2025-05-20
Zampino di Macron sul voto rumeno. Ma stavolta non si allarma nessuno
Elezioni in Romania (Ansa)
Il fondatore di Telegram, Pavel Durov, ha rivelato che i servizi di Parigi gli avrebbero chiesto censure sui gruppi anti Nato. È solo un episodio di una questione più ampia, che però indigna a giorni alterni.Social, campagne elettorali e servizi segreti. Tre elementi che sempre più spesso compaiono tutti assieme in articoli o in report che dibattono sul futuro della democrazia. Il voto in Romania, che ha visto la sconfitta del candidato di destra a favore di quello pro Ue, è stato di fatto un bis, dopo che lo scorso inverno i risultati erano stati invalidati per presunte interferenze russe. Adesso polemiche a Bruxelles non ve ne sono, ma a riaccendere il tema sono i post di Pavel Durov, fondatore di Telegram. L’ingegnere russo ha direttamente accusato i vertici del Dgse, i servizi esterni francesi, di aver richiesto espressamente di bandire dalla piattaforma i gruppi politici rumeni filo destra e anti Nato. Nicolas Lerner, il direttore dell’intelligence, ha ovviamente smentito, ma non è riuscito a fugare una serie di dubbi che derivano dall’anomalo arresto di Durov che è finito in manette all’aeroporto di Le Bourget lo scorso agosto. Fin da subito il suo fermo è apparso poco collegato con le motivazioni ufficiali, seppur vere. Da anni la piattaforma viene utilizzata da trafficanti, pedofili e altro genere di delinquenti. Nessuno si è mai particolarmente mosso per trovare una soluzione. E, a onor del vero, Durov su questi temi ha più volte collaborato con le autorità.Negli ultimi anni Telegram è però diventata una piattaforma per fare le guerre e per fare attività politica. È una questione complessa e sfaccettata con significative implicazioni legali, politiche e sociali. Solleva domande critiche sull’equilibrio tra sicurezza nazionale e libertà individuali, il ruolo della crittografia nella comunicazione moderna e dei governi nell’era digitale. Le proteste internazionali e il coinvolgimento di dati di alto profilo nel dibattito da subito ha fatto capire che l’arresto avrebbe causato conseguenze di vasta portata nella privacy digitale. Già nel 2017 il Cremlino aveva chiesto le chiavi di crittografia di Telegram. Due anni prima era stata Pechino a chiedere di moderare e censurare dei contenuti e la risposta fu picche. L’India ci ha provato nel 2020, senza ottenere alcunché. La Germania ci ha provato nel 2021 sventolando la bandiera della lotta all’hate speech. L’anno dopo il Brasile. Pure Recepp Tayyip Erdogan aveva chiesto a Durov di avere informazioni sui dissidenti in piazza nel 2021. E al leader turco andò bene. Telegram sganciò qualche informazione. Così come è accaduto nel 2020 in Arabia Saudita. I francesi hanno fatto però un salto in avanti. Cercando di mettere mano alle chiavi crittografiche per visionare l’intera mappa delle conversazioni. Le chat a cui sono iscritte milioni di persone evidentemente si ritiene che debbano essere espugnate. A dirlo con parole nette non siamo certo noi, ma a scriverlo è addirittura l’Atlantic council. Il famoso think tank Usa lo scorso giugno ha pubblicato un lungo paper dal titolo diretto: Another battlefield: Telegram as a digital front Russia’s war against Ukraine. Non serve nemmeno tradurlo. Il dito è puntato sulla piattaforma come campo di battaglia.Assieme a Dfrlab (Digital forensic research lab), gli analisti hanno monitorato canali e gruppi e con una combinazione di strumenti tecnologici avanzati, analisi open source (Osint) e competenze specialistiche hanno analizzato il traffico, classificato gli utenti e scaricato dati pertinenti. I metadati forniscono informazioni interessanti sui trend e sugli obiettivi politici degli iscritti. Tanto che il report citato ha poi messo nero su bianco la lista delle chat più influenti e più seguite attorno al tema della guerra in Ucraina. Ma anche in Asia e in Africa. Finora il faro è stato puntato su quelle regioni. Ma ci vuol nulla ad aprire un file anche dentro l’Europa. Il caso della Romania è dunque l’esempio concreto di cosa possa controllare l’intelligence. Non dobbiamo più meravigliarci. Abbiamo avuto un altro assaggio concreto con Afd. Lungi da noi difendere le loro posizioni politiche, ma si tratta di un partito che ha circa il 20% dei voti. Eppure è finito in un circuito di controllo e infiltrazione che va ben oltre i vincoli del codice penale. Non solo, ritornando alle attività francesi, il sito di analisti militari debuglies, che abbiamo citato in altre occasioni, riporta uno specifico report sulla battaglia a colpi di satelliti tra Parigi e gli Usa e svela un dato legato alla comunicazione riportando «un’esplosione di narrazioni anti-Starlink sui social media». Un totale di 50.000 post tra gennaio e marzo 2025. Secondo gli analisti il motivo sarebbe da ricondurre a un investimento da 10 milioni da parte della Dgse nel chiaro tentativo di influenzare l’opinione pubblica. Fino a che si è trattato di utilizzare i dati criptati per controllare potenziali terroristi in giro per il mondo, l’Occidente non si è interrogato sulla reale capacità delle piattaforme digitali. Adesso il tema ce lo ritroviamo in casa. È vero, l’Intelligenza artificiale influisce sulle campagne elettorali e spinge la propaganda, ma l’altro lato della medaglia è la violazione della libertà di chi vuole usare il voto per scardinare un equilibrio. Questo fa parte della democrazia. Se i servizi si inseriscono in tale dibattito dovrebbe apparire chiaro a tutti che si può scivolare verso uno scenario cinese. E non va bene.
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
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