2021-04-13
Infiltrati al corteo degli esercenti disperati
Scontri, bombe carta e cariche della polizia alla manifestazione «Io apro» davanti a Montecitorio. Che non ha rispettato il divieto della questura. E ha prestato il fianco a pochi facinorosi. Scelta opposta da parte del Mio, che ha preferito dialogare con le istituzioni.La protesta sacrosanta non deve essere sporcata dalla violenza. Certi giornali, che già li chiamano evasori, non aspettano altro.Lo speciale contiene due articoli.Si stempera in un acquazzone alle cinque della sera un pomeriggio di ordinaria fobia. Paura delle forze dell'ordine che i manifestanti attaccassero i palazzi di Montecitorio e Chigi, paura dei manifestanti stessi che tutto degenerasse perché si sono infiltrati quelli di Casa Pound che hanno animato gli scontri più duri, paura nel centro di Roma blindato e tenuto in stato di assedio per quattro ore. C'è stata anche una vena di follia, con Casa Pound che ha inalberato uno striscione con scritto: «La paura di morire non ci fa vivere». Hanno provato più volte a sfondare: in via del Corso, in piazza San Lorenzo in Lucina per arrivare fin sotto al Parlamento, ma sono stati respinti da diverse cariche di alleggerimento della polizia, ma gli stessi manifestanti hanno isolato i provocatori gridando: «Che volete? Non siete lavoratori». In piazza con il movimento dei ristoratori «Io apro» è andata la disperazione. Per l'ennesima volta. Ci sono stati petardi e bombe carta, fumogeni e lanci di bottiglie: una è finita in testa a un manifestante, un'altra ha colpito un operatore del Tg5, pare che sia stato leggermente ferito anche un altro video maker. La polizia ha fatto molte cariche di alleggerimento, il contatto fisico con i manifestanti è stato però sporadico e limitato. La questura non aveva autorizzato la manifestazione e dunque il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, aveva ben pensato di tenere la situazione sotto stretto controllo. Molti manifestanti sono stati bloccati prima di arrivare a Roma. In piazza sono andati i ristoratori del movimento «Io apro», di cui è capo il fiorentino Mohamed «Momi» El Hawi, che si è parato di fronte agli agenti ammanettato, le partite iva, qualche lavoratore dello spettacolo e qualche gestore di palestre: gente che da 13 mesi vive l'incubo del non lavoro. La manifestazione ha preso avvio verso le 14.40. Piazza Montecitorio era blindata e allora c'è stato un primo raduno in piazza San Silvestro, poi in piazza San Lorenzo in Lucina. Ci sono stati i primi scontri con i manifestanti che hanno cercato di forzare il blocco in via del Corso. Infine gli ultimi focolai a piazzale Flaminio, dove i manifestanti hanno cercato di bloccare il traffico del Muro torto. C'è stata l'ultima carica della polizia, ma a disperdere i manifestanti ci ha pensato la pioggia. Sui volti di questo migliaio di persone più disperazione che rabbia, più impotenza che violenza. C'è chi ha raccontato, come Sandra Di Bella, ristoratrice siciliana che calzava l'elmetto da vichingo «d'ordinanza» dopo Capitol Hill, «sono qui perché non so come fare a mangiare», chi ha detto di non poter più resistere, tutti hanno gridato «libertà, libertà». Avvicinando i poliziotti urlavano: «Noi non siamo criminali, ma pacifici. Siamo qui solo per dire che vogliamo lavorare, è un nostro diritto». Dalla piazza si sono levati spesso gli slogan per chiedere le dimissioni della Lamorgese e di Roberto Speranza, i due ministri bersaglio della protesta. Hanno promesso che torneranno anche oggi. Non c'erano ieri in piazza i ristoratori, le partite iva, i gestori di bar e di palestre radunati attorno al Mio (Movimento imprese ospitalità) di Paolo Bianchini che avevano manifestato sette giorni fa, perché Bianchini ieri mattina è stato ricevuto al Mef dal sottosegretario Claudio Durigon (Lega) a cui è stato sottoposto un pacchetto di richieste: blocco delle licenze e degli sfratti, sostegni sui costi fissi, accesso garantito al credito e riaperture immediate. Il fronte della protesta dunque si spacca nell'azione, ma non nell'obiettivo. Tanto il Mio quanto «Io apro» vogliono le dimissioni immediate del ministro della Salute, Roberto Speranza. Anche in seno al governo il fronte del no alle riaperture si sta rompendo e Roberto Speranza sembra sempre più isolato. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha chiesto al Cts di rivedere i protocolli per le misure anti contagio, il ministro per le politiche Regionali, Mariastella Gelmini, (Forza Italia) ha detto che maggio sarà il mese delle riaperture, ma che dal 20 aprile in Consiglio dei ministri si dovrà prendere in esame la possibilità, in base a contagi e campagna vaccinale, di un allentamento delle chiusure. Il segretario della Lega Matteo Salvini, riferendosi all'incontro del Mio con Durigon evidentemente, ha detto che se ci sono le condizioni bisogna riaprire subito, «ho sentito i ristoratori, stanno palando con noi della Lega, è gente che vuole solo riaprire». Unanime la condanna della violenza da parte dei partiti; Francesco Boccia del Pd dice: «Non è con la violenza che si aiuta chi oggi è in difficoltà». E gli fa eco Anna Maria Bernini, presidente dei deputati forzisti che nota: «Massima comprensione per i ristoratori che manifestano civilmente, ma no a qualsiasi violenza». Anche Domenico Pianese del Coisp (sindacato di polizia) afferma: «La rabbia e la disperazione di chi sta manifestando è comprensibile, ciò che non è comprensibile è l'aggressione alle forze dell'ordine». Un cortocircuito semmai c'è in seno al M5s, perché se il Movimento condanna le manifestazioni, un pentastellato della prima ora come l'ex consigliere regione dell'Emilia Romagna, oggi ristoratore, Giovanni Favia dice: «La responsabilità di quello che è successo è del ministero dell'Interno. Non puoi negare una piazza. Non puoi bloccare i manifestanti pacifici e permettere ai violenti di andare in piazza, consentendo la vendita di bottiglie di vetro agli esercizi commerciali qui vicino... Con chi tira le bombe carta non c'entriamo niente».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/infiltrati-al-corteo-degli-esercenti-disperati-2652506172.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-ristoratori-hanno-ragione-ma-ogni-passo-falso-verra-usato-dalla-sinistra" data-post-id="2652506172" data-published-at="1618253758" data-use-pagination="False"> I ristoratori hanno ragione ma ogni passo falso verrà usato dalla sinistra Ristoratori, esercenti e piccoli imprenditori sanno benissimo da quale parte sia schierato questo giornale: dalla loro. Senza il minimo dubbio, senza alcuna esitazione, e sin dal primo momento. È semplicemente inaccettabile che ogni giorno la sinistra e i grandi media manifestino nei confronti dell'Italia del privato un approccio sprezzante, giudicante, starei per dire razzista: dovete stare chiusi, dovete accontentarvi di due spiccioli di sussidi, se chiudete o fallite è affar vostro, e intanto dovete pure sorbirvi qualche predicozzo televisivo in cui - senza tanti giri di parole - vi si dà degli evasori. Una provocazione continua. Spesso da parte di chi, palesemente, non ha neppure la più pallida idea di cosa voglia dire alzare una saracinesca tutti i giorni, mandare avanti un negozio, pagare i fornitori e garantire il pane ai dipendenti. La provocazione contro di voi è salita di tono già lunedì scorso, otto giorni fa, in occasione della prima manifestazione degli esercenti a Montecitorio. Con i soliti noti, tra salotti e redazioni, pronti a guardare non la luna (cioè la rabbia dei miti, la disperazione di chi vede a rischio le proprie famiglie e aziende) ma il dito, e magari un'unghia sporca: cioè un gesto inconsulto, una mini infiltrazione nel corteo, una parola sbagliata. Tutte scuse buone per deviare l'attenzione: per descrivere ristoratori e negozianti come fascisti e assembrati. Anzi, le due cose insieme: assembrati fascisti, e fascisti assembrati. Un modo facile facile per archiviare la pratica. In vista della manifestazione bis di ieri, il giochino è proseguito. Prima, da parte delle autorità di sicurezza, è giunto un assai discutibile divieto di manifestare, poi uno spiegamento di forze degno di miglior causa. Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe perfino da ridere: uno Stato che tiene i porti aperti, anzi spalancati, ma poi minaccia di chiudere i caselli autostradali per evitare che i ristoratori arrivino davanti ai palazzi del potere. I migranti illegali sui barconi sì, la manifestazione degli esercenti no. Come se il virus, anziché attaccare i polmoni, avesse colpito i neuroni di qualche politico, facendolo sragionare. Così, ci si è trovati davanti a qualcosa di peggiore di un atto di arroganza: a un errore politico, a una miopia inescusabile, a un'incapacità acclarata di comprendere i drammi sociali ed economici, riducendo tutto a questione di ordine pubblico. A maggior ragione, però, sapendo tutto questo e conoscendo la sceneggiatura del film (i vostri e nostri avversari sono maledettamente prevedibili…), non bisogna commettere errori, né atti di ingenuità. Non ci si può permettere il lusso di prestare il fianco né quello di abbandonarsi a falli di reazione, calcisticamente parlando. Amici ristoratori, negozianti, esercenti: c'è chi non vede l'ora di liquidarvi come un fenomeno pericoloso e violento, come un manipolo di teppisti. Non dategli e non diamogli nemmeno il più piccolo alibi per imbastire questo tipo di racconto. Non aspettano altro. È necessario invece che la battaglia prosegua. Per un verso, sostenendo l'azione, in Parlamento e nel governo, di chi sta dalla vostra parte. Per altro verso, battendosi affinché i prossimi provvedimenti economici siano meno inadeguati rispetto al passato anche recentissimo. E soprattutto - ciò che più conta - portando a casa quel che serve: un cronoprogramma, un calendario di riaperture, una sequenza serrata (può cominciare subito: già adesso almeno sei Regioni, dati alla mano, sarebbero «gialle») che deve portare alla ripartenza di tutte le attività, alcune immediatamente, altre in un fazzoletto di settimane. Per conseguire questo risultato, la pressione anche della piazza è utile, anzi indispensabile. Ma usando la testa e mantenendo la calma. È difficile, certo. Ma ogni distrazione è un autogol che non potete e non possiamo permetterci.
Richard Gere con il direttore di Open Arms Oscar Camps (Getty Images)
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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