2023-12-25
«Napoli si è persa inseguendo “Gomorra”»
L’attrice e produttrice Ida Di Benedetto: «Non mi riconosco più nella mia città, rincorre solo eroi negativi. Ora ritorno nelle sale da protagonista con “Gli altri”, tratto dall’omonimo romanzo di Michele Prisco. A cinque anni scappavo a vedere i film nel cinema vicino casa».Ida Di Benedetto torna nelle sale cinematografiche dopo qualche anno di assenza con Gli altri, tratto dall’ultimo romanzo di Michele Prisco, pubblicato nel 1999, ma in parte ambientato nel 1952. La grande attrice teatrale è la da protagonista del film, uscito il 18 gennaio.Il romanzo di Prisco le è stato regalato molti anni fa… «Con un invito: “Non lo leggere ora perché non è adatto, quindi devi aspettare molto tempo”. Ogni tanto me lo vedevo davanti ed ero presa dalla curiosità, poi lasciavo perdere per via della promessa. Quando finalmente l’ho letto, prima del previsto, mi è piaciuto e ho conservato questa storia dentro di me, finché ho cominciato a lavorarci insieme a due sceneggiatori, Dino e Filippo Gentili».E ha deciso anche di produrlo. «La produttrice non è separata dall’attrice: in Italia fanno queste separazioni assurde. Con la mia casa di produzione, la Titania, ho prodotto delle cose magnifiche con personaggi straordinari, da Dante Ferretti a Vittorio Storaro, fino a Luis Bacalov. Ho sempre voluto il meglio per i miei film».Storaro è molto orgoglioso della fotografia di Caravaggio, diretto da Angelo Longoni. «Vittorio sapeva che avrei fatto Caravaggio, però passava il tempo e io non lo chiamavo. Anche se c’erano Rai Cinema e coproduttori tedeschi e spagnoli, il budget non era elevato e pensavo: “Come faccio a permettermi Storaro, che ha vinto tre Oscar?”. Un giorno mi ha telefonato lui: “Perché non mi stai chiamando?”. “Vittorio, figurati se non ti chiamo, ma io non ti posso dare quello che ti offrono in America”. “Allora passo in ufficio: voglio controllare il budget”. È venuto nel pomeriggio, l’amministratore gli ha mostrato tutte lo voci del budget e ha accettato di farlo per la cifra destinata all’autore della fotografia, commisurata ovviamente agli standard del cinema italiano».Voleva farlo a tutti i costi, insomma. «In seguito, mi rivelò che da ragazzo, quando vide con la sua fidanzatina nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma il trittico di Caravaggio (La vocazione di San Matteo, San Matteo e l’angelo, Il martirio di San Matteo, ndr), giurò che avrebbe fatto questo mestiere e avrebbe raccontato la vita del grande pittore. Questo episodio lo aveva talmente introiettato che non avrebbe mai potuto rinunciare per una questione di denaro. Una grande lezione di un grande maestro».Anche lei nella sua carriera ha sempre percorso una sua strada personale, privilegiando il cinema d’autore. «Ho fatto però anche qualche commedia, con grandi registi: Più di bello di così si muore di Pasquale Festa Campanile e Testa o croce di Nanni Loy, con Nino Manfredi. Quando ho prodotto la prima fiction, Chiaroscuro, ho chiamato proprio Manfredi, assieme alla moglie di Giorgio Strehler, Andrea Jonasson. Un giorno lei si accostò e mi disse: “Ida, noi due ci somigliamo pure, perché hai chiamato me?”. “Perché io voglio fare un ruolo brillante e non me li fanno fare quasi mai e perché, da produttrice, penso che tu sei perfetta per questo ruolo”. Dimenticavo me stessa per la responsabilità di fare una cosa perfetta. Sono una perfezionista. Gli altri è un’opera prima, ma per me non lo è perché è un film che ho studiato per anni».Perché ha puntato sull’esordiente Daniele Salvo e non su regista già affermato? «Lo avevo visto in teatro. Daniele è un regista teatrale, proviene dalla scuola del Teatro Stabile di Torino e ha lavorato per tanti anni con Luca Ronconi. Chi viene dal teatro ha una marcia in più».Tra gli interpreti c’è il cantante Peppe Servillo, fratello di Toni. «Peppe aveva lavorato in un’altra mia produzione, il film televisivo Mannaggia alla miseria! di Lina Wertmüller, che mi ha fatto scritturare tutti i suoi attori. Io adoravo Lina per la sua ironia, per la sua intelligenza, per tutto. Come produttrice cercavo quel tipo di registi perché ho cominciato a fare l’attrice con grandi nomi: Salvatore Piscicelli, che ha debuttato con me con Immacolata e Concetta e poi abbiamo fatto tanti film assieme, e Carlo Lizzani, che mi ha diretta in Fontamara, per il quale ho vinto il Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista».Agli inizi della carriera ha fatto due film con Werner Schroeter, uno dei maestri del nuovo cinema tedesco, Nel regno di Napoli e Palermo o Wolfsburg. «Schroeter mi ha tolto la patina teatrale, avendo cominciato da poco a fare l’attrice. Si era fissato dopo aver visto una mia foto, ma io ero in tournée. Quando ci siamo finalmente incontrati, ha detto, guardandomi fisso negli occhi: “Io voglio te”. “Ma io devo continuare la tournée teatrale…”. Allora ha chiamato il direttore di produzione: “Cambia tutto: lei la voglio da domani. Quanto hai? Una settimana? Bene! Per una settimana lavori con me e basta”. Pensavo: “Sarà matto!”. Mi ha spiegato esattamente il personaggio che dovevo fare, qual era il suo atteggiamento interiore, senza copione!».Nell’approfondire il personaggio era come un regista teatrale… «Il regista teatrale ti dice, però, anche il millimetro dove ti devi sedere, Werner invece mi lasciava libertà. Per lui era importante capire com’ero nel profondo, per cui osservava attentamente come muovevo le mani, come guardavo, studiava le mie pause. Nel film successivo mi fece parlare in tedesco».Ha dovuto recitare in tedesco senza conoscere la lingua… «Ho imparato a memoria le le battute, però la lingua mi era familiare perché parte della mia famiglia paterna era un po’ tedesca, un po’ austriaca. Da loro ho preso la precisione e la puntualità, il prendere sul serio le cose, imparare a essere obbedienti ai maestri. Quando ho fatto una bella partecipazione in Camera d’albergo, con Monica Vitti e Vittorio Gassman, mi avvicinai a Mario Monicelli, di cui tutti avevano paura perché con lui non poteva volare una mosca, e gli dissi: “Ho fatto dei piccoli cambiamenti”. “Fammi leggere… sì, so’ buoni, falli”. Fin dall’inizio ho sempre avuto il pallino di correggere il copione perché la mia parte, scritta da altri, devo farla mia».L’anima napoletana viene, quindi, da sua madre? «Viene dalla famiglia materna, ma pure mio padre era napoletano. Mia madre era un’artista, suonava il pianoforte, la chitarra e il mandolino. Dopo aver fatto i due film con Schroeter, in Germania ero diventata una beniamina: allora la regista Ula Stöckl venne a casa mia a Napoli, dove c’erano mia madre e le mie due figlie. Dovevo andare a Ischia in vacanza e Ula mi disse: “Posso rimanere a casa tua? Devo scrivere una sceneggiatura per te e per la tua famiglia e poi la giriamo a Berlino”».Come si intitola? «Il sonno della ragione, in tedesco Der Schlaf der Vernunft. Era una Medea moderna e comparivano sia mia madre che le mie figlie. Ci siamo divertite tanto perché mia madre, il primo giorno di riprese a Berlino, vide due ragazzi tedeschi avvicinarsi con un pentolone dove c’era del brodo. “Voi avete proprio sbagliato: io l’acqua non la bevo a pranzo, quindi adesso vi faccio una lista, andate a comprare quello che vi chiedo e cucino io”. Quindi tutti i giorni la regista lasciava mia madre un’ora e mezza prima perché doveva cucinare per tutta la troupe e dopo ogni pranzo la prendevano in braccio e la portavano in giro per il set gridando: “Viva Pina”».Suo padre cosa faceva? «Mio padre Renato era un costruttore, pieno di fantasia. Scriveva di eventi culturali sulla terza pagina del Roma, con lo pseudonimo Redi, e ha scritto anche su una rivista di Giovannino Guareschi (Candido, ndr). Era un uomo che aveva del talento, sicuramente ho preso da tutti e due».Lei fin da piccola voleva fare l’attrice? «Vicino casa c’era un cinema e io, verso i cinque anni, già scappavo lì: dovevo bussare alla cassa per farmi notare, tanto ero piccola! Vedevo ogni film due volte e mio padre impazziva dal dolore perché non mi trovava».Una parte della sua carriera è legata a Napoli, ma a settembre proprio lì è stata vittima di una rapina nella sua casa. «Pensavo che da napoletana arrivata a certi livelli cinematografici fossi addirittura intoccabile. Non mi riconosco più nella mia città. Tornerò a vivere a Roma. Mi mancherà il mare. Il bellissimo titolo del libro di Anna Maria Ortese Il mare non bagna Napoli, che sembrava un po’ incomprensibile, oggi cade proprio a fagiolo: la bellezza di questo mare non bagna Napoli perché la città si è perduta, inseguendo eroi negativi, ma pur sempre considerati eroi. Come gli eroi di Gomorra».Lei aveva fatto tre film con un altro eroe popolare, Mario Merola: Tradimento, Giuramento, Guapparia… «Goffredo Fofi e Franca Faldini, sconvolti da questa mia scelta, mi telefonarono: “Ida, ma che stai facendo? Scusa, tu che vieni dal cinema alto fai i film con Mario Merola? Noi ti vogliamo parlare quando torni a Roma”. Vennero a casa e io mi studiai un bel discorso: “Io sono nata Napoli: Napoli ha mille possibilità, mille voci, mille talenti…”. Mi incuriosiva Mario Merola, adorato da tutti, e volevo scoprire perché era diventato un fenomeno. I fenomeni popolari diventano inevitabilmente fenomeni culturali e vanno studiati».Com’era umanamente Merola? «Una persona deliziosa. Mi ha trattato meglio di Andrea Camilleri…».Cosa c’entra Camilleri? «Sono andata a Todi al vernissage di una mostra di uno sculture siciliano, amico dello scrittore, anche lui presente. Mi sono avvicinata per presentarmi: “Scusi, permette, mi chiamo Ida Di Benedetto…”. E lui: “E sei cretina!”. “Che ho fatto?”. “Ma come ca… non ti ricordi che abbiamo lavorato insieme: tu hai fatto con me la televisione, hai fatto con me la radio, ma dove ce l’hai il cervello?!”. Aveva un’altra fisionomia quando lo avevo conosciuto molti anni prima che diventasse celebre e non l’avevo associato. Gli chiesi perdono. Avevo rimosso il grande Camilleri».
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
Rifugiati attraversano il confine dal Darfur, in Sudan, verso il Ciad (Getty Images)
Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.