2022-11-09
L’Inps blocca le pensioni a «Repubblica»
Monica Mondardini (imagoeconomica)
A settembre, in una riunione in Procura, l’Inps ha annunciato il blocco in autotutela degli assegni alle persone coinvolte nell’inchiesta per truffa aggravata sul gruppo Gedi. Fra i presunti trucchi per il ritiro anticipato dei dipendenti, demansionamenti ed esuberi fittizi.Tutti i numeri dell’indagine: un ex dirigente ha incassato oltre 800.000 euro.L’ex archivista dell’«Espresso» Anna Piludu ha disconosciuto le carte da cui risultano 3 anni di lavoro in un’altra società, necessari per la pensione anticipata. «Mi hanno rovinata. Ho fatto quello che dicevano sindacati e azienda».Lo speciale contiene tre articoliDopo anni di immobilismo, l’Inps ha iniziato a sospendere le pensioni delle persone coinvolte nella maxi inchiesta per truffa sui prepensionamenti a Repubblica. A maggio è stato firmato l’avviso di chiusura delle indagini: sotto la lente oltre 100 persone, fra cui anche l’ax ad del gruppo Gedi. Gli inquirenti sospettano l’uso di vari trucchi, come falsi demansionamenti, per permettere ritiri anticipati. La testimonianza di un’ex archivista a cui è stato bloccato l’assegno: «L’Inps mi ha chiesto indietro 256.000 euro. Io sto collaborando: dai documenti risulta che ho lavorato per tre anni per un’altra società di cui non so niente, la firma non è la mia. Mi sono fidata di dirigenti e sindacalisti perché ero sicura fosse tutto in regola e ora sono rovinata. Mi pignoreranno la casa, ma non basterà per coprire il debito residuo. E mio marito non potrà più andare in pensione». L’Istituto nazionale per la previdenza sociale presieduto da Pasquale Tridico dopo anni di prudenza ha deciso di prendere provvedimenti nei confronti dei prepensionati del gruppo Gedi, che avrebbero ottenuto anzitempo l’assegno previdenziale in modo truffaldino. La lentezza dei provvedimenti potrebbe essere stata dettata dall’idem sentire di alcuni dirigenti e giornalisti della casa editrice e dei vertici dell’ente nominati dalla sinistra, a partire da quel Tito Boeri che del quotidiano La Repubblica è anche apprezzato collaboratore. Il 24 maggio scorso il pm romano Francesco Dall’Olio ha firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 101 persone e di cinque aziende del gruppo Gedi coinvolte in una presunta truffa aggravata ai danni dell’Inps che avrebbe erogato 22,2 milioni di euro di assegni pensionistici non dovuti, mentre, grazie alla frode, la casa editrice e le sue collegate avrebbero risparmiato 38,9 milioni di euro di costi del personale. La notifica dell’atto è in fase di completamento. Ma a settembre, l’Inps in una riunione in Procura ha annunciato di aver deciso di sospendere in autotutela i trattamenti contestati. Non conosciamo il numero di quelli già bloccati dato che all’Inps sostengono di non poterlo rivelare «essendo il procedimento penale aperto e non essendoci ancora stato un formale giudizio».Anche se la decisione è arrivata pochi mesi dopo la chiusura delle indagini e quindi con fatti finalmente cristallizzati a livello giudiziario, in via Ciro il Grande erano al corrente da anni di questa complessa vicenda. Le indagini sui prepensionamenti irregolari sono partite da una mail recapitata all’ente previdenziale nel maggio del 2016 in cui veniva svelato il sistema truffaldino per accedere ad ammortizzatori sociali come pensione anticipata e cassa integrazione. Già nel 2012 un anonimo aveva segnalato anomalie, ma l’allora direttore dell’Inps della Lazio, Gabriella Di Michele, aveva riferito che «il controllo effettuato a livello amministrativo sulle posizioni dei dipendenti del gruppo L’Espresso (oggi Gedi, ndr) è risultato regolare e, pertanto, non sembrano esserci elementi tali da suffragare la segnalazione anonima».Quattro anni dopo, un ex controller di Elemedia, la società che raggruppa le emittenti radiofoniche del gruppo Gedi, aveva annunciato a Boeri che avrebbe presentato «formale esposto alla Guardia di finanza» e si era detto fiducioso del fatto che Boeri avrebbe fatto «le dovute verifiche» e proceduto «senza esitazione, a differenza di quanto ha fatto la Cgil, per riportare giustizia». Il dg Massimo Cioffi ordinò un’ispezione e nel 2018 la Procura aprì un procedimento.Quattro anni fa, però, venne revocata solo una pensione, avendo l’Inps effettuato «un’analisi suppletiva che ha portato a non riconoscere come validi i periodi riscattati».Con Tridico sembra che tutto sia rimasto fermo sino a settembre, quando la notizia dell’avviso di fine delle indagini aveva iniziato a girare e il governo appoggiato dal Partito democratico, grande sponsor (ricambiato) del gruppo Gedi, era caduto.Dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni, anche se potrebbe essere una semplice coincidenza, sono partite le lettere con le revoche di altre pensioni. Noi abbiamo intercettato «il provvedimento di annullamento in autotutela del provvedimento notificato in data 18 novembre 2009 in materia di “contributi-rendita vitalizia”» indirizzato all’ex archivista del gruppo Anna Piludu, andata in pensione nel 2010 a 53 anni. Il prepensionamento sarebbe stato reso possibile grazie a una copia falsificata dell’attestato sostitutivo del suo libretto di lavoro da cui risultavano 160 settimane di marchette pagate da una ditta per cui non aveva mai lavorato e che neanche conosceva. Un artifizio che ha permesso di colmare un periodo contributivo ancora mancante di tre anni e di raggiungere con questa «rendita vitalizia» i requisiti per la prestazione pensionistica. La motivazione della decisione della revoca è la seguente: «A seguito di verifiche effettuate sulla pratica di rendita vitalizia in oggetto, sono emerse incongruenze nei documenti presentati a supporto dell’istanza stessa, che ne inficiano la validità e ne determinano la revoca in autotutela». Non sfuggirà che non vengono citate le indagini della Procura e della Guardia di finanza e che questo tipo di rilievo, forse, poteva essere avanzato già nel 2012 o almeno tra il 2016 e il 2018. Ma, forse, all’epoca, il gruppo Gedi non era aggredibile dall’istituto con serenità.L’annullamento della rendita vitalizia e della collegata pensione è stato disposto non essendo «decorso un periodo di tempo eccessivamente ampio dall’emanazione dell’atto stesso» ed essendo stato «rilevato sussistente e prevalente […] l’interesse pubblico». Nell’avviso di chiusura delle indagini inviato dalla Procura le accuse vanno, a vario titolo, dalla truffa aggravata ai danni dello Stato all’accesso abusivo a sistema informatico alla responsabilità amministrativa da reato (per cinque aziende della holding), ai sensi del decreto legislativo 231, nei confronti del gruppo Gedi, della concessionaria pubblicitaria Manzoni, della Elemedia, della Gedi news network e della Gedi printing.Nel documento sono elencate 101 persone a cui è contestata la truffa: 79 prepensionati (altri due sono deceduti), di cui 16 dirigenti; 17 manager (compresi due prepensionati), quattro sindacalisti della Cgil (di cui due prepensionati), due funzionari Inps (a cui, insieme con 16 dirigenti, è contestato anche l’accesso abusivo) e altre due figure minori. I quattro principali indagati sono considerati l’ex amministratore delegato del gruppo Monica Mondardini, attuale ad del gruppo Cir, la cassaforte della famiglia De Benedetti (vecchi proprietari di Gedi), il capo delle risorse umane Roberto Moro, il suo vecchio vice Romeo Marrocchio, il direttore generale della divisione Stampa nazionale Corrado Corradi.Le frodi, come abbiamo scritto a gennaio, sarebbero state sostanzialmente di quattro tipi: fittizi demansionamenti di dirigenti a quadro per fargli ottenere i requisiti previsti dalla normativa di settore per i prepensionamenti; illeciti riscatti di annualità (a spese dell’azienda) «asseritamente» lavorate, come nel caso della Piludu, con la complicità di funzionari Inps e la falsificazione dei libretti di lavoro; utilizzo in veste di collaboratori esterni, nelle stesse società del gruppo, di dipendenti prepensionati in quanto falsamente indicati come esuberi; trasferimenti di personale eseguiti (in svariati casi solo sulla carta) per poter accedere «indebitamente» agli scivoli previsti per la sede/società di destinazione.A dicembre il gip Andrea Fanelli ha ordinato di «congelare» il presunto corpo del reato ovvero l’illecito profitto per Gedi, quantificato dai pm, come detto, in 38,9 milioni di euro. Il giudice ha, invece, rigettato la richiesta di sequestro preventivo degli assegni previdenziali indebitamente erogati. Infatti Fanelli ha chiesto il ricalcolo del «profitto illecito percepito dai singoli dipendenti» che, a suo giudizio «è pari all'importo netto della pensione» e non a quanto sborsato dall’Inps.Nove mesi dopo, contemporaneamente all’arrivo al governo del centrodestra, l’istituto ha iniziato, in autonomia, a bloccare le pensioni degli indagati e a chiedere la restituzione degli assegni che sarebbero stati indebitamente incassati.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/linps-blocca-le-pensioni-a-repubblica-2658618690.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-due-impiegati-da-record-addio-al-lavoro-ad-appena-49-anni" data-post-id="2658618690" data-published-at="1667946920" data-use-pagination="False"> Per due impiegati da «record» addio al lavoro ad appena 49 anni Con l’eccezione dei 16 dirigenti demansionati a quadro per farli accedere ai prepensionamenti, la stragrande maggioranza degli 79 ex dipendenti Gedi indagati dalla Procura di Roma per la presunta maxi truffa all’Inps non ricopriva incarichi di rilievo e viveva soprattutto nel Lazio e in Lombardia. L’inchiesta ha scavato tra grafici e poligrafici (in alcuni casi ex manager spacciati per tali) che sono stati collocati in pensione anticipata sfruttando la legge 416: circa 590 lavoratori tra il 2008 e il 2016. Su 81 posizioni finite nell’avviso di chiusura indagini, 45 risultano risiedere in provincia di Roma, 12 tra quelle di Milano, Monza e Pavia, mentre il resto è distribuito su e giù per lo Stivale: Bolzano, Udine, Novara, Genova, Livorno, Pescara, Chieti e Campobasso. Alcuni casi sono eclatanti, al punto di ricordare le baby pensioni della Prima Repubblica. Ad esempio quello di Massimo Z. nato nel 1965 e andato in pensione nel novembre 2014, a soli 49 anni, compiuti da 4 mesi. Non da meno quello del coetaneo Vanni B., andato in pensione nel 2015, poco prima di festeggiare il compleanno. Maria V. aveva invece da pochissimo superato il giro di boa dei 50 anni, quando, ad agosto del 2013, ha iniziato a percepire i cedolini Inps. Stessa età per Giuseppe C., pensionato a novembre 2014. Tra gli ex manager demansionati, i più giovani sono Silvio O. (uscito da Gedi nel marzo 2013 a 50 anni) e Stefano M. (che ha lasciato la scrivania nell’agosto del 2015 a 53 anni). La somma più alta che sarebbe stata percepita indebitamente (i dati sono aggiornati ad ottobre 2020) è quella dell’ex dirigente Giovanni D. andato in quiescenza a maggio 2013 pochi mesi dopo aver compiuto 60 anni, il quale ha incassato la bellezza di 882.137 euro. Altri sei ex manager hanno percepito assegni per oltre 600.000 euro: Valter S. (pensionato a luglio 2010, a 55 anni) 601.305; Alessandro R. (settembre 2013, 55 anni) 610.708; Franco O. (giugno 2012, 54 anni) 648.274; Barbara R. (gennaio 2015, 56 anni) 653.073; Mohammad A. (dicembre 2012, 57 anni) 666.091. Tra i dipendenti la cifra più alta è stata incassata da Claudio D.G. (2010, 55 anni) che ha ricevuto 432.918 euro. Sostanzioso anche anche il tesoretto percepito da uno dei sindacalisti coinvolti nell’inchiesta, quel Danilo Di Cesare, ex Rsu della Cgil, considerato dagli inquirenti figura chiave della truffa: avrebbe preso a sbafo bonifici previdenziali per 349.514 euro, dopo essere andato in pensione nel 2009 a soli 52 anni. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/linps-blocca-le-pensioni-a-repubblica-2658618690.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-firma-sui-documenti-non-e-la-mia-ora-linps-rivuole-256-000-euro" data-post-id="2658618690" data-published-at="1667975868" data-use-pagination="False"> «La firma sui documenti non è la mia. Ora l’Inps rivuole 256.000 euro» La romana Anna Piludu ha 65 anni e dal 1986 al 2009 ha lavorato per il gruppo L’Espresso, oggi gruppo Gedi. Diploma di maturità scientifica e studi abbandonati in scienze biologiche, è entrata nella casa editrice come dimafonista (trascriveva i pezzi dettati al telefono dai giornalisti). Nel suo caso sarebbe stata depositata all’Inps una copia falsa dell’attestato sostitutivo del suo libretto di lavoro. La donna, davanti ai magistrati, come abbiamo raccontato a gennaio, non ha riconosciuto la sua grafia sui documenti consegnati all’ente previdenziale e quanto al posto di lavoro indicato sull’attestato ha dichiarato di non aver «mai lavorato per quella ditta» e di non averla «mai sentita nominare». La Piludu sarebbe finita in questo incubo per colpa di un sindacalista: «Ricordo che nel 2009 un responsabile sindacale iscritto alla Cgil che lavorava presso la mia stessa azienda, il gruppo L’Espresso, in qualità di addetto all'archivio fotografico, credo che fosse Danilo Di Cesare e aveva più o meno la mia stessa età, propose, a me e ad altri iscritti alla stessa sigla sindacale, di andare in prepensionamento. Quindi mi chiese di richiedere all'Inps il calcolo degli anni contributivi mancanti, anche se non ricordo di aver fatto personalmente tale richiesta, né tantomeno di essermi recata presso una sede Inps». Alla fine con Di Cesare ha incontrato l’allora vicecapo del personale Romeo Marrocchio che le ha fatto firmare una scrittura privata e le ha anticipato i 49.000 euro necessari per la rendita vitalizia. Per gli inquirenti il lavoro «sporco» sarebbe stato realizzato non dai lavoratori, ma da manager e sindacalisti. Il 23 settembre la Piludu ha ricevuto l’avviso di chiusura delle indagini da parte della Procura di Roma, atto in cui le viene contestata la truffa aggravata ai danni dello Stato. Qualche giorno dopo la dirigente responsabile della filiale Inps dell’Eur le ha annunciato che, con disposizione del 12 ottobre, le era stato annullato «in autotutela» il provvedimento del novembre del 2009 che le aveva riconosciuto la rendita ottenuta con il pastrocchio e garantito, a partire dal 2010, l’assegno previdenziale. «Ho avuto la sospensione della pensione… me l’hanno revocata» ci spiega la donna quasi incredula. Quando è accaduto? «Dunque, me l’hanno data il 3 ottobre e il 4 hanno richiesto lo storno e poi ho avuto la comunicazione che era stata revocata». Ha dei documenti? «Ho un macello di carte. Mi sta seguendo un avvocato perché io sono completamente confusa. Cerchi di capire la mia situazione». Questi super dirigenti che prendevano milioni di euro sembra che vi abbiano messo in mezzo e rovinato… «Sì, soprattutto me, perché io mi ritrovo con un documento falso…». Ha detto di non riconoscere la sua firma… «Esatto. Il modulo non è stato neanche compilato da me. Quindi ci vorrà una perizia. Varone è la ditta dove io avrei lavorato e poi ho mandato ‘sti soldi all’Inps… 49.000 euro». Lei ha fatto quello che le hanno detto di fare signora… non è mica un commercialista o un avvocato, dico bene? «Sì, appunto, mi sono fidata ciecamente, perché comunque ho lavorato a Repubblica, mai avrei…». Che mansioni svolgeva? «Ho fatto un po’ di tutto perché sono stata assunta nel 1986: ho iniziato facendo la dimafonista, poi sono andata in amministrazione come segretaria, nella segreteria del direttore commerciale, dopodiché sono passata all’archivio documentazione e a quello fotografico. Infine per un paio d’anni sono stata anche all’Espresso, sempre come archivista». Quindi lei ha lavorato sia alla Repubblica che all’Espresso? «Sì e mi sono fidata, mi sono veramente fidata». Soprattutto di un sindacalista della Cgil, giusto? «Del sindacalista della Cgil e poi ho scoperto attraverso il vostro articolo che era coinvolta anche Alma Mazzi (un’altra ex sindacalista, ndr).…». Quindi lei è stata rovinata dal sindacato? «Certo! Sono vittima dell’Inps, del sindacato, dell’azienda, m’hanno messo in mezzo proprio tutti. Veramente». La pensione che le hanno tolto da quanto era? «L’ultimo cedolino era di 1.640 euro». Quanti anni ha lavorato? «Ho iniziato nel 1979 con Paese Sera, poi saprà com’è andata, nel ‘81-‘82 hanno licenziato tutti, mi hanno messa in cassa integrazione. Poi ho cominciato con i contratti a termine a Repubblica, fino al 1986, quando mi hanno assunta a tempo indeterminato. E sono andata avanti fino al 2010». Nel 2010 aveva 53 anni. Quando le hanno proposto di andare in pensione così giovane era contenta o, diciamo, le hanno spiegato che «doveva» accettare? «Mah. Oddio, mi andava (balbetta, ndr) pure bene di andarci… ma se mi avessero messo al corrente di ‘sta cosa, che io dovevo dichiarare che avevo lavorato in una ditta che non mi aveva mai visto e di cui io non ero nemmeno a conoscenza, mai e poi mai avrei accettato una cosa del genere. Io non ho mai avuto a che fare con la giustizia, mai! L’unica cosa sono le multe che arrivano a mio figlio…». Dunque ha dei figli, un marito, qualcuno che può aiutarla? «Ho mio marito. Il figlio, che ha 31 anni ed è sposato, è una partita Iva, non è che posso contare tanto su di lui». Suo marito è pensionato o lavora ancora? «Ha compiuto 67 anni ad agosto, avrebbe dovuto smettere l’anno prossimo, ma con questa situazione non se ne parla proprio. È un medico: ha 24 ore a convenzione con la Asl e prende anche lui sui 1.600 euro. Quindi è una situazione assurda». La sua situazione è davvero sconcertante: una signora, un’ex impiegata, che a 65 anni si trova da un giorno all’altro senza pensione. «Sì, sì. Senza pensione. E poi, tra l’altro, mi dovranno fare anche il conteggio di 12 anni di assegni che devo restituire. Una somma spaventosa. Devo ridare tutte le mensilità che ho preso dal 2010 al 2022, hanno calcolato che io ho preso indebitamente 256.000 euro». Dove li troverà tutti questi soldi? «Non lo so, mi pignoreranno la casa dove abito, che non vale nemmeno quella cifra. La dovranno mettere all’asta». Perché in che zona di Roma vivete? «Non so se ha presente il Laurentino 38?». Non è certo una zona di lusso, diciamo. «No, no, per carità, è periferia. Viviamo qui da quando mi sono sposata 33 anni fa». Perché dice che vale meno di 250.000 euro? Quanto è grande la casa? «Ottanta metri quadrati… e poi abbiamo un appartamentino a Piglio (vicino a Roma), di 40 metri quadri, una casetta di montagna, che io nemmeno posso vendere. In questo momento non posso fare niente». Le hanno bloccato tutto, anche il conto corrente? «Il conto no, però non posso vendere». Quando è successa questa cosa è stata contattata da qualcuno dell’azienda che l’ha rassicurata annunciandole qualche aiuto o niente? «Niente. Anche perché io mi sono messa contro tutti. Sembra che sia stata l’unica a collaborare e a dire le cose come stavano. Mi pare che tutti gli altri si siano avvalsi della facoltà di non rispondere, perché la Alma Mazzi del sindacato ha cercato di non far uscire le cose…». Voi siete una famiglia di destra o di sinistra? «Di destra». Lei ha lavorato per La Repubblica, per L’Espresso, per Paese sera, sono tutte testate di sinistra, no? «Sì, sì, ma io sono entrata a Paese sera perché mio padre era grande invalido di guerra. Io mi ero iscritta al collocamento speciale dei figli degli invalidi di guerra e sono entrata perché c’era una quota riservata». Quindi lei non si è sentita tradita dalla sinistra, da quel mondo là… «Come no? Eh, mamma mia, è la seconda volta che mi fregano. Perché Paese sera è andato com’è andato, mentre Repubblica ha messo in piedi tutta ‘sta cosa impossibile da immaginare. Quindi le fregature le ho prese proprio dai comunisti». Per quello non li vota? «No, per carità di Dio». Ha provato a contattare il vecchio proprietario del gruppo Carlo De Benedetti o l’ex ad Monica Mondardini, ha provato a scrivere a loro? «Non so veramente come contattarli. Dovrei farlo. Ma mi rispondono? Chi mi tutela nei confronti dell’Inps, dell’azienda, di chi mi ha messo in questa situazione. Chi mi tutela? Non lo so, veramente. Io 30 anni di contributi versati onestamente ce li ho, però non posso prendere la pensione perché ho 65 anni, quindi fino a 67 anni e mezzo non posso prendere nulla». Quanti anni di contributi le sono stati aggiunti in modo fraudolento? «Sono 160 settimane, che però io pensavo di aver coperto con i soldi che mi aveva dato La Repubblica come incentivo. Mi hanno dato questi 49.000 euro e io li ho portati alla Posta e li ho versati direttamente all’Inps, per coprire queste 160 settimane che mi mancavano. Poi, dopo c’erano i due anni di scivolo, quindi si raggiungevano i 35 anni di contributi. Non so se c’era un limite di età. Io ne avevo 53, quindi era presto effettivamente. Ma io non mi sono proprio posta il problema. Perché, insomma, sono andata con il rappresentante sindacale dal capo del personale, mi ha fatto firmare questa scrittura privata e sembrava tutto regolare». Quante volte ha incontrato il capo del personale, Marrocchio? «Penso solo quella volta, perché prima non avevo mai avuto motivo di incontrarlo. Io facevo il mio lavoro da archivista e non ho mai avuto problemi sindacali. Di persona l’ho visto il giorno della firma della scrittura privata. Prima e dopo non ci ho mai avuto a che fare. Mamma mia. Mi sembra un incubo, un inferno, mai e poi mai avrei potuto immaginare che un’azienda così mi poteva fare una cosa del genere».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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