Le maxi pensioni dei manager di Gedi. E l’ex ad avvertiva: occhio ai cellulari

Nelle migliaia di pagine degli atti depositati nell’inchiesta romana sul gruppo Gedi, per la presunta maxitruffa ai danni dell’Inps, la dirigenza della casa editrice esce con le ossa rotte. Soprattutto a causa delle parole pronunciate a ruota libera nelle intercettazioni. Da cui traspare un certo senso di impunità anche dopo le perquisizioni del marzo 2018 che avevano reso edotti gli indagati dell’inchiesta in corso che riguardava ipotetici artifizi ideati dal gruppo per risparmiare 38,9 milioni di euro di costi per il personale. I manager, travolti dalle indagini, sono ascoltati in presa diretta mentre provano a prendere le loro contromisure. Particolarmente significativa un’intercettazione ambientale effettuata nel luglio 2018 al ristorante da Orazio a Caracalla. L’ex ad della holding Monica Mondardini (oggi amministratore delegato del gruppo Cir, la cassaforte della famiglia De Benedetti) è a tavola con due coindagati, l’attuale capo delle risorse umane di Gedi Roberto Moro e il direttore generale della divisione Stampa nazionale Corrado Corradi, oltre che con l’ex direttore della Repubblica Ezio Mauro, non coinvolto nell’inchiesta. La signora se la ride ripensando al fatto che secondo l’avviso di garanzia sarebbe «l’orchestratrice» della truffa e a un certo punto esclama: «Ragazzi… tra l’altro io non posso parlarne al telefono… per cui ti muovi in macchina… ogni due per tre vado […] vengo qua, vado da questo…».
Gli investigatori annotano che dalle captazioni «emerge come gli stessi non parlino e non vogliano parlare al telefono (per paura di essere intercettati) e si prodighino per trovare il modo di respingere le accuse, anche attraverso supposte motivazioni di ordine sociale [… ] nonché mediante cavilli giuridici, da escogitare anche grazie all’incarico conferito al giuslavorista, professor Arturo Maresca, che starebbe redigendo un parere pro veritate». Ma alla Mondardini il docente sembra troppo moderato: «Io andrei da uno con il pugno chiuso, oggi dicevo, ma cazzo non lo troviamo un ex comunista che (incomprensibile) salvare i posti di lavoro. Cioè voglio dire se ci fosse ancora G. (deceduto, ndr), andrei da G. […] basta mi sono rotta i coglioni, cioè questi con la puzza sotto al naso, no?». La donna punta a uscire dall’angolo utilizzando l’ascendente che avrebbe su un sindacalista: «Quello che mi scrive tutti gli anni che è un mio ammiratore, come si chiamava il capo della Cgil? […] lui ogni anno mi scrive una letterina, perché quando io arrivai era ancora in funzione... lo invitiamo a pranzo e gli diciamo Giovanni dai… basta ce li avete chiesti voi (i prepensionamenti, ndr)». La conversazione prosegue e la Finanza la riassume così: «La Mondardini rassicura i suoi commensali (con riferimento a Corradi e Moro, entrambi indagati) sul fatto che codesta autorità giudiziaria, “per ragioni politiche”, non procederebbe con azioni penali, in considerazione delle conseguenze di carattere sociale, con evidenti sviluppi mediatici, che si concretizzerebbero con la revoca della pensione per tutti i dipendenti del gruppo illecitamente prepensionati. Affermando anche che il procuratore avrebbe capito che le responsabilità sono tutte dell’Inps e dei sindacalisti». La Mondardini non usa mezzi termini: «È talmente evidente che il procuratore, per ragioni politiche, non può dire tu non le potevi ricollocare, le dovevi licenziare… ma sarebbe una roba, una motivazione di archiviazione che andrebbe a finire dappertutto (incomprensibile) sui giornali di destra che riguarda anche loro». Poi sbotta: «Ci vuole un ideologico sulla vicenda, cazzo». Uno dei commensali le fa eco: «Bisogna assolutamente cavalcare…». La Mondardini riferisce anche presunte dichiarazioni del pm Francesco Dall’Olio: «Ha detto “ma questo mi squarcia un velo che l’Inps certamente non mi aveva detto, il problema starà all’Inps”... Dall’Olio ha detto “ho capito” […] “il solito sindacalista che ha fatto aumma aumma con l’impiegato dell’Inps” […] noi siamo parte lesa! E il procuratore l’ha capito immediatamente. Ha detto “la solita tresca tra il sindacalista e...”». Un’intercettazione che il pm non avrà certamente gradito. Il 24 maggio 2022 ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 101 persone e di cinque aziende del gruppo, mentre a dicembre aveva ottenuto un sequestro preventivo di 38,9 milioni di euro, somma equivalente al presunto illecito profitto per Gedi. Nell’informativa del 24 giugno 2019 si legge anche che, nonostante avesse lasciato la tolda di comando, la Mondardini continuava a fare il bello e il cattivo tempo in azienda: «Formalmente non ricopre più alcuna carica operativa all’interno del gruppo Gedi», eppure «continua a interessarsi direttamente, anche per il tramite del capo del personale (Roberto Moro), delle questioni legate alla riduzione del personale delle società del gruppo».
E a proposito dell’attuale capo delle risorse umane di Gedi i finanzieri citano un’intercettazione di «fondamentale rilievo»: «Da un lato evidenzia il chiaro intento di Roberto Moro di reiterare il reato di truffa, con riferimento al trasferimento di personale finalizzato all’indebito accesso al prepensionamento; dall’altro lascia intravedere una possibile, ulteriore tipologia di frode, differente dalle quattro sin qui emerse, ma anch’essa in danno dell’Inps, condotta in prima persona dallo stesso Moro». Il quale intercettato spiega come voglia far ricorso ancora una volta alla legge sull’editoria, la 416/81, per diminuire la forza lavoro della società: «Noi a Padova abbiamo in programma di fare tra un po’ di tempo una 416… potrebbe andare bene... gli altri nomi... sono nomi quasi... quasi finti... lasciami dire... no? Messi lì giusto per completare il numero di 14…». E per accedere ai fondi, non illimitati, previsti dalla 416 i capi del gruppo sostengono di poter contare sulle informazioni privilegiate ricevute grazie ai rapporti con la politica e con i vertici dell’Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti. Alla fine Gedi, attraverso le frodi ipotizzate dalla Procura, ha offerto uno scivolo per il prepensionamento anche a 16 dirigenti, demansionati a quadro per poter accedere al beneficio. Ex funzionari con assegni da direttori come il settantenne Giovanni D. che, dal maggio 2013, ha iniziato a percepire una pensione di 5.542 euro. Oppure la sessantacinquenne Barbara R. che, dal gennaio 2015, ha incassato 5.334 euro. O il cinquantanovenne Massimo S. che, dal settembre 2014, ha portato a casa 5.361 euro. Adesso anche questi tre manager, come gli altri indagati, potrebbero essere chiamati a restituire il presunto maltolto: nel loro caso, rispettivamente, 882.137 euro, 653.073 e 698.395 euro. Un altro ex dirigente il sessantaquattrenne Alessandro R., ci lascia intendere che anche a loro l’Inps stia revocando la pensione. Sino a qualche settimana fa ritirava 4.081 euro al mese (in totale 610.708 euro a partire dal settembre 2012). «Il punto non è se mi abbiano bloccato la pensione, ma perché. A prescindere dal valore dell’assegno, secondo voi è giusto che all’Inps intervengano senza un giudizio? È stata fatta una scelta che forse definire politica non è sbagliato. Di più non posso dire».






