2024-05-28
«Giulia dormiva e le infilavo in bocca il veleno per i topi»
Alessandro Impagnatiello (Ansa)
Alessandro Impagnatiello confessa il delitto della compagna e del figlio: «A pranzo da mia madre con il cadavere nascosto in auto».«Il numero delle coltellate? Non so, l’ho scoperto guardando la Tv». Erano 37 e a metà dell’opera Alessandro Impagnatiello deve avere sentito le braccia indolenzite, travolto da una furia meccanica mentre massacrava Giulia Tramontano e il piccolo Thiago di sette mesi che stava crescendo nella pancia della mamma. Ma nella delirante sovreccitazione non era al dolore fisico che pensava, il 27 maggio 2023 nel tinello dell’appartamento di Senago (Milano). Pensava con freddezza a come far scomparire il cadavere, a come sviare le indagini con nuove bugie da scrivere su Whatsapp, alla sua amante da rabbonire, a come ripulire quegli schizzi di sangue finiti ovunque sul pavimento, sulle pareti, sul divano, sui mobili. «Ho usato sgrassatori e spugnette, ma non candeggina». Un assassinio fabbricato a mano dev’essere un lavoraccio.Mentre parla piano nell’aula di corte d’Assise del tribunale di Milano durante le sei ore di interrogatorio, l’autore della mattanza (volto scavato, barba curata, giubbotto blu su maglietta bianca e jeans azzurri) sembra cercare una via d’uscita. Che non è quella della redenzione nell’espiazione, ma quella dello sdoppiamento di personalità, di un «Io feroce» che prende il sopravvento e guida i fendenti fino al silenzio assoluto. Impagnatiello percorre i primi tornanti del viottolo freudiano che potrebbe portare alla seminfermità mentale per qualche sconto di pena, non certo alla pietà. E si incaglia sulla domanda più semplice, più potente. «Perché ha fatto tutto questo?», gli chiede la pm Alessia Menegazzo. Lui dopo una lunga pausa: «È una domanda che mi sono posto miliardi di volte. Non lo so. Non ci sarà mai motivo per giustificare tutta questa violenza».Aperto l’ombrello del raptus (chissà se funziona), l’ex barman dell’Armani Cafè, 35 anni, comincia a rievocare quella sera come se a viverla fosse stato un altro. Come se a sceneggiarla fosse stato uno degli autori di Breaking Bad. Giulia, che oggi avrebbe avuto 30 anni, torna dall’incontro chiarificatore con la collega di Alessandro ed è comprensibilmente distrutta dalla rivelazione. Lei gli dice che lo lascerà e che non vedrà mai il bambino. «Così ha distrutto la mia àncora di salvataggio. Mi ignora, come se non esistessi. Io vado in cucina, vedo che c’è il coltello con cui stava tagliando delle verdure. Nel frattempo lei è china in soggiorno per prendere un cerotto da un cassetto in basso perché si è tagliata affettando i pomodori. Le vado alle spalle in attesa che si rialzi. Quando si volta verso di me la colpisco all’altezza del collo, ma non so con quanti colpi».Sono le 19.45, l’ora della furia. Giulia Tramontano non ha neppure il tempo di reagire, non si difende. Muore prima del feto. Alessandro potrebbe guardarsi le mani come lady MacBeth e scoprire che «aveva dentro tanto sangue». È una scena atroce, disumana, probabilmente lunga. Ma lui non ha più il senso del tempo. «Era come se cercassi di nascondermi e di nascondere tutto ciò che si era appena manifestato. Quindi, avvolto completamente da uno strato di insensata follia, tentai di far sparire il corpo di Giulia», dichiara a un uditorio pietrificato. Giudici, magistrati, avvocati, assistenti, giornalisti, testimoni, la famiglia della vittima. Un esercito di terracotta. Perché il suo «far sparire» significa letteralmente carbonizzare. «Ho trascinato il corpo di Giulia dalla sala alla vasca da bagno e lì ho tentato di darle fuoco utilizzando prodotti infiammabili per fare le pulizie. Volevo renderla cenere». Non riesce, la faccenda è più complessa di come se l’era immaginata. Così porta il cadavere nel box con un carrellino da carico, poi in cantina dove riprova a incendiarlo, ma senza esito. Scende e sale come un’anima in pena e ricostruendo i paranoici spostamenti ammette: «Erano senza alcuna logica». L’assassino reo confesso rivela un dettaglio psicologico interessante, se spontaneo: «Saranno state le 21- 21.30. In mezzo a tutte queste azioni veramente ipnotiche, confusionali, c’era una parte di me che era viva e cercava aiuto. Era come se quella parte cercasse di essere vista da qualcuno perché spostando il corpo di Giulia per quattro rampe di scale in una palazzina dove ci sono famiglie, era come se cercassi di fare in modo che qualcuno mi vedesse, mi scoprisse, mi fermasse, chiamasse la polizia e interrompesse tutto». Invece nella palazzina di Senago va in scena in silenzio degli innocenti.Impagnatiello spiega di avere gettato i documenti e il cellulare della vittima in un tombino «vicino al McDonald’s dove vado solitamente» e «il materiale sporco» nei cassonetti. Lui poi deposita il cadavere nel bagagliaio dell’automobile e guarda gli highlights di Inter-Atalanta. Il giorno dopo torna a lavorare, tenta di confondere le carte, parla di scomparsa della ragazza, si inabissa nelle menzogne che alla fine lo tradiscono. Rivela con un sussurro: «Avevo costruito un castello di bugie in cui io stesso sono annegato».Sollecitato dai pm sul veleno con il quale aveva tentato di uccidere lentamente Giulia Tramontano prima del femminicidio, spiega con lo sguardo basso: «Lei andava a letto molto presto e dormiva con la bocca aperta. Così, quando ero sicuro che non si sarebbe svegliata, le mettevo due chicchi di veleno per topi in bocca. Ma ci tengo a dire, non per recare danno a Giulia, a lei non volevo far male. Volevo provocarle un aborto». Il nascituro prima desiderato, poi ritenuto un ostacolo, diventa per lui il movente scatenante della lucida follia. Anche se rimane, nel gioco di specchi che dovrà richiamare l’attenzione dei periti, «un’àncora di salvataggio».I famigliari della vittima rivivono l’orrore fra i banchi di un’aula di tribunale. Il padre, cardiopatico, è rimasto a casa e posta su Instagram tre foto della figlia. Loro chiedono giustizia, quindi l’ergastolo. C’è un’altra mamma che ascolta da lontano parole agghiaccianti. Dice Impagnatiello: «Il giorno successivo sono andato a pranzo da mia madre, avevo il cadavere di Giulia in macchina». Su quell’uomo dalla barba curata e dallo sguardo spento scende il silenzio ancora una volta. L’ultima.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)