Nel primo semestre, emissioni su dell’1,3% nonostante consumi stabili. Non è bastato il balzo del fotovoltaico che ha fatto +23%.Alla fine, è successo: persino l’Enea, con la sua compostezza scientifica e il suo lessico da convegno istituzionale, ha dovuto ammetterlo. Naturalmente non l’ha detto apertamente - ci mancherebbe, sarebbe lesa maestà verso la religione laica della decarbonizzazione - ma leggendo tra le righe del suo ultimo rapporto il messaggio è chiaro: la transizione ecologica, quella scritta con le lettere maiuscole e il bollino europeo, è un fallimento. E pure costoso. Nel suo report l’ente riconosce che nel primo semestre del 2025 le emissioni di CO2 in Italia sono aumentate dell’1,3%. Nonostante i consumi energetici siano rimasti sostanzialmente stabili. Tradotto: stiamo inquinando di più senza nemmeno produrre o consumare di più. Se questa è «transizione», allora dev’essere una di quelle in retromarcia.E il tutto mentre nel resto d’Europa le emissioni restano ferme (che già non è un traguardo glorioso, ma almeno non si peggiora). Noi invece rincariamo la dose: più anidride carbonica per tutti, ben servita con un contorno di bollette salate. Altro che decarbonizzazione, qui siamo alla ricarbonizzazione con supplemento di gas naturale.Già, perché a far impennare le emissioni è stato il caro vecchio metano, che nonostante le preghiere all’ideologia del fotovoltaico ha fatto +6%. E non è stato nemmeno un consumo «di necessità»: è bastato un inverno freddo e zac! Tutti a riaccendere le caldaie, come se Greta Thunberg non fosse mai passata da qui.Le rinnovabili, quelle che dovevano salvarci, hanno dimostrato di essere inconsistenti. L’idroelettrico, il migliore tra le rinnovabili, ha perso un quinto della produzione, l’eolico ha girato meno delle pale di un ventilatore da scrivania, e solo il fotovoltaico - benedetto sole! - è cresciuto con un +23%. Ma non basta qualche pannello in più per coprire il fallimento del resto.E l’Enea lo sa. Infatti, ci ha messo un bel numerino per quantificare il disastro: l’indice Ispred, che misura la salute del sistema energetico italiano, ha preso una bella mazzata: -25%. Una debacle in piena regola. Peggiora tutto: decarbonizzazione, sicurezza e costi. Tris perfetto. Roba da far impallidire anche il più ottimista degli ecoattivisti con monopattino elettrico.A proposito di costi: la Borsa elettrica italiana è un inferno. Prezzo medio: 120 euro per megawattora. In Spagna, 62 euro. In Francia, 67. Noi? Il doppio, con tanto di applausi dal pubblico per il record. Altro che competitività: le nostre imprese energivore, già claudicanti, stanno affondando nel pantano delle tariffe folli. E nel frattempo, a Madrid e Parigi si permettono persino il lusso di regalare l’energia: ore e ore a prezzo zero o negativo. Da noi, quei fenomeni sono così rari che li si può contare sulle dita di una mano. E magari avanza pure un dito per spegnere la luce.L’Italia, secondo le stime, dovrebbe tagliare le emissioni del 6% all’anno per i prossimi cinque anni. Ma se il trend attuale continua, riusciremo a raggiungere i target solo nel 2035, cinque anni dopo la scadenza. E nel frattempo, le conferenze sul clima continueranno a moltiplicarsi come funghi, ognuna con le sue belle slide e le sue promesse da libro dei sogni.E mentre il settore civile consuma più gas per il riscaldamento e i trasporti non decollano nella transizione elettrica, la domanda totale di energia resta piatta. Insomma, non siamo più green, non siamo più efficienti e non siamo nemmeno più moderni. Semplicemente, non siamo.Ma guai a dirlo in televisione o nei convegni: bisogna continuare a ripetere il mantra della transizione «giusta», «sostenibile», «inevitabile». Una narrazione sempre più distante dalla realtà, dove invece i pannelli solari non bastano, il vento non soffia e l’acqua scarseggia.Il fallimento è sotto gli occhi di tutti, ma come in ogni buona commedia all’italiana, fingiamo che vada tutto bene. E l’Enea, bontà sua, ce lo fa capire con tutta la diplomazia possibile. Ma ormai è tardi per i giri di parole: la transizione ecologica all’italiana è una transizione a vuoto. Con tanto di CO2 in più e bolletta più cara.Che dire? Avanti così, verso il 2030. Tanto poi c’è sempre un nuovo obiettivo da posticipare. Magari al 2040. O, per sicurezza, direttamente al prossimo secolo.
Ansa
A San Siro gli azzurri chiudono in vantaggio i primi 45 minuti con Pio Esposito, ma crollano nella ripresa sotto i colpi di Haaland (doppietta), Nusa e Strand Larsen. Finisce 1-4: il peggior - e più preoccupante - biglietto da visita in vista dei playoff di marzo. Gattuso: «Chiedo scusa ai tifosi». Giovedì il sorteggio a Zurigo.
Jannik Sinner (Ansa)
Il campione italiano si impone a Torino sullo spagnolo in due set: «È stato più bello dello scorso anno». E guadagna cinque milioni.
«Olé olé olé Sinner Sinner». Sarà pure «un carrarmato», un caterpillar, come l’ha definito Massimo Cacciari, ma dopo le Finals che assegnano il titolo di Maestro della stagione, forse non vanno trascurate le doti tattiche e la forza mentale che lo ha fatto reagire nella difficoltà come quelle che ieri hanno consentito a Jannik Sinner di spuntarla al termine di un match combattuto e a tratti spettacolare su Carlos Alcaraz, protagonista di un tennis «di sinistra», sempre secondo l’esegesi del tenebroso filosofo. Il risultato finale è 7-6 7-5. «Senza il team non siamo niente. È stata una partita durissima», ha commentato a caldo il nostro campione. «Per me vuol dire tanto finire così questa stagione. Vincere davanti al pubblico italiano è qualcosa di incredibile».
Giuseppe Caschetto (Ansa)
Giuseppe Caschetto è il sommo agente delle star (radical) nonché regista invisibile della tv, capace di colonizzare un format con «pacchetti» di celebrità. Fazio e Gruber sono suoi clienti. Ha dato uno smacco al rivale Presta soffiandogli De Martino. «Guadagno fino al 15% sui compensi».
Dal 2000 le quotazioni fondiarie valgono oltre il 20% in meno, depurate dall’inflazione. Pac più magra, Green deal e frontiere aperte hanno fatto sparire 1,2 milioni di aziende.
«Compra la terra, non si svaluta mai», dicevano i nonni. E non solo. A livello nominale in effetti è vero: i prezzi dei terreni salgono. Se però guardiamo le quotazioni togliendo l’inflazione si nota che dal 2000 i valori sono crollati di oltre il 20%.





