2024-11-04
«Proposi io un civico in Liguria e avevo quasi tutti contro»
Parla Claudio Scajola, sindaco di Imperia, provincia decisiva nell’elezione di Marco Bucci: «Ho rassicurato la Meloni che la vittoria era certa. Non ho mai patteggiato come Toti, ognuno ha il suo carattere».Tutti la cercano, tutti la vogliono.«Per parlare e confrontarsi, sì. Che mi vogliano, ho qualche dubbio però».L’inaffondabile Claudio Scajola, sindaco di Imperia, a settantasei anni è ancora sulla breccia. «Quest’improvvisa attenzione, mi creda, comincia a infastidirmi. Le racconto un aneddoto. Nel 2001 Berlusconi andò dal presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, per anticipargli i nomi dei tre ministri più importanti del governo: “Agli Interni vorrei proporle Scajola” esordì. Ciampi rispose: “E chi è Scajola?”. Ecco, io ho sempre preferito fare piuttosto che apparire». È lei l’artefice della vittoria di Marco Bucci, il sindaco di Genova eletto governatore della Liguria?«Il merito è suo. Io ho solo detto per primo che bisognava cercare un civico, trovandomi contro quasi tutti».Chi?«Faccio prima a dire chi era d’accordo: Antonio Tajani a Roma e il viceministro Edoardo Rixi in Liguria. Gli altri lo consideravano un attentato ai partiti. Invece, ci serviva qualcuno fuori dalla mischia, per intercettare altri voti». Dopo aver perorato la scelta, s’è adoperato per la causa.«Per lungo tempo, quando facevo il romano, ho gestito Forza Italia e le candidature. Bucci, nei sondaggi, era considerato più capace di Andrea Orlando in quel ruolo. Ma eravamo comunque dieci punti indietro, considerando le scorse europee. Per questo, loro hanno rinunciato all’alleanza con Matteo Renzi: erano sicuri di vincere. Poi però è cominciata la vera campagna elettorale. Da una parte, c’era l’uomo del fare: chi ha ricostruito il ponte e vuole le infrastrutture. Dall’altra parte, c’erano i signori del no: verdi, ecologisti e sinistra radicale». Il suo Ponente, già feudo forzista, non ha tradito.«I 16.000 voti di scarto nella provincia di Imperia sono stati determinanti: la distanza finale, tra Bucci e Orlando, s’è limitata a 9.000 preferenze». Alle quattro e mezza del pomeriggio, come ai bei tempi in cui analizzava flussi e spartiva collegi, aveva già chiaro tutto. Gli altri tribolavano, lei piantava la bandierina. «Abbiamo confrontato i seggi mancanti con il voto di giugno. La vittoria era certa. L’ho detto subito a Bucci, per tranquillizzarlo. Poi, m’è suonato il cellulare. Era Tajani: “Sono qui con Giorgia. Sei sicuro del risultato?”. Ma sa, una certa mano ancora ce l’ho…».I leader del centrodestra le saranno riconoscenti?«La battaglia non l’ho fatta per questo. Sono sindaco della mia città e presidente della provincia, amo questa regione, ho fatto quattro volte il ministro. La Liguria non poteva finire in mano all’estrema sinistra. Ho scritto un messaggio a Orlando: “Sei un politico di valore, ma la tua coalizione ha spaventato i moderati”».Anche i renziani hanno votato per Bucci? «Al di là delle indicazioni, quando Orlando ha accettato il diktat dei 5 stelle, non solo ha perso qualche candidato, ma ha anche spaventato la gente. Diversi amministratori locali, che alle politiche stavano con Italia viva, hanno appoggiato Bucci».Elly Schlein aveva già messo le mani avanti: «Non ci vedo un test nazionale». «Se fosse stato così, non avremmo assistito al pellegrinaggio della segretaria del Pd perfino nei comuni più piccoli. La verità è che pensavano di vincere le regionali tre a zero. Adesso invece siamo uno a zero per il centrodestra moderato. Questo può contribuire a influenzare l’opinione dell’elettore medio, a partire dal voto in Umbria».I pm hanno perso le elezioni?«La cosa più vergognosa è che, quando Bucci ha deciso di candidarsi, la Liguria è scomparsa dai giornali e dalle tv. Salvo poi, negli ultimi dieci giorni, tornare protagonista di trasmissioni che enfatizzavano l’inchiesta su Giovanni Toti. A dimostrazione di quanto la sinistra fosse impaurita».Si riferisce alla puntata di Report sull’ex governatore ligure?«È stata la cosa più scandalosa. Domenica sera, in pieno silenzio elettorale, a urne aperte, hanno fatto illazioni inaccettabili». E i magistrati? «L’indagine è durata tre anni. Intercettazioni, pedinamenti, video. Gli arresti però sono arrivati solo qualche mese fa. Sicuramente, l’inchiesta è stata usata per incidere sull’opinione pubblica».Eppure, lei non ha mai amato Toti. «Le dirò di più. Con lui ho avuto rapporti burrascosi, di dura contrapposizione. Me lo sono trovato contro nel 2018, assieme alla sua corazzata, quando decisi di candidarmi a sindaco. Dopo, abbiamo iniziato ad avere scambi istituzionali corretti. Nella terza fase, la relazione è diventata amichevole». Adesso?«Sono stato il primo a difenderlo per le anomalie dell’inchiesta, durata tutto quel tempo e culminata con un provvedimento restrittivo abnorme. Molte cose, per me, restano ancora incomprensibili. E poi c’è il lato umano: non mi piace prendermela con i deboli, ma con i forti». Toti ha fatto bene a chiedere il patteggiamento?«Sono valutazioni personali. Ma capisco che, davanti a un processo destinato a durare una vita, si pensi: “Me lo levo di torno”». «È un’ammissione di colpevolezza», hanno ripetuto gli avversari in campagna elettorale.«Credo invece che sia stata una scelta sofferta e comprensibile. In ogni udienza, sarebbe uscita una nuova carta che avrebbe alimentato la gogna. Per scansare questa prospettiva immagino che abbia preferito il patteggiamento». Lei però non l’ha mai fatto. «Ognuno ha il suo carattere. Io ho aspettato con pazienza. Mi sono messo da parte per otto anni».Senza vacillare? «Sono sempre stato convinto che, prima del padreterno, qualcuno mi avrebbe dato ragione». Diciannove tra archiviazioni e assoluzioni. «Come la storica vicenda della casa al Colosseo per cui mi sono dimesso nel 2010 senza ancora aver ricevuto un avviso di garanzia. La sentenza ha confermato che avevo detto la verità».Anche il «caso Matacena», per cui venne arrestato, è finito a luglio: reato prescritto in appello.«Farò ricorso in Cassazione, sperando di venire assolto ancora una volta».Quanto le è costato umanamente?«Tantissimo. A me, alla mia famiglia, ai miei amici. Ed è il motivo per cui ho deciso di candidarmi a Imperia. Volevo capire, dopo anni di attacchi terribili, cosa pensavano i miei cittadini».Ed economicamente?«La vendita di due case. E la collezione di auto d’epoca, che avevo restaurato in 30 anni: ora me ne rimangono un paio. Non ho avuto aiuti, ce la siamo cavata da soli». Prima delle inchieste, veniva considerato uno degli uomini più potenti d’Italia.«Esagerano». Poi, nel 2010, arriva il tonfo.«Ho un carattere forte. Riesco, anche nelle condizioni più difficili, a girarmi nel letto e prendere sonno, pensando: “Passerà”. La mia forza è sempre stata la famiglia: mia moglie e i miei due figli. Abbiamo condiviso proprio tutto. E poi, mi ha aiutato la fede».Seguono otto anni di purgatorio, chiuso in casa a schivare le accuse. «Ho aspettato pazientemente che mi fosse resa giustizia. Studiavo le carte. Mi dedicavo ai francobolli. Leggevo i libri di storia. Sapevo che prima o poi sarebbe finita».Come si sopravvive all’ignominia?«Con la convinzione che, comunque, la giustizia sarebbe arrivata. E non certo per riprendere a far politica. Per me era un capitolo chiuso». Nel 2018 decide però di ripartire da dove aveva iniziato: si candida sindaco di Imperia, 36 anni dopo. «C’era una giunta di sinistra. Gli amici mi sollecitavano: “Qui crolla tutto”. Ma io schivavo gli inviti. A dicembre 2017, però, è arrivata una delegazione in casa. Allora, per la prima volta, ho visto mia moglie convinta: “Ci devi provare. Comunque vada, ti farà bene”. Ho accettato questa sfida per lei, sicuro che il centrodestra ne sarebbe stato contento. Invece, mi sono trovato contro un altro candidato. Sono andato avanti lo stesso però, con una squadra di giovani».E Berlusconi? «C’è sempre stato, anche quella volta. Lui non seguiva più queste cose, ma pretese di far cambiare il simbolo in «Forza Imperia» a chi si era messo contro. La prima telefonata, quando mancavano ancora due seggi, fu la sua: “Claudio, era sicuro che avresti vinto tu. I nostri non capiscono niente”».Tajani è un degno successore? «A gennaio mi ha chiamato per andare al congresso che lo ha eletto segretario. Oltre al passato, condividiamo pure il nuovo percorso per rinnovare Forza Italia. C’è bisogno di un partito moderato: atlantista, riformista e garantista».Scajola, l’inossidabile. Il tardivo momento di gloria è la giusta ricompensa? «Sono soddisfatto. Non chiedo niente. Sono felice che ci sia un presidente di regione che terrà in grande considerazione il Ponente».Non ha ulteriori velleità?«Coltivo solo la speranza di un governo stabile, che riesca a fare riforme importanti, dal sistema elettorale alla giustizia».Meloni è sulla strada giusta?«È una persona capace e di valore. Adesso serve il salto in avanti, per fare riappassionare la gente alla politica».Il suo potere sarà longevo?«Ha due grandi pregi. Non ha scheletri nell’armadio, quindi è una donna libera. E poi è una che decide: volitiva, coriacea, combattiva». L’eterno Scajola, invece, sarà sindaco almeno fino a ottant’anni. «Spero di arrivarci. Poi mi dedicherò alle passioni e alla famiglia. Proprio nel giorno della vittoria di Bucci, ho avuto una notizia straordinaria: diventerò nonno di due gemelle». Come riassumerà la sua vita alle nipoti?«È stata movimentata, fatta di ascese e cadute. D’altra parte, ho sempre disprezzato i pavidi. Non siamo sulla terra per sopravvivere».
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