2025-04-28
«Nei reati dei ragazzi vediamo ancora l’effetto lockdown»
Il presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, Maria Carla Gatto (Ansa)
Il presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, Maria Carla Gatto: «I minorenni sono più fragili, anche la loro violenza è cambiata: ora è gratuita».Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i minorenni di Milano, gli ultimi dati inquietano: nel suo distretto, i tentati omicidi compiuti da chi ha meno di diciotto anni si sono triplicati. «Così come le uccisioni, del resto. Solo da settembre del 2024 a oggi, abbiamo avuto tre delitti con cinque vittime. Allarmante: non solo per il numero, ma anche per la modalità. Non nascono in situazioni emergenziali. Quei ragazzi vivevano insieme ai genitori. Erano integrati nel tessuto sociale».Gente normale. «Nel delitto di Garzeno, paesino tra le montagne del Comasco, un diciassettenne ha ucciso a coltellate un commerciante. La madre lo accompagnava con l’auto a fare scuola guida. Non parliamo di criminalità organizzata e nemmeno di ragazzi allo sbando».Un altro diciassettenne di Paderno Dugnano, Riccardo Chiarioni, ha sterminato la sua famiglia dopo una festicciola di compleanno: «Mi sentivo oppresso» s’è giustificato. «Ecco: il padre era un imprenditore edile. Ricordo pure il caso del ragazzo che ha colpito il vicino, poi sopravvissuto, con la mazza da baseball nel box: i genitori erano due professionisti. Non c’è più, insomma, quell’automatismo tra reato e emarginazione».Viene in mente Adolescence, serie televisiva del momento. Racconta, appunto, l’imprevedibilità del male: Jamie, insospettabile studente, di famiglia semplice e onesta, uccide una compagna di classe dopo essere stato dileggiato sui social. «Come in quella fiction, gli adulti sono spesso presenti ma distratti. Lo vediamo pure noi nelle udienze di convalida degli arresti».Cosa succede? «I genitori restano ai margini della storia. Procurano un bravo avvocato al figlio, ma lì sembra finire la loro partecipazione, almeno nell’immediato. Sembrano estranei. Appaiono immobili. Si comportano in modo simile agli adolescenti. Non capiscono, fino in fondo, cosa sta capitando».Hanno enormi responsabilità, allora? «C’è la mancanza di riferimenti affidabili, che possano guidare i giovani. Evidentemente, sono distratti dalle preoccupazioni. Non riescono ad andare oltre il quotidiano. Occorre invece aiutare i ragazzi a tirar fuori il meglio. Se gli adulti non entrano in relazione con loro, questo però è impossibile. Fare il genitore è il lavoro più difficile del mondo, certo. Ma bisogna almeno provarci».La distrazione diventa una colpa. È un altro dei, dibattuti, messaggi di Adolescence. «Ignorano i problemi di chi hanno accanto. Non riescono a parlare con i figli, tantomeno ad ascoltarli. Sono smarriti come loro. L’abbiamo verificato negli eventi tragici di cui ci siamo occupati recentemente».A Milano e dintorni, nell’ultimo anno, sono raddoppiate anche le misure cautelari contro i minorenni: da 211 a 427. «Aumenta pure la violenza. Ci sono due caratteristiche che ormai riscontriamo sempre più spesso in questi reati».Qual è la prima? «Vengono commessi con violenza gratuita. Quello sfogo di rabbia è come se fosse un metodo relazionale. In questa modalità di condotta, non conta il vantaggio economico».Manuel Mastrapasqua è stato ucciso a Rozzano, lo scorso ottobre, per un paio di cuffiette. «L’autore è un diciannovenne con precedenti. Lo conoscevamo: aveva un processo davanti al Tribunale dei minori. C’erano già segnali di allarme».Quelle cuffiette costavano quindici euro. «È uno di quegli episodi in cui la lesività prescinde dal vantaggio. Nessun motivo, appunto. Pura brutalità».Qual è la seconda caratteristica comune di questi reati? «Vengono commessi insieme ad altri. I ragazzi sono fragili. Il gruppo gli consente di avere una propria identità. Si sentono accettati. Possono arrivare a compiere azioni che da soli non farebbero mai: ad esempio, le violenze sessuali. Il gruppo dei pari è diventato un riferimento importante quasi quanto i genitori».Il branco. «Come la baby bang dei rapinatori di strada a San Siro, appena arrestati. Ci sono anche diciotto minorenni, la maggior parte egiziani».In carcere finiscono più extracomunitari che italiani? «Lo confermano i dati. L’anno scorso gli ingressi al Beccaria, l’istituto penale milanese, sono stati 297: di questi, 227 erano giovani stranieri. Sono ormai il 78% della nostra popolazione carceraria».Da che Paesi provengono? «L’87% è di origine islamica. Molti sono minori non accompagnati, senza riferimenti educativi o familiari».Clandestini, quindi? «Sono ragazzi che arrivano soprattutto dal Nordafrica, dopo lunghi viaggi. Sperano in un futuro migliore. Passano dal territorio milanese, confidando nell’aiuto di connazionali maggiorenni, molti dei quali vivono di espedienti».Provate a recuperarli? «Purtroppo, molti non si integrano nel tessuto sociale. E anche i tentativi di inserimento nelle comunità spesso sono fallimentari. In questi casi, la detenzione diventa l’estremo rimedio. Visto che la maggior parte è di cultura islamica, ho chiesto al ministero dell’Interno di autorizzare al Beccaria la presenza di un imam, da affiancare al cappellano. Una guida necessaria, tra l’altro, per aiutarli a capire e rispettare i nostri valori. Sarebbe una risposta importante alle nuove esigenze del sistema carcerario minorile».La rabbia è aumentata durante la pandemia? «L’abbiamo sperimentato, per esempio, con i maltrattamenti in famiglia. I ragazzi non potevano uscire. Erano obbligati a stare insieme ai genitori. Alla fine, si sfogavano anche su di loro».E adesso? «È una di quelle violenze in costante aumento, negli ultimi anni. Quasi sempre commesse da minori che assumono stupefacenti».La reclusione collettiva, ai tempi del Covid, ha esacerbato tanti giovani? «Si sono isolati sempre di più dal mondo reale, rifugiandosi in quello virtuale».L’ossessione è cominciata in quel periodo? «Perlomeno, s’è molto molto accentuata. Di tutto si sono preoccupati, meno che dei giovani. Hanno completamente dimenticato le loro esigenze. Tutti in casa: dai bambini ai ragazzi».Con quali conseguenze? «Hanno chiuso scuole, palestre e parchi. Hanno lasciato un’intera generazione in balia del vuoto, che è stato colmato dai social. Questo ha finito per accentuare il distacco dagli altri. Si può davvero pensare che i ragazzi siano così indifferenti alla vita? Non è soltanto quella degli altri: con i tentativi di omicidio e le violenze. È anche la propria: con i suicidi, i disturbi alimentari e l’autolesionismo. Come se quella stessa vita non dovesse essere salvaguardata. Come se potesse essere schiacciata senza alcun rimorso. È una cosa che lascia ancora sgomenti».La scuola, adesso, potrebbe aiutarli? «Quanto fosse fondamentale il suo ruolo, l’abbiamo scoperto proprio durante la pandemia. Sempre così tanto disprezzata, non era decisiva solo da un punto di vista educativo. Lo era anche per monitorare i ragazzi. La maggior parte di quelli che commettono reati ha abbandonato gli studi, fa assenze ripetute, mostra un comportamento disturbato in classe. Dobbiamo creare un’indispensabile alleanza tra scuola, famiglia, servizi sociali e psicologici. Bisogna intercettare i segnali di disagio e porre rimedio tempestivamente. Insomma, occorre investire sulla prevenzione: non si deve aspettare solo la risposta penale».Anni dopo la fine dell’emergenza, ci sono ancora strascichi? «Certamente, rimane questo distacco dai veri valori. Anche gli hikikomori, adolescenti isolati dal mondo, sono nati durante il lockdown».Nulla è stato come prima. «A me sembra che sia andata così. Erano chiusi nelle loro stanze, con il cellulare come unico modo per uscire dall’isolamento. Le relazioni non erano più sane. Nessuna possibilità di confronto personale. Tutto veniva filtrato».Una modalità che rimane imperante. «Basti pensare alle violenze di capodanno a Milano. I gruppi si sono incontrati sui social. Quei ragazzi neppure si conoscevano prima di diventare un branco».La giustizia minorile è in emergenza come gli adolescenti di cui si occupa? «La riforma voluta dal precedente ministro della Giustizia, Marta Cartabia, in alcuni casi ha burocratizzato le procedure, rallentando inevitabilmente la nostra capacità di rispondere. E poi ha reso impossibile per i giudici onorari svolgere buona parte dell’attività istruttoria. Sono aumentati in maniera incredibile gli arretrati. Abbiamo oltre tredicimila minori in attesa di un intervento».Nel frattempo, avanza la riforma della giustizia. «Non mi appassiona, a dire il vero. Preferisco i provvedimenti che possono incidere sull’efficienza del sistema giudiziario».Buona parte dei suoi colleghi ha scioperato, lo scorso gennaio, davanti al palazzo di giustizia. «Francamente, non mi sembra un argomento vincente per ottenere risultati».Lei, difatti, non s’è vista. «Quella mattina ero all’inaugurazione di una nuova palazzina del Beccaria, ristrutturata anche grazie all’aiuto dei privati. I giovani detenuti, per ringraziarli, hanno dipinto un quadro».Cosa raffigurava? «Un cuore con un cerotto».
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