2022-02-10
In Aula solo i sì vax: la democrazia è malata
Dal 15 febbraio non si potrà entrare a Camera e Senato senza il super green pass. Una ferita per l’elettorato passivo e per la libertà dei parlamentari. Ma anche per i cittadini che perdono il diritto di essere rappresentati. Fico e Casellati vengono meno al loro ruolo.Non ci sono più dubbi: esperiti tutti i passaggi decisionali interni, è stato stabilito che dal 15 febbraio prossimo sarà previsto l’obbligo di super green pass anche per accedere alla Camera dei deputati e al Senato. Dunque, se non si è vaccinati (o eventualmente guariti), i portoni di Montecitorio e Palazzo Madama resteranno sbarrati. Conosciamo ormai fin troppo bene i due argomenti (l’uno proclamato e «ufficiale», l’altro sussurrato e «ufficioso») alla base di questa decisione. Ecco il primo, quello recitato in posa plastica a favore di telecamera: siccome il Parlamento vuole togliersi di dosso la spiacevole etichetta della «casta», allora si precipita ad applicare su di sé le stesse restrizioni stabilite per ogni altro cittadino. Il copione può essere recitato in salsa più demagogica («come potremmo applicare a noi stessi regole diverse da quelle imposte a tutti i cittadini?») o in forma più inclusiva ed empatica («vogliamo essere vicini in tutto agli italiani»), ma la sostanza è la stessa: allontanare dalle Camere, già potentemente screditate, l’alone del privilegio, del trattamento differenziato, della scorciatoia comoda.Il secondo argomento è invece mormorato a voce più bassa, perché meno elegante (oltre che giuridicamente indecente), ma viene avanzato insieme a un sorrisino di superiorità, e magari accompagnato da una gomitata complice: «Ma che problema volete che sia? Al massimo sarà colpita una Sara Cunial della situazione, qualche figura marginale e bizzarra…». Eh certo, perché se a essere discriminato è il «reietto», quelli «perbene» si sentono legittimati, autoassolti, anzi perfino compiaciuti. In realtà, ci sono almeno tre ottime ragioni per smontare questa impostazione, e per ritenere che la scelta delle Camere rappresenti un precedente pericoloso e grave. In primo luogo, viene colpito in modo definitivo (al punto da escludere fisicamente dal luogo dell’attività parlamentare) il diritto di elettorato passivo. In base a quale principio si stabilisce che una persona non vaccinata (o eventualmente - in subordine - non guarita dopo la malattia) non sia più un rappresentante del popolo e della nazione? Con quale diritto si priva un eletto della pienezza dei suoi diritti? Se l’onorevole Tizio (a torto o a ragione) ha l’insopprimibile convinzione di non volersi vaccinare, per ciò stesso deve essere privato della possibilità di condurre - nella sede propria - quella battaglia e ogni altra battaglia politica? Poniamo che il nostro onorevole Tizio voglia esprimersi proprio da non vaccinato su alcuni provvedimenti relativi all’emergenza pandemica: che senso della democrazia ha chi lo butta fisicamente fuori dall’Aula? E ancora, su un altro piano: poniamo che sempre il nostro onorevole Tizio abbia un’altra importante battaglia da svolgere in commissione o in Aula (sulle banche, sulla giustizia, in politica estera, e così via): che si fa, glielo si impedisce materialmente? Siamo davanti a una decisione dalle conseguenze enormi. In secondo luogo, viene colpito anche il diritto di elettorato attivo. Se io sono un votante dell’onorevole Tizio, e l’ho eletto esattamente affinché sostenga una certa battaglia, come si giustifica il fatto che il mio rappresentante venga messo fuori gioco? Escludendolo, non si colpisce solo lui, ma anche una frazione del corpo elettorale, una porzione della società. Il che è ancora più paradossale nel momento in cui - per definizione - il Parlamento dovrebbe essere lo specchio, istituzionale e politico, in cui si riflette tutta la società italiana. Che facciamo? Rendiamo ipso facto «extraparlamentari» alcune tesi, colpendo sia chi le sostiene nella società sia chi dovrebbe difenderle nelle Aule parlamentari? Riflettendo senza pregiudizi, ciascuno comprenderà la pericolosità di questa deriva. E infine c’è un terzo aspetto che riguarda direttamente i Presidenti delle Camere, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il presidente della Camera (o del Senato) rappresenta tutta l’istituzione, ma deve anche costituire un punto insuperabile di tutela e di garanzia pure per l’ultimo dei deputati o dei senatori, per il più isolato e magari stravagante, anche per il parlamentare più lontano dalle opinioni e della sensibilità della maggioranza, o magari per il più ostile - per idee - allo stesso presidente. A questo serve un presidente: a far sentire nelle condizioni di esprimere il suo pensiero e di condurre liberamente la sua battaglia anche il portatore della più piccola e marginale posizione politica. Ovvio che il titolare di questa soggettività politica ultraminoritaria non possa pretendere di vincere la partita, o di imporre agli altri il proprio punto di vista. Ma - se siamo ancora una democrazia - anche a quel deputato o a quella deputata deve almeno essere consentito di giocare la partita, di poter dare ingresso alla sua tesi, di vederla in campo, magari battuta e messa in minoranza. Ma non di vedersi perfino preclusa la possibilità di entrare in Aula. Giova ripeterlo: se siamo ancora una democrazia.