2020-01-27
Intanto i negozianti chiudono: «Siamo rovinati da Internet e asfissiati dalla burocrazia»
Protestano i commercianti contro fisco penalizzante e infrastrutture informatiche carenti: «Pretendiamo la parità di concorrenza con i colossi della Silicon Valley».«Vogliamo parità di concorrenza, le multinazionali del Web hanno una fiscalità più bassa e sono avvantaggiate», sono state le prime dichiarazioni del nuovo presidente di Confcommercio Veneto, Patrizio Bertin, annunciando nei giorni scorsi che oltre al problema della vendita online, l'altra grande sfida da affrontare subito «è la complicazione burocratica, a partire dallo scontrino elettronico. Le piccole attività nei paesi di tutto il Veneto non riescono più ad andare avanti perché non riescono a gestire queste innovazioni. E i sindaci dei piccoli centri ci chiedono aiuto perché la chiusura dei negozi nei piccoli centri è un problema grave per i cittadini, sono dei presidi sociali, di aiuto e sicurezza», sottolineava l'imprenditore. Con il nuovo fisco telematico, l'anno è cominciato malissimo per tanti piccoli esercenti. La nuova modalità di certificazione delle vendite, memorizzata e trasmessa via Internet a cadenza giornaliera all'Agenzia delle entrate, implica pesanti costi per un nuovo registratore di cassa, obbliga i titolari dei negozi a corsi di formazione ma soprattutto dà per scontata la connessione online. In molti paesi funziona male o è del tutto assente, rendendo impossibile lo scontrino elettronico per botteghe a conduzione familiare. «Dovrebbero avere la fiscalità azzerata, invece ancora una volta si è deciso di appesantire i titolari con nuovi costi», commentava Alberto Marchiori, presidente di Confcommercio Pordenone. Chiudono così locali importanti nel tessuto dei paesi, come il barbiere, il negozio di generi alimentari, il fioraio, la rivendita di giornali. Il 2 gennaio non ha più riaperto la bottega di alimentari di Vincenzo e Laura a Podenzoi, frazione del Bellunese. In quella zona anche i telefoni cellulari fanno fatica ad avere copertura, Internet è un miraggio. «Sono arrabbiato con tutti», è stato l'ultimo sfogo del signor Vincenzo, 68 anni: adesso anche lui deve prendere l'auto per andare a comprare il pane a Longarone, come sono costretti a fare i suoi ex clienti.Mario Pozza, presidente della Camera di commercio di Treviso Belluno, ha definito «omicidio dei piccoli negozi» il ritmo con quale chiudono i negozi in montagna: -74 in un anno, un'attività ogni 5 giorni. A novembre, l'Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre (Cgia) calcolava che in dieci anni sono andati persi quasi 200.000 negozi di vicinato per il taglio dei consumi delle famiglie, per le imposte, gli oneri burocratici, le difficoltà a passare al digitale, la concorrenza sleale del canale Web sul piano fiscale. «Deficit e carichi che ogni giorno, in Italia, causano la chiusura di 14 negozi», riferiva lo scorso ottobre Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti. «Hanno pesato le tasse, il sistema Italia, la mancanza di parcheggi, e la crisi del settore che risente sempre più la concorrenza delle farmacie che allargano l'offerta con prodotti naturali. Oggi sono disoccupato e come capita alle partite Iva che dismettono l'attività, senza alcun sostegno diretto da parte dello Stato», si è lamentato con Il Gazzettino Loris Manfè, naturopata a Fontanafredda, in Friuli Venezia Giulia. «Troppa burocrazia, siamo stanchi», lamentavano Lella e Leo, titolari del bar Losito di Mestre che ha chiuso lo scorso 14 dicembre dopo 48 anni di attività. Preparavano tutti i giorni prima colazione e pranzo, erano un punto di riferimento accogliente ed economico. L'Irap, la Tari che si paga in base alla superficie dei locali occupati, la tassa sull'ombra, il nuovo pos non permettono di vivere al negozio di abbigliamento della signora Serena Iseppi a Follonica, in provincia di Grosseto: «Chiudiamo prima di fare debiti o fallimenti», è stato l'amaro commento. A pochi metri di distanza, dal 1° gennaio non ha più alzato le serrande la bottega di Mario Cappellini, 78 anni, aperta nel 1958. Vendeva alimentari ma anche frutta e verdura, detersivi grazie a una vecchia licenza che veniva rilasciata ai negozi di quartiere. Per il signor Mario «era un'attività di famiglia». Brunilde Cocchi, 99 anni, merciaia di Prato, è ancora una presenza attiva nel negozio inaugurato dalla madre nel 1927. La mattina Brunilde frequentava le elementari, il pomeriggio lo trascorreva tra bottoni, fili e nastri: «A casa mia bisognava lavorare», ha raccontato a TvPrato. «Appena mettono obbligatorio lo scontrino elettronico, svendo tutta la merce è chiudo. Dipende da chi ci guida, che ci guida male», assicura la signora che il prossimo 22 maggio compirà 100 anni. «Dopo 80 anni di attività la signora Brunilde è costretta a chiudere bottega a causa del pos obbligatorio voluto dal governo. Ha resistito alla concorrenza sleale cinese, non a quella di uno Stato spione e vessatore. Manderemo a casa prima possibile questo governo ammazza imprese», aveva promesso Giorgia Meloni, leader di Fdi. Intanto lo scontrino elettronico ha già costretto a casa un'altra decana dei commercianti, Dolores Cabassi di 93 anni, che a fine dicembre abbassava definitivamente la saracinesca del suo negozio di biancheria intima a Casarsa della Delizia, in provincia di Pordenone. In 63 anni di attività ha fronteggiato crisi, nuove esigenze della clientela, sopravvivendo alle mode ma non alla digitalizzazione delle casse. A Treviso, nel 2019 i negozi abbandonati sono stati 200. L'avvocato e vicesindaco di centrodestra della città veneta, Andrea De Checchi, sta cercando un super manager capace di riqualificare il centro storico, dando supporto economico ma anche burocratico alle nuove attività. «Bolzano sta pagando gli esercenti perché rimangano aperti, noi non vogliamo questo ma chiediamo alle istituzioni un aiuto per poter rimanere aperti anche nelle piccole realtà», ribadisce il presidente di Confcommercio Veneto, Patrizio Bertin.