2021-04-29
Tutto in India è spirituale, anche la musica
Ravi Shankar (Getty Images)
Ho avuto l'occasione di conoscere il più celebrato esecutore di sitar, Ravi Shankar, che riuscì a impressionare perfino i Beatles. I suoi concerti espressivi e raffinati, che ascoltai, rivelavano la doppia natura del misticismo di questo Paese misterioso e magico.Se il senso d'umanità e i rapporti spontanei sono il tratto principale dei popoli latino-americani, l'India lascia un segno profondo perché muove emozioni e considerazioni di altro genere. L'anima dell'India ha radici nella sua storia. Nel suo Pantheon affollato di divinità, simboli e miti.È un Paese ricco di vibrazioni e vi si respira un aura di magia e di mistero. Il grande violinista Yehudi Menuhin, attento osservatore della civiltà indiana, ha raccolto, in un suo libro dal titolo Arte e speranza dell'umanità, acute riflessioni: «La nostra è la civiltà dell'azione, mentre la civiltà indiana è quella dello spirito e della meditazione. La nostra consacra ogni istante al lavoro, quella indiana si lascia guidare dalle stagioni, dagli anni, dai secoli. Noi pretendiamo di utilizzare la natura, loro vi si adattano in modo armonioso. La vita dell'India è come la vita del Gange, sempre uguale e sempre differente. In India regna uno straordinario senso del sacro che riposa sulla tradizione, attraverso i diversi cicli che ha vissuto. L'uomo, nella nostra società, ha troppo spesso la tendenza a considerare gli altri, le piante, gli animali che ci circondano, come oggetti da sfruttare per sua comodità o profitto a seconda dei suoi desideri materiali. L'India insegna oggi a noi occidentali che tutto ciò che vive è sacro». Anche la musica indiana è molto diversa dalla nostra. Ha una impressionante varietà di modi. Pur trovandola espressiva, ritengo che se la ascoltassimo a lungo potrebbe risultare monotona al nostro orecchio. Ho visitato alcune scuole di musica indiane e ho avuto l'occasione di conoscere il più celebrato esecutore di sitar, Ravi Shankar, che impressionò, con la sua arte di raffinato strumentista, interpreti quali lo stesso Menuhin, Jean-Pierre Rampal, flautista francese e i Beatles.I concerti pubblici di Shankar, che ebbi la possibilità di ascoltare, rivelavano la doppia natura spirituale e sensuale del misticismo indiano. Durante il mio soggiorno a Delhi, la figlia di Shankar volle farmi visitare la scuola di danza tradizionale della quale era insegnante e direttrice. Vi si praticava una forma di danza molto spirituale e simbolica con costumi dai colori vivaci e dalle stoffe preziose. In segno di omaggio venni condotto in visita alla scuola di violino tradizionale indiano. Alcuni insegnanti si esibirono con brani etnici: sostennero che non sarei mai riuscito con il mio strumento a ricreare quelle sonorità. Risposi che probabilmente era così. Pur essendoci stati incontri tra scuole di pensiero musicale diverse, non è stata mai raggiunta una fusione e una intesa totale. A sera i docenti vennero ad ascoltare il mio concerto esprimendo alla fine un consenso contenuto. Come ho detto l'India è mondo assai diverso dal nostro.Lo stesso Zubin Mehta fu protagonista alcuni anni orsono al Maggio musicale fiorentino assieme a Zakir Hussain, compositore indiano e virtuoso del tabla, di un concerto in cui si fondevano lo stile della musica indiana con le sonorità occidentali di una orchestra sinfonica. Ma non mi risulta che gli incontri fra la musica indiana e quella europea abbiano avuto, nei successivi anni, uno sviluppo importante.In un'altra occasione, ricordo un concerto, sempre con Zubin Metha per la comunità dei Parsi (lo stesso Zubin è un Parsi, etnia proviene dalla Persia e che discende da Zoroastro). La loro religione proibisce la sepoltura dei morti e li espone agli avvoltoi. Scenario per noi piuttosto impressionante. Ricordo che sulle rive del Gange a Benares, città sacra dell'India, sono visibili lunghe file di persone che vanno a rendere omaggio per l'ultimo saluto a chi desidera morire sulle rive del fiume. Tutto questo si svolge in una atmosfera di sacralità e di fede incrollabile nell'aldilà.L'incontro più significativo avuto in India è stato quello con santa Madre Teresa di Calcutta nella sua comunità. Ho visto con quanto amore e dedizione centinaia di bambini venivano accolti, nutriti e curati, da tante volontarie dell'ordine provenienti da tutto il mondo. Ricordai il pensiero che Madre Teresa volle comunicarmi in occasione di un concerto che offrii per la sua opera: «Quando compi una opera buona, non devi aspettarti nessun ringraziamento, perché non fai altro che il tuo dovere verso Dio e verso gli uomini».Madre Teresa era amatissima. A Delhi parlai di lei con un tassista di etnia Sikh, il quale mi mostrò una larga cicatrice che gli attraversava il petto. Durante la rivolta popolare per l'assassinio di Indira Gandhi era stato raccolto agonizzante da una suora di Madre Teresa ed era stato curato. Mi disse con le lacrime agli occhi: «Mi ha salvato la vita».L'India sa rendere altamente significativa la missione suprema di chi si immola per il raggiungimento del bene. Basti pensare alla rilevanza di figure come quella di Gandhi o di Rabindranath Tagore. La lotta fra bene e male si manifesta con estremismi che non lasciano spazio a compromessi. La incredibile avventura esistenziale di Gandhi ne è la riprova. Non è un caso che prima promosse la libertà degli indiani in Sud Africa, iniziando poi la sua vita politica con la fondazione di un ashram e facendo il voto di castità, di preghiera, di vita santa. Egli passò anni su e giù per il Paese, viaggiando in treno in terza classe e incontrando tutti per conoscere il popolo e per capirne i reali bisogni. Con umiltà sincera e totale capiva la portata delle proprie azioni e ne accettava le conseguenze. Gandhi ha pagato con la vita la sua azione. Ha accettato la morte come via di unione a Dio e si è preparato tutta la vita a questo incontro, libero dalla paura e coraggioso nel vivere. In questo senso il Mahatma è davvero un gigante. Pensiamo poi al grande poeta Tagore che in ogni sua poesia narra di musica, di canto, di armonia. Innumerevoli versi hanno come protagonista il mondo dei suoni. «Voglio rendere semplice e schietta / tutta la mia vita, / come un flauto di canna / che tu possa riempire di musica».In questo strenuo lottare per il raggiungimento della giustizia e del bene, per la pace e la non violenza, mi piace ricordare una bellissima e significativa frase proprio di Tagore: «L'arco trionfale del tiranno s'è spezzato a terra, con le sue pietre i bambini si costruiscono case per giocare». Vengono in mente i monasteri buddisti, agglomerati di costruzioni chiare, ordinate. Mi sono chiesto: la spiritualità percepita in un luogo del genere, è diversa da quella delle nostre abbazie benedettine? No, la spiritualità non è diversa. Ma c'è una differenza: da noi l'abbazia è un'oasi di pace e di preghiera in un mondo frenetico, disumano; qui, invece, è tutto monastero. In questa totalità spirituale immersa nel Ladakh, regione himalayana dell'India, il buddismo vajrayana vive fra saggezza illuminata e compassione, tra mente e cuore e tutto si traduce nella naturalezza di una visione colorata e felice. Le montagne sono maestose, hanno vette altissime ed al tramonto il sole rosseggiante offre contrasti di luce affascinanti. Da noi si percepisce il contrasto tra il mondo e la comunità religiosa, qui tutto è essenziale, secondo natura, e si è immersi in una dimensione spirituale totale. Voglio concludere affidandomi ancora ai versi di Tagore: «Al Sole generatore del mondo, / nella cui gloriosa luce / l'uomo primieramente vide / la verace forma di Dio».
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