2019-03-23
Indagati dei tunisini ben integrati. «Con le loro ditte pagavano la jihad»
Sotto inchiesta in Abruzzo un gruppo di immigrati attivi in edilizia e vendita tappeti: avrebbero creato un giro transnazionale di fondi neri che, grazie a una pratica monetaria tipica dell'islam, sarebbero finiti ad Al Nusra. Un vorticoso giro di false fatture avrebbe alimentato il terrorismo islamico della formazione combattente Al Nusra, nata in Siria dalla fusione delle cellule jihadiste dell'Isis e di Al Qaeda. Lungo il quadrilatero Ascoli-San Benedetto del Tronto-Torino-Milano, un gruppo di tunisini, da anni residenti nel nostro Paese e all'apparenza insospettabili, avrebbe raccolto centinaia di migliaia di euro da destinare ai guerriglieri che si oppongono al presidente siriano Bashar Al Assad. Secondo i pm della Direzione distrettuale antimafia dell'Aquila, che hanno disposto una ventina di perquisizioni a carico degli indagati, sequestrando cellulari, distinte bancarie, personal computer e libri societari, tramite alcune ditte operanti nel settore della rifinitura edilizia e del commercio dei tappeti, formalmente intestate a prestanome ma di fatto gestite da un unico soggetto - capo indiscusso dell'organizzazione - sarebbero state create ingenti quantità di denaro in nero. Montagne di soldi riciclate in un secondo momento nell'acquisto di immobili e in altri investimenti tra Lombardia, Abruzzo e Piemonte. I cui proventi sarebbero stati successivamente dirottati in Medio Oriente per foraggiare le attività sovversive di Al Nusra. Sigla terroristica, peraltro, già al centro di una precedente investigazione, condotta dalla Procura di Cagliari, in Sardegna, che ha portato sotto inchiesta quattro presunti fiancheggiatori del movimento sovversivo siriano. Si tratta di Anwar Daadoue, Mustafa Chadad, Abdulkarim Osman Haj e Lahoucine Wahmane Ait, che il prossimo 12 aprile compariranno davanti al giudice dell'udienza preliminare che dovrà decidere se rinviarli a giudizio o meno. Devono rispondere di aver installato, tra l'Italia, la Svezia, la Germania e la Turchia una centrale operativa per il «compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, in quanto diretti a intimidire la popolazione della Siria, destabilizzarne o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali», e di aver garantito «attività di sostegno, di proselitismo anche via internet e di finanziamento a favore della formazione jihadista Al Nusra». La quale, d'intesa coi tagliagole del califfo Al Baghdadi, è sempre scritto nel campo d'imputazione, «tramite azioni violente, attentati e saccheggi», opera nel territorio siriano per la «costituzione di un Emirato fondato sulla Sharia e l'eliminazione della popolazione di ogni differente credo».Dagli atti della magistratura sarda emerge con prepotenza la figura carismatica di Anwar Daadoue, un imprenditore siriano che aveva accumulato una discreta fortuna a Olbia, lavorando - c'è scritto nell'ordinanza di custodia cautelare - finanche «nei cantieri aperti a La Maddalena in vista del G8» del 2009. Nel 2014, intuita ormai l'indagine a suo carico, Daadoue si era trasferito in Svezia per poter meglio coordinare le attività a sostegno della causa jihadista e per sottrarsi alla cattura. Di lui e dei suoi contatti con i gruppi islamisti eversivi di Erba e Como, al centro di una terza indagine, ha parlato un collaboratore di giustizia nordafricano, Abdulmalek Mohamad. Ha spiegato ai pubblici ministeri di Cagliari che Anwar Daadoue, «facendo tante fatture false», avrebbe movimentato fondi occulti in tutta Europa grazie al sistema dell'hawala. Ovvero una primitiva forma di trasferimento del denaro, previsto proprio dall'ordinamento islamico, che consente a un soggetto di far arrivare soldi in tutto il mondo senza ricorrere a bonifici e circuiti creditizi ma contando solo su una rete di «banchieri» locali che anticipano quanto necessario in cambio di una semplice garanzia.«Le rimesse avvengono grazie ai suoi fiduciari», si legge nel provvedimento della Procura di Cagliari che riporta i racconti di Mohamad «che, a richiesta, consegnano in loco le somme. L'affidabilità del sistema è confermata dall'alto numero di connazionali che si rivolgono a lui per il trasferimento dei capitali».Abudmalek Mohamad ha spiegato inoltre che Anwar aveva il proprio ritorno «trattenendo una percentuale sui trasferimenti. Chiaramente i soldi che manda in Siria non sono solo suoi, ma anche quelli raccolti da altri Paesi, quali Svezia, Germania e così via. Sono i soldi di coloro che vogliono contribuire alla causa dei combattenti antigovernativi».Che l'imprenditore edile nato a Edlib ma residente a Olbia fosse coinvolto nei canali di finanziamento di Al Nusra, era notorio nell'ambiente. Abdulmalek aveva infatti «raccolto la voce, all'intero della comunità siriana, che Anwar si era pubblicamente vantato del sostegno dato ai guerriglieri». L'indagine dell'Aquila sposta adesso il baricentro delle attività di fiancheggiamento del terrorismo islamico in Abruzzo ma sempre nel perimetro delle aziende edili gestite da immigrati apparentemente integrati.