2023-11-15
Non c’è soltanto la difesa della vita. Dopo Indi è lotta sulla libertà di cura
Sono stati dei giudici a stabilire che cosa fosse giusto per la bimba inglese uccisa nel suo «miglior interesse». Un’ideologia autoritaria che si ripercuote sulla nostra esistenza. E che conduce alla fine della democrazia.Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di cassazione.C’è un errore assai pericoloso dal quale dovrebbero guardarsi coloro che, coraggiosamente, hanno combattuto e vogliano ancora combattere contro la logica sulla base della quale i giudici inglesi, nel caso della piccola Indi Gregory (come in altri analoghi che lo hanno preceduto), hanno stabilito che fosse nel suo «miglior interesse», in contrasto con la volontà dei genitori, porre fine ai trattamenti medici che le avevano fino ad allora consentito di rimanere in vita.L’errore è quello di impostare la questione solo in termini di contrasto fra «cultura della vita» e «cultura della morte», presentando la prima come quella che necessariamente dovrebbe avere la prevalenza sulla seconda. Ciò consente, infatti, ai molti che non condividono, in tutto o in parte, tale posizione di contrapporvi la facile obiezione che essa deriva dalla scelta di un determinato sistema di valori essenzialmente etico - religiosi, dai quali sarebbe, quindi, del tutto legittimo dissentire da parte di chi non li senta come propri. Ed è un’obiezione che trae la sua forza anche dal fatto che, piaccia o non piaccia, giusto non giusto che sia, quei valori sono comunemente intesi come propri di quella stessa tradizione cattolica alla quale si addebita (con l’avallo anche di buona parte del cattolicesimo attuale) un passato di vere o presunte intolleranze e sopraffazioni nei confronti dei dissenzienti. Alla summenzionata contrapposizione ne andrebbe, quindi, almeno affiancata, se non sostituita, un’altra, e cioè quella tra «cultura della libertà» e «cultura dell’autorità»: la prima fondata sul principio che ogni essere umano ha diritto al rispetto delle proprie scelte, quando esse non ledono diritti altrui, assumendone la responsabilità; la seconda, fondata sul principio che spetta all’autorità pubblica, siccome più idonea, per definizione, a conoscere quale sia il vero bene del singolo, il compito di suggerire e, se del caso, imporre a quest’ultimo le scelte da ritenersi per lui più vantaggiose. Ora, non dovrebbero esserci grosse difficoltà a far riconoscere dai più la totale inaccettabilità di un tale principio, che mette l’individuo alla mercé di chiunque, essendo investito di un’autorità e pretendendo di saperne più di lui, sulla scorta di vere o presunte conoscenze «scientifiche», si arroghi il potere di disporre coattivamente dei suoi diritti, ivi compresi quelli cosiddetti «personalissimi» tra i quali si colloca, in primo luogo, il diritto alla vita.Il che è appunto quanto avvenuto in Gran Bretagna, non solo nel caso della piccola Indi e di altri bambini, non in grado, per immaturità e per le condizioni in cui si trovavano, di concepire ed esprimere una loro autonoma volontà, ma anche nel caso della ragazza diciannovenne, nota soltanto con le iniziali di S.T., alla quale sono state negate, sempre nel suo «miglior interesse», le cure che ne consentivano la sopravvivenza, così provocandone la morte, avvenuta il 14 settembre del corrente anno; e ciò a dispetto della chiara volontà da lei manifestata di continuare a vivere per tutto il tempo possibile, senza, peraltro, neppure gravare sul sistema sanitario britannico, dal momento che le era stata offerta assistenza da parte di strutture sanitarie di altri Paesi. Si è, quindi, in presenza di una vera e propria deriva che potrebbe facilmente portare, in un non lontano futuro, ad imporre la soppressione di qualsiasi essere umano le cui condizioni fisio-psichiche fossero giudicate, sulla base di criteri asseritamente «scientifici», tali da non consentirgli una vita «degna di essere vissuta»; o anche ad imporre l’aborto a una gestante quando, dalle analisi prenatali, fosse emersa la presenza di malformazioni fetali tali da rendere presumibilmente infelice la vita della madre e del nascituro. Prospettive di tal genere dovrebbero, quindi, apparire deprecabili anche a quanti (e dovrebbero essere la maggioranza), pur non condividendo la visione cristiana della vita come «dono di Dio» ed essendo quindi favorevoli a quella che, semplificando, possiamo qui definire come «eutanasia», ritengano che quest’ultima non possa mai essere praticata contro la volontà, espressa o ragionevolmente presumibile, del diretto interessato.E dovrebbe anche escludersi, «per la contraddizion che nol consente», che coloro i quali, in nome della libertà di disposizione della propria vita, invocano a gran voce il diritto a un suicidio assistito, negando che lo Stato possa imporre ad alcuno l’obbligo di vivere contro la sua volontà, possano poi accettare che quella stessa libertà di disposizione venga conculcata con l’imposizione, sempre per opera dello Stato, della morte a chi invece vorrebbe, nonostante tutto, continuare a vivere. Non ci si può, tuttavia, nascondere che la «cultura dell’autorità» trovi espressione non soltanto nel caso limite dell’imposizione della morte per il presunto bene dell’interessato, ma anche in un’infinità di altri casi nei quali il potere pubblico pretende ugualmente di determinare, direttamente o indirettamente, le scelte dei singoli non in vista - come sarebbe logico e naturale - di quello che ritenga, a torto o a ragione, un superiore interesse della collettività, ma in vista, anche qui, del presunto «miglior interesse» di ciascuno di essi proprio come singolo individuo; ciò nella presunzione che quel «miglior interesse» egli, per sua propria incapacità, non sia in grado di riconoscerlo. È questo il caso, ad esempio, del regime alimentare che la Commissione europea, com’è noto, vuole correggere imponendo l’uso di determinati prodotti e ostacolando in vario modo l’uso di altri per quello che ritiene, nella sua onniscienza, il «bene salute» di ciascuno.Ma è per questa via che, a ben vedere, si viene man mano a sgretolare, senza dirlo, il principio base sul quale si fonda la democrazia. Se deve presumersi che il comune cittadino non sia capace di scegliere neppure tra ciò che giova e ciò nuoce alla sua salute, come si può pensare che sia capace di scegliere tra ciò che giova ciò che nuoce alla collettività? Gli si lasci pure l’illusione, quindi, di concorrere, con le elezioni, alla determinazione delle scelte politiche, ma si faccia poi in modo che a queste provvedano, nel suo vero interesse, non gli eletti ma quelli che, per le loro superiori conoscenze, debbono ritenersi gli illuminati. Quella combattuta per la piccola Indi è stata, quindi, obiettivamente, una battaglia per la libertà e la democrazia prima ancora che per la vita. Il fatto che, purtroppo, sia stata perduta non deve scoraggiare dal continuare una guerra che può e deve, invece, essere vinta.
Jose Mourinho (Getty Images)