. In passato abbiamo avuto anche percentuali inferiori: rischiavamo di non entrare in Parlamento. Risalite e ridiscese sono sintomatiche. Siamo forti, radicati e uniti».Nel partito, molti non apprezzano l’attivismo di Roberto Vannacci.«Se il generale esprime posizioni coerenti con quelle della Lega, è benvenuto».Non sempre capita.«Certe idee non le condividevo e continuo a non condividerle. Ad esempio, quando dice che un omosessuale non è normale».Questione di statistica, ha spiegato. «Le minoranze, invece, sono normali. Anche quell’altra frase, nel suo libro: scrive che voleva toccare la pelle di un nero per capire com’è fatta».Se è «più o meno rugosa della nostra».«Si possono avere pareri forti, ma personificare le questioni può diventare pericoloso e offensivo. Poi, per carità, Vannacci fa pure critiche condivisibili».Ad esempio?«L’identità di genere. Ci sono gli uomini e ci sono le donne. Le teorie woke, per cui ognuno può essere chi vuole, stanno guastando gli individui e le loro relazioni. Questa è una impostazione culturale molto pericolosa». Lei è contrario all’eutanasia, a differenza di Zaia.«Voglio garantire la libertà di coscienza, ma la mia posizione è molto chiara. Abbiamo visto dove può portare la deriva. Ci sono Paesi in cui i depressi chiedono di morire. Così si legittima la teoria dello scarto: chi non è utile, non serve. Invece la dignità della vita dev’essere tutelata, altrimenti rischiamo la degenerazione: i deboli possono essere esclusi fisicamente dalla società». La gran parte degli italiani, però, è favorevole al suicidio assistito. «È una scelta emotiva. Si pensa di aiutare chi soffre, ma occorre una riflessione più profonda. Ci sono alternative serie e dignitose, come le cure palliative. Bisogna avere il coraggio di spiegare. Non ci può essere opportunismo elettorale su argomenti complessi». Anche Salvini è contrario.«Dimostra che siamo un partito vivo».E diviso?«Non mi sembra proprio». Al congresso della Lega lombarda non c’è un candidato unitario. «Sono processi democratici. Testimoniano salute, non debolezza». Salvini ha detto che gli piacerebbe diventare sindaco di Milano, sebbene «non a breve». «Sarebbe un ruolo strategico, ma per adesso sta facendo bene il segretario e il vicepremier». Zaia, invece, potrebbe guidare Venezia?«Spero che continui a fare il governatore».Infine, Fedriga. Sarà, prima o poi, segretario della Lega?«Non sarei in grado di farlo, onestamente. Nella politica nazionale bisogna esternare molto e cercare grande visibilità. Io però non amo la ribalta. Sono un riflessivo. Mi piace parlare di cose che approfondisco. Non ho il profilo adatto».Davvero?«Occorre riconoscere i propri limiti. E io non mi ritengo onnipotente». Lei è considerato il più moderato tra i leghisti.«Ho sempre espresso posizioni forti, nel rispetto di tutti. Anche i confronti accesi devono essere sulle idee. Voler umiliare l’avversario e impedirgli di esprimere un’opinione porta al deterioramento della politica. Non so se questo voglia dire essere moderato».Rimpiange l’ecumenico governo istituzionale guidato da Mario Draghi?«In un momento d’emergenza è stato un ottimo presidente del Consiglio, ma devono poter decidere i cittadini». Il suo partito, in Europa, fa parte dei Patrioti. Ma il misurato Fedriga non sembra un convinto sovranista.«Non mi sento mai perfettamente collocabile, la Lega però sta portando avanti battaglie fondamentali. Come quella sullo scellerato green deal, che aumenterà il livello globale di emissioni e ucciderà il nostro sistema produttivo». Lei è il governatore dei governatori da tre anni. Non dev’essere semplice mettere insieme posizioni tanto differenti nella Conferenza delle regioni.«Più del 90% delle votazioni avviene invece all’unanimità, cercando la sintesi. E un bel modello di cooperazione istituzionale». Solo una volta smarrì il garbo, ai tempi in cui era deputato. Durante una discussione sullo ius soli, attaccò l’allora presidente della Camera, Laura Boldrini. Fu espulso per due settimane. Quel record resta imbattuto.«Aveva usato il regolamento in maniera strumentale, per approvare velocemente un tema delicato. Era un sopruso contro la minoranza. Ho protestato vivacemente per un’ingiustizia». Le manca il potere romano? «Per niente».Come vede il futuro del Friuli-Venezia Giulia?«Sono ottimista. Ci sono tensioni internazionali che condizionano la nostra economia. La crisi del settore auto in Germania, ad esempio. Per questo, abbiamo lavorato per diversificare i Paesi verso cui esportiamo. Mi sono comportato da imprenditore. Con pochi clienti, sei troppo condizionato». Rimanendo in tema: Stellantis è stata predatrice?«Quell’azienda, che prima era la Fiat, ha avuto aiuti enormi dai cittadini italiani. Non sono stati ripagati mantenendo produzione e lavoro. Bisogna rispettare gli accordi presi. È un problema serio, da affrontare anche in Europa». Il motto preferito del triestino era «no se pol»: non si può fare.«È cambiato tutto, radicalmente. Siamo stati riconosciuti dalla Commissione europea come la regione più innovativa d’Italia. E l’anno scorso abbiamo avuto la maggiore crescita di investimenti esteri».Vorrebbe continuare pure lei a fare il governatore?«Se conserverò lo stesso entusiasmo, sì». Nel 2018 era scettico all’idea.«Non avevo intenzione di candidarmi, assolutamente. Poi però s’è rivelata la scelta più giusta e l’esperienza più bella che potessi fare». L’anno scorso è stato rieletto con un plebiscito. «Prima mi avevano chiesto se volevo tornare a Roma, per fare il ministro».E lei?«Ho risposto: ”No, grazie”. Sto bene qui, orgoglioso di amministrare la mia terra»..
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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