2025-04-11
«Le nuove droghe sintetiche sono un rischio maggiore del fentanyl»
Maria Carla Bocchino (Ansa)
La dirigente Maria Carla Bocchino: «I nitazeni, acquistabili sul Dark web, cominciano a diffondersi e sono la principale minaccia, anche perché vengono pubblicizzati via social. Le mafie, però, puntano ancora sulle sostanze tradizionali».«Il fentanyl in Italia non ha ancora attecchito. Ma sarebbe un errore pensare che il pericolo non esista, in realtà, però, c’è una nuova sostanza che stiamo monitorando e che ci dà preoccupazione, è un oppioide noto come nitazene». La dirigente superiore della polizia di Stato, a capo del Servizio studi, ricerche, informazioni e progetti della Direzione centrale servizi antidroga, Maria Carla Bocchino , non ha dubbi: «I nitazeni, acquistabili sul Dark web, cominciano a diffondersi e sono la nuova minaccia, anche perché vengono pubblicizzati via social».Ci sono stati già dei sequestri?«Più che sequestri, proprio di recente, ci sono stati dei ritrovamenti. Era stata usata come sostanza da taglio per produrre altri stupefacenti».Di che tipo?«In mix con eroina e cocaina, per esempio».Mentre per il fentanyl?«Il fentanyl in Italia non è esploso come nel continente americano. In sei, sette anni abbiamo trovato pochissimi grammi. Ma alle porte ci sono, come detto, altri oppioidi sintetici, cioè quelle sostanze chimiche che imitano i derivati dell’oppio. Sono molto più pericolose, bastano dosi infinitesimali per causare dipendenza e morte. Il rischio è la letalità immediata».Come arrivano in Italia queste sostanze?«Per ora i canali sono quelli postali. Le spedizioni vengono fatte via internet. Il fentanyl è cento volte più potente della morfina. È leggerissimo, trasportabile in buste sigillate e acquistabile online. È un farmaco, sì, ma potentissimo. E per questo in Italia è soggetto a prescrizione rigidissima».C’è il rischio che la criminalità organizzata italiana metta le mani su queste droghe?«Per ora no. Le nostre indagini non hanno rilevato interesse da parte delle mafie italiane. I gruppi storici sono ancora concentrati sui traffici tradizionali: cocaina, eroina, hashish. Il fentanyl è troppo rischioso. Una dose sbagliata uccide. Le mafie puntano sulla sopravvivenza e sulla fidelizzazione, non sulle stragi, che attirano troppa attenzione».Chi lo traffica nel mondo?«I narcos messicani sono i principali fornitori degli Stati Uniti e del Canada. I cartelli colombiani iniziano a interessarsi. Gli albanesi sono grandi intermediari. Ma da noi, per ora, le uniche tracce arrivano da furti in ospedali o da diversioni terapeutiche: ovvero quando l’uso corretto di un farmaco viene deviato per scopi ricreativi».E il crack?«L’allarme è forte. Il crack è un derivato della cocaina. Negli ultimi anni abbiamo visto una crescita esponenziale. Costa poco, è facile da produrre, e crea dipendenza immediata. È un cotto e mangiato. Si consuma subito, perché è volatile. E diventa una trappola: dopo la prima assunzione, hai già bisogno della seconda».Chi lo consuma?«Si è abbassata l’età media. Circola nei contesti più depressi, nelle periferie, nelle aree marginali. Costa poco al grammo ed è molto più abbordabile. E quindi lo troviamo anche tra le fasce più giovani e meno abbienti».La criminalità organizzata commercia il crack?«Sì. L’Italia non è un Paese produttore, ma di transito. La coca arriva dal Sud America, fa scali, e qui si trasforma. Il crack viene preparato in laboratori improvvisati. E poi immesso nel mercato. Qui c’è il business della criminalità organizzata».Anche la cannabis è cambiata?«Assolutamente sì. Non è più lo spinello di una volta. La concentrazione di Thc (il principio attivo, ndr) è altissima. E spesso è misto a sostanze sintetiche. Il tossicodipendente non lo sa e intanto danneggia il suo cervello in modo irreversibile. Le cellule cerebrali, una volta alterate, non tornano più come prima. È una bomba a orologeria per il sistema nervoso».Ghb e Gbl, le cosiddette droghe dello stupro?«Non sono diffusissime, ma presenti. Il Ghb è un sedativo. Sparisce dal corpo in poco tempo. Il Gbl è il precursore, si trasforma in Ghb una volta ingerito. Peraltro il Ghb è una sostanza che il nostro corpo produce naturalmente, ma se viene assunto in forma concentrata si ottiene l’effetto psicoattivo. Il Gbl è usato anche nell’industria, quindi non si può vietare facilmente. Per esempio viene usato per la panna montata. Come per il gas dei palloncini, che, anche se qui da noi non è diventato un fenomeno diffuso, può essere usato per sballarsi».Il rischio è la somministrazione inconsapevole?«Esatto. Sono incolori, insapori, inodori. Possono essere sciolti in un bicchiere. E il rischio è altissimo. Se mischiati con alcol o altre droghe possono provocare choc, arresti cardiaci, ictus. Ma di per sé, il Ghb non è sempre letale. Il problema è il mix di sostanze».Cocaina rosa: c’è o è una leggenda metropolitana?«C’è. Ma non è vera cocaina. È una sostanza sintetica, che non è naturalmente rosa, ma lo diventa solo grazie a degli additivi. Dentro c’è di tutto: ammoniaca, metanfetamine, precursori chimici. È una sostanza molto pericolosa. Non è diffusissima, ma circola. Viene usata in contesti dove non c’è disponibilità di droghe pure e, allora, si mescolano le scorte residue o quello che si trova a casa».Quali sono oggi le sostanze più consumate dai giovani?«Se togliamo le droghe naturali, oggi il podio spetta a crack, ketamina e anfetamine. La ketamina è un farmaco, usato anche in medicina, ma nei contesti ricreativi viene sniffata o ingerita. Le anfetamine, comprese le pasticche di ecstasy, sono tra le più consumate. Costano poco, danno effetti euforici immediati, ma hanno un impatto devastante».Quanto conta l’informazione?«Tantissimo. Purtroppo c’è una cattiva informazione generale sulle droghe. I ragazzi iniziano per gioco, con uno spinello o una pasticca, magari accompagnata da alcol. E poi inseguono effetti sempre più forti. Basta avere una base di chimica e muoversi con qualche click su Google per trovare e ordinare i precursori e fabbricare la droga in casa».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
Continua a leggereRiduci
Mark Zuckerberg (Getty Images)