A Roma si indaga dopo un esposto sulle spese non rendicontate delle pellicole finanziate col tax credit: è il filone che può far luce su sprechi miliardari, a partire dal clamore suscitato dal killer americano aiutato con 800.000 euro. Giuli: ora correttivi.
A Roma si indaga dopo un esposto sulle spese non rendicontate delle pellicole finanziate col tax credit: è il filone che può far luce su sprechi miliardari, a partire dal clamore suscitato dal killer americano aiutato con 800.000 euro. Giuli: ora correttivi.A Roma c’è aperta, da parte della Procura, un’inchiesta che, alla luce di quanto successo a Villa Pamphili, con il ritrovamento di due cadaveri uccisi da un sedicente regista di un film inesistente che ha ricevuto, però, quasi un milione di euro di finanziamenti pubblici, quella che potremmo definire, senza pericolo di apparire retorici, come la madre di tutte le inchieste sulla «rimborsopoli cinematografica» targata Pd.A far accendere i fari su questa «filmopoli» dem sulla settima arte è stato l’avvocato Michele Lo Foco, specializzato in diritto d’autore e membro del Consiglio superiore della cinematografia e dell’audiovisivo presso il ministero della Cultura. Del suo esposto presentato alla Procura di Roma e sul fascicolo aperto, La Verità ha già dato notizia. Ma ora i due cadaveri, di madre e figlia, trovati senza vita nel parco romano e uccisi, così sostengono gli inquirenti, da Rexal Ford, nome d’arte di Francis Kaufmann, americano di 46 anni spacciatosi per regista e destinatario, per un suo lungometraggio, di 863.000 euro di tax credit senza aver prodotto la pellicola, rischiano di dare una sterzata al caso sollevato da Lo Foco, perché il suo esposto alla Procura di Roma mira proprio a questo: far scoppiare il bubbone di una misura, il tax credit per le imprese cinematografiche, deformata da Franceschini nel 2016 da sussidio alle aziende minori per agevolare i loro costi «in un bottino gigantesco per accontentare gli appetiti di major straniere e di faccendieri nazionali». Come si vede ampiamente dal grafico qui accanto, dopo che Dario Franceschini ha messo mano al sussidio nel 2016, i costi dei prodotti cinematografici italiani sono praticamente decuplicati. E qui si cade nella prima trappola del tax credit dem: la mancata rendicontazione delle spese sostenute. Non c’è controllo, sul tavolo del ministero possono arrivare pellicole di Salvatores, Sorrentino o Ford-Kauffmann e tutte trovano le porte spalancate per ottenere denari. Gli 863.000 euro destinati al presunto film del vero killer di Villa Pamphili indignano e giustamente. Ma sono soltanto la punta dell’iceberg. Anzi, sono la cartina di tornasole di una gestione del denaro pubblico allegra, sciatta e totalmente fuori controllo. Qualche pezza il governo Meloni ce l’ha messa, con la nuova riforma del tax credit sono stati inseriti almeno due obblighi per le case: quello per la trasparenza nelle spese di produzione e quello per il produttore beneficiario del credito di imposta a reinvestire entro cinque anni dal suo riconoscimento una quota dei proventi dell’opera nello sviluppo, nella produzione o nella distribuzione in Italia e all’estero di una o più nuove «opere difficili». Ieri, poi le ultime novità: al grido di «basta sprechi, i soldi dei contribuenti devono andare solo a chi fa davvero cinema», il Mic ha annunciato che da lunedì 23 ci saranno integrazioni le disposizioni tecniche e applicative relative al riconoscimento del credito d’imposta «internazionale», destinato ad attrarre produzioni estere in Italia. In particolare, le novità sono: tracciabilità dei flussi finanziari; obbligo di presentare una copia completa dell’opera; obbligo di indicare in fattura il titolo dell’opera cui si riferiscono i costi; maggiori vincoli nella documentazione sull’assunzione del personale e sulla certificazione delle prestazioni di servizio rese da terzi. «Investigheremo sui casi pregressi sospetti», spiega il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, «chi non rispetta le nuove regole non soltanto perderà il beneficio fiscale, ma sarà escluso per cinque anni da qualsiasi agevolazione e, nei casi più gravi, può essere denunciato per truffa».Un giro di vite netto, insomma. Nel suo esposto sui costi gonfiati delle produzioni cinematografiche italiane (e che ha spinto anche grosse società di produzione made in Usa ad ambientare nel Bel Paese delle pellicole, rafforzando l’idea che sia in atto un vero e proprio assalto alla diligenza statale carica di dollaroni), Lo Foco ha elencato alcune pellicole a sostegno della propria tesi, da Il sol dell’avvenire di Moretti (5 milioni) a Finalmente l’alba di Saverio Costanzo (9 milioni). Su queste produzioni sta indagando la Guardia di finanza, che ha acquisito numerosi documenti tra cui i cachet delle star coinvolte. L’inchiesta, quindi, ha preso piede e sta procedendo, interessando decide di altre pellicole. «Confermo che sono stati sperperati in produzioni incredibili, in senso negativo, almeno 4 miliardi di euro di denaro dei contribuenti», sentenzia Lo Foco.La stretta ai sussidi a pioggia deciso dal governo di centrodestra veniva dipinto come la solita manganellata dei «fascisti» al governo contro uno dei templi laici del potere progressista: la cultura. Da Elio Germano in giù, passando per Luca Bizzarri e Alessandro Gassman, attori con cachet da capogiro hanno iniziato a parlare di censura, bavaglio, museruola, olio di ricino e via discorrendo. Oggi, il delitto di Villa Pamphili ci dice che il re è nudo. Perché la domanda è lecita: come può un regista senza arte né parte (e neppure pellicola) aver ottenuto a babbo morto 863.000 euro di tax credit ministeriale per l’inesistente pellicola Stelle della notte? Nicola Borrelli, direttore generale Cinema e audiovisivo del ministero ai tempi del finanziamento, spiegava che «il credito d’imposta è automatico, se ci sono i presupposti previsti dalla normativa, questo spetta. E in questo caso i presupposti c’erano e ci sono ancora tutti». In realtà, la domanda definitiva è stata inviata nel 2023 sfruttando un vuoto normativo: le produzioni internazionali come quella del falso Ford (legato alla società maltese Tintagel Films e supportato dalla romana Coevolutions srl di Marco Perotti) potevano accedere al credito senza l’obbligo di presentare prove tangibili, come riprese già effettuate.«Il tax credit oggi è una modalità illecita, se non deliquenziale, per ottenere denaro pubblico», conclude Lo Foco.
La casa del delitto, a Muggia, Trieste (Ansa). Nel riquadro, Olena Stasiuk
Emergono nuovi, incredibili particolari sulla morte del piccolo Giovanni, sgozzato da Olena Stasiuk a Muggia. Nell’esposto del 2023 del padre contro la ex, c’è la testimonianza della vittima sulla madre: «Mi ha infilato un dito nel sedere». Il pm: «Beghe tra coniugi».
Il piccolo Giovanni aveva paura della mamma e non riteneva una «buona idea» trascorrere del tempo con lei. Sono sempre più inquietanti i particolari che emergono sulla morte del bimbo di nove anni sgozzato dalla mamma Olena Stasiuk nel suo appartamento a Muggia, in provincia di Trieste.
Friedrich Merz (Ansa)
Il cancelliere conferma che alla guida del continente devono esserci solo i tedeschi e i transalpini. E per avere un’Unione più utile a Berlino, punta a sopprimere il veto.
L’Unione europea non funziona più? Facciamone un’altra, più piccola e maneggevole, in tandem con la Francia. Questo il senso profondo di quanto dichiarato ieri dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, nel corso di un convegno organizzato dalla Süddeutsche Zeitung.
Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron (Ansa)
Il presidente vola in Francia e compra 100 Rafale, 8 contraeree, radar, bombe e treni: con i caccia svedesi, il conto supera i 30 miliardi (nostri). E Ursula vuol dargliene altri 70, per coprire il «deficit enorme» di Kiev.
Ai grandi magazzini Lafayette, Volodymyr Zelensky ha comprato 100 caccia, otto contraeree, quattro sistemi radar, sei di lancio di bombe e 55 treni. Così, senza aver ancora spedito manco un legionario straniero al fronte, Emmanuel Macron ha raccolto, per conto della sua industria bellica, i dividendi delle passerelle dei volenterosi.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni durante il Consiglio supremo di Difesa (Ansa)
Al Consiglio supremo di Difesa, con Mattarella, c’era la Meloni con mezzo governo. La nota del Colle: «Vigilare sugli attacchi cyber, adeguarsi alla sfida dei droni russi. A Gaza cessi l’occupazione, però Hamas va disarmata. Ignobile l’antisemitismo».
Un appuntamento fisso che in questo caso, visto il contesto, assume un’importanza diversa. Si tratta del Consiglio supremo di Difesa, che si tiene periodicamente al Quirinale e che ieri ha visto all’ordine del giorno, oltre all’evoluzione dei conflitti in corso, anche le minacce ibride, con riferimento alle possibili ripercussioni sulla sicurezza dell’Italia e dell’Europa. Cina e Russia, in particolare, sono state portate all’attenzione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che appena due giorni, fa al Bundestag, ha fatto riferimenti al rischio nucleare.






