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2020-02-13
Gli scoop della «Verità» spingono babbo Renzi in tribunale per Consip
Ansa
In queste ore è attesa la decisione del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma Gaspare Sturzo sulla vicenda Consip e c'è chi scommette che la sua ordinanza giungerà a conclusioni molto diverse da quelle della Procura di Roma. Il giudice a luglio aveva respinto la richiesta di archiviazione dei pm per Tiziano Renzi (accusato di traffico di influenze illecite) e altri nove, tra cui l'ex ministro Luca Lotti (per l'imputazione di rivelazione di segreto), l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo e l'ex parlamentare di Futuro e libertà Italo Bocchino.
Secondo voci di corridoio negli ultimi giorni la toga siciliana avrebbe limato gli ultimi punti di una robusta ordinanza. La lunga incubazione del provvedimento e la sua ipotizzata corposità (solitamente l'accoglimento di una richiesta di archiviazione è un atto stringato) fanno ipotizzare a molti che il gup potrebbe disporre il rinvio giudizio coatto di gran parte degli indagati. Del resto aveva già preso questa decisione controcorrente nel processo al broker di Carlo De Benedetti, quel Gianluca Bolengo che aveva scommesso sulle azioni delle banche Popolari dopo che lo stesso De Benedetti aveva appreso a Palazzo Chigi dall'allora premier Matteo Renzi che stava per essere licenziato un decreto sul tema. Grazie a quell'imbeccata l'ex patron del gruppo Gedi portò a casa una bella plusvalenza da 600.000 euro.
Per il pm napoletano Henry John Woodcock e il maggiore Gianpaolo Scafarto tra Renzi senior e Romeo ci sarebbero stati incontri e promesse di denaro per il ruolo di facilitatore di Tiziano. I magistrati di Roma, invece, hanno chiesto ben due volte il proscioglimento di babbo Renzi e dei suoi coindagati, l'ultima nell'ottobre scorso, dopo un supplemento di investigazioni. Per gli inquirenti capitolini «non sono stati individuati elementi da cui inferire la conoscenza e la condivisione da parte di Tiziano Renzi delle trattative che Russo stava conducendo con Romeo anche a suo nome», ovvero un contratto da 30.000 euro al mese per il babbo e di 5.000 ogni 60 giorni per Russo per il loro ruolo di lobbisti.
Eppure, come ha certo notato anche il gup, «un probabile incontro» tra Romeo e Renzi ci sarebbe stato, nel luglio del 2015. I carabinieri sono riusciti, incrociando le celle telefoniche a individuare un abboccamento del terzetto a Firenze, mentre non sono riusciti a stabilire con certezza incroci tra i tre a Roma, per la vastità dell'area coperta dai ripetitori, almeno inizialmente.
Che il babbo e l'imprenditore si siano visti sarebbe confermato anche dalle chat estratte dal cellulare di Russo (a Tiziano gli inquirenti non hanno sequestrato il telefonino) che registravano «le buone impressioni» che Romeo e Renzi senior avrebbero tratto l'uno dell'altro.
Qualunque sarà la decisione di Sturzo, il padre dell'ex Rottamatore è il convitato di pietra, seppur non imputato, anche nel filone dell'inchiesta già approdata a processo e che vede alla sbarra Lotti e i generali in pensione Emanuele Saltalamacchia e Tullio Del Sette (i primi due accusati di favoreggiamento all'ex ad di Consip Luigi Marroni, il terzo anche di rivelazione di segreto). Infatti in aula verranno ascoltati decine di testimoni e alcuni di loro dovranno rispondere a domande riguardanti anche Renzi senior e gli scoop della Verità. In un articolo del novembre 2016 avevamo rivelato che Tiziano aveva ricevuto una soffiata su un'inchiesta a suo carico e avevamo scritto che aveva «convocato l'amico sindaco di Rignano Daniele Lorenzini e vari politici del Pd, compresi diversi collaboratori del figlio» per condividere con loro le sue preoccupazioni. Dopo il nostro articolo i carabinieri del Noe piazzarono delle cimici nel giardino della villa dei genitori dell'ex premier Matteo Renzi e Lorenzini è stato sentito due volte su questo punto ed è stato inserito dal pm Mario Palazzi nella lista dell'accusa. Il primo cittadino, oltre a confermare quanto da noi scritto, aggiunse che Tiziano Renzi «temeva di essere arrestato» e che a una grigliata era stato consigliato dal generale Saltalamacchia «di non parlare al telefono».
L'altro nostro scoop finito al centro delle indagini riguarda l'ex tesoriere del Pd campano Alfredo Mazzei. A fine dicembre 2016 il commercialista ci raccontò di una cena a cui avrebbero partecipato l'imprenditore Romeo, Renzi senior e l'aspirante faccendiere Carlo Russo, all'epoca stretto collaboratore del babbo. Dopo quell'intervista Mazzei fu convocato dai carabinieri e successivamente venne sentito dai magistrati di Roma, ai quali confermò: «Romeo mi raccontò che il Russo aveva organizzato un pranzo o una cena in un ristorante di Roma, a cui, oltre che lo stesso Russo, vi era il Renzi Tiziano». Il 10 ottobre 2017 Mazzei ha riferito ulteriori particolari: «Romeo mi disse di essere rimasto sorpreso dalle modalità e dal luogo dell'incontro: lo avevano portato (non specificò chi) in un palazzo a Roma e, varcato il portone, erano usciti da un ingresso secondario che affacciava su una diversa strada, ove vi era un locale, piuttosto disadorno, nel quale aveva incontrato Carlo Russo e Tiziano Renzi». I magistrati capitolini non hanno considerato tutti questi elementi sufficienti a chiedere il rinvio a giudizio di Renzi senior. Il giudice Sturzo potrebbe essere di diversa opinione.
Babbo e mamma del Bullo verso il processo pure per i crac delle coop
Il procedimento per il fallimento delle tre cooperative che ruotavano attorno ai Renzi, la Delivery service Italia, la Europe service e la Marmodiv, approda all'udienza preliminare. Il gup, su richiesta della Procura di Firenze, ha fissato la camera di consiglio per il 9 giugno. Gli imputati sono 18. E tra loro ci sono i genitori del già Rottamatore, babbo Tiziano e mamma Laura, e la galassia che gli girava intorno. L'inchiesta, coordinata dal pm Luca Turco, è quella che esattamente un anno fa portò i genitori del leader di Italia viva ai domiciliari per 18 giorni.
Ai due, come da avviso di conclusione delle indagini preliminari che fu notificato all'indomani della Leopolda, viene contestato l'utilizzo e l'emissione di fatture per circa 390.000 euro che avrebbero prodotto un'evasione, tra Iva non pagata, Ires e Irap, di circa 204.000 euro. Curioso che la contestazione sia arrivata proprio mentre il leader di Italia viva stava battagliando per alzare la soglia oltre la quale per gli evasori scatterebbero le manette.
La prima accusa è quella di aver cagionato in modo doloso il crac della Delivery service Italia, dichiarata fallita il 17 giugno 2015. Per quel crac sono indagati, oltre ai genitori, considerati amministratori di fatto, anche gli ex componenti del cda: si va da Pier Giovanni Spiteri, amico fotografo della famiglia Renzi, a Roberto Bargilli, ex autista del camper del fu Rottamatore alle primarie per la carica di segretario del Pd, da Simone Verdolin a Pasqualino Furii (altro storico collaboratore del babbo con precedenti per bancarotta). Nell'elenco compaiono anche Mariano Massone e la moglie Giovanna Gambino, accusati pure loro di essere stati per un periodo amministratori di fatto. La coppia ha collaborato per anni con i genitori dell'ex premier in diverse avventure imprenditoriali.
Per quanto riguarda la Europe service, fallita ad aprile 2018, invece i Renzi, indicati come «amministratori di fatto fino a dicembre 2012», sono accusati di aver sottratto, «con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori», i libri e le altre scritture contabili. La maggior parte degli indagati è sotto accusa anche per la gestione della Marmodiv, dichiarata fallita nel marzo 2019. Per esempio i coniugi Renzi e Spiteri nella dichiarazione Iva del 2015 e nel modello Unico dello stesso anno presentato ai fini Ires avrebbero inserito 32 fatture considerate dall'accusa fittizie e utilizzate per abbattere gli utili. Giuseppe Mincuzzi, presidente del cda fino al marzo 2018, babbo Renzi, Massone e il genovese Massimiliano Di Palma (legale rappresentante della Dmp Italia) avrebbero infine aggravato, secondo i magistrati, il dissesto della società con una «colpa grave». Quale? Durante la procedura prefallimentare avrebbero stipulato un contratto di cessione di ramo d'azienda della Marmodiv in favore della Dmp Italia, ma non vi avrebbero dato esecuzione, non trasferendo i dipendenti all'acquirente, né saldando i debiti entro il 31 dicembre 2018. I costi di gestione sarebbero rimasti a carico della Marmodiv, che addirittura avrebbe fornito servizi alla Dmp Italia senza conseguire alcun ricavo. L'unico ad uscire di scena è l'avvocato Luca Mirco, già presidente della Marmodiv, che compariva nell'avviso di chiusura indagini e che non è nell'elenco degli imputati. Le sue memorie difensive devono aver convinto la Procura ad avanzare una richiesta di archiviazione.
Tutti gli altri dovranno presentarsi in tribunale il 9 giugno. La richiesta di rinvio a giudizio non ha sorpreso i difensori dei coniugi Renzi, gli avvocati Federico Bagattini e Lorenzo Pellegrini, che hanno dichiarato: «Era ampiamente scontata, trattandosi della questione per la quale i Renzi sono stati arrestati, provvedimento poi annullato dal Tribunale del riesame». Che, però, nelle motivazioni confermò l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza. «Nel merito», comunque, sostengono gli avvocati, «siamo assolutamente convinti che in sede processuale dimostreremo come non vi sia alcun nesso tra il fallimento della Marmodiv e l'attività dei Renzi, che erano clienti e non amministratori». Ora sarà il giudice a stabilirlo.
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Riduci
A luglio era stata respinta l'archiviazione chiesta dalla Procura: secondo indiscrezioni è possibile il rinvio a giudizio. Il procedimento riguarda anche Luca Lotti (già alla sbarra nel filone principale), Alfredo Romeo e Italo Bocchino.Babbo e mamma del Bullo verso il processo pure per i crac delle coop. A Firenze indagini sul fallimento della Delivery service Italia, della Europe service e della Marmodiv. Udienza il 9 giugno.Lo speciale comprende due articoli. In queste ore è attesa la decisione del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma Gaspare Sturzo sulla vicenda Consip e c'è chi scommette che la sua ordinanza giungerà a conclusioni molto diverse da quelle della Procura di Roma. Il giudice a luglio aveva respinto la richiesta di archiviazione dei pm per Tiziano Renzi (accusato di traffico di influenze illecite) e altri nove, tra cui l'ex ministro Luca Lotti (per l'imputazione di rivelazione di segreto), l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo e l'ex parlamentare di Futuro e libertà Italo Bocchino. Secondo voci di corridoio negli ultimi giorni la toga siciliana avrebbe limato gli ultimi punti di una robusta ordinanza. La lunga incubazione del provvedimento e la sua ipotizzata corposità (solitamente l'accoglimento di una richiesta di archiviazione è un atto stringato) fanno ipotizzare a molti che il gup potrebbe disporre il rinvio giudizio coatto di gran parte degli indagati. Del resto aveva già preso questa decisione controcorrente nel processo al broker di Carlo De Benedetti, quel Gianluca Bolengo che aveva scommesso sulle azioni delle banche Popolari dopo che lo stesso De Benedetti aveva appreso a Palazzo Chigi dall'allora premier Matteo Renzi che stava per essere licenziato un decreto sul tema. Grazie a quell'imbeccata l'ex patron del gruppo Gedi portò a casa una bella plusvalenza da 600.000 euro. Per il pm napoletano Henry John Woodcock e il maggiore Gianpaolo Scafarto tra Renzi senior e Romeo ci sarebbero stati incontri e promesse di denaro per il ruolo di facilitatore di Tiziano. I magistrati di Roma, invece, hanno chiesto ben due volte il proscioglimento di babbo Renzi e dei suoi coindagati, l'ultima nell'ottobre scorso, dopo un supplemento di investigazioni. Per gli inquirenti capitolini «non sono stati individuati elementi da cui inferire la conoscenza e la condivisione da parte di Tiziano Renzi delle trattative che Russo stava conducendo con Romeo anche a suo nome», ovvero un contratto da 30.000 euro al mese per il babbo e di 5.000 ogni 60 giorni per Russo per il loro ruolo di lobbisti.Eppure, come ha certo notato anche il gup, «un probabile incontro» tra Romeo e Renzi ci sarebbe stato, nel luglio del 2015. I carabinieri sono riusciti, incrociando le celle telefoniche a individuare un abboccamento del terzetto a Firenze, mentre non sono riusciti a stabilire con certezza incroci tra i tre a Roma, per la vastità dell'area coperta dai ripetitori, almeno inizialmente. Che il babbo e l'imprenditore si siano visti sarebbe confermato anche dalle chat estratte dal cellulare di Russo (a Tiziano gli inquirenti non hanno sequestrato il telefonino) che registravano «le buone impressioni» che Romeo e Renzi senior avrebbero tratto l'uno dell'altro. Qualunque sarà la decisione di Sturzo, il padre dell'ex Rottamatore è il convitato di pietra, seppur non imputato, anche nel filone dell'inchiesta già approdata a processo e che vede alla sbarra Lotti e i generali in pensione Emanuele Saltalamacchia e Tullio Del Sette (i primi due accusati di favoreggiamento all'ex ad di Consip Luigi Marroni, il terzo anche di rivelazione di segreto). Infatti in aula verranno ascoltati decine di testimoni e alcuni di loro dovranno rispondere a domande riguardanti anche Renzi senior e gli scoop della Verità. In un articolo del novembre 2016 avevamo rivelato che Tiziano aveva ricevuto una soffiata su un'inchiesta a suo carico e avevamo scritto che aveva «convocato l'amico sindaco di Rignano Daniele Lorenzini e vari politici del Pd, compresi diversi collaboratori del figlio» per condividere con loro le sue preoccupazioni. Dopo il nostro articolo i carabinieri del Noe piazzarono delle cimici nel giardino della villa dei genitori dell'ex premier Matteo Renzi e Lorenzini è stato sentito due volte su questo punto ed è stato inserito dal pm Mario Palazzi nella lista dell'accusa. Il primo cittadino, oltre a confermare quanto da noi scritto, aggiunse che Tiziano Renzi «temeva di essere arrestato» e che a una grigliata era stato consigliato dal generale Saltalamacchia «di non parlare al telefono».L'altro nostro scoop finito al centro delle indagini riguarda l'ex tesoriere del Pd campano Alfredo Mazzei. A fine dicembre 2016 il commercialista ci raccontò di una cena a cui avrebbero partecipato l'imprenditore Romeo, Renzi senior e l'aspirante faccendiere Carlo Russo, all'epoca stretto collaboratore del babbo. Dopo quell'intervista Mazzei fu convocato dai carabinieri e successivamente venne sentito dai magistrati di Roma, ai quali confermò: «Romeo mi raccontò che il Russo aveva organizzato un pranzo o una cena in un ristorante di Roma, a cui, oltre che lo stesso Russo, vi era il Renzi Tiziano». Il 10 ottobre 2017 Mazzei ha riferito ulteriori particolari: «Romeo mi disse di essere rimasto sorpreso dalle modalità e dal luogo dell'incontro: lo avevano portato (non specificò chi) in un palazzo a Roma e, varcato il portone, erano usciti da un ingresso secondario che affacciava su una diversa strada, ove vi era un locale, piuttosto disadorno, nel quale aveva incontrato Carlo Russo e Tiziano Renzi». I magistrati capitolini non hanno considerato tutti questi elementi sufficienti a chiedere il rinvio a giudizio di Renzi senior. 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L'inchiesta, coordinata dal pm Luca Turco, è quella che esattamente un anno fa portò i genitori del leader di Italia viva ai domiciliari per 18 giorni. Ai due, come da avviso di conclusione delle indagini preliminari che fu notificato all'indomani della Leopolda, viene contestato l'utilizzo e l'emissione di fatture per circa 390.000 euro che avrebbero prodotto un'evasione, tra Iva non pagata, Ires e Irap, di circa 204.000 euro. Curioso che la contestazione sia arrivata proprio mentre il leader di Italia viva stava battagliando per alzare la soglia oltre la quale per gli evasori scatterebbero le manette. La prima accusa è quella di aver cagionato in modo doloso il crac della Delivery service Italia, dichiarata fallita il 17 giugno 2015. Per quel crac sono indagati, oltre ai genitori, considerati amministratori di fatto, anche gli ex componenti del cda: si va da Pier Giovanni Spiteri, amico fotografo della famiglia Renzi, a Roberto Bargilli, ex autista del camper del fu Rottamatore alle primarie per la carica di segretario del Pd, da Simone Verdolin a Pasqualino Furii (altro storico collaboratore del babbo con precedenti per bancarotta). Nell'elenco compaiono anche Mariano Massone e la moglie Giovanna Gambino, accusati pure loro di essere stati per un periodo amministratori di fatto. La coppia ha collaborato per anni con i genitori dell'ex premier in diverse avventure imprenditoriali. Per quanto riguarda la Europe service, fallita ad aprile 2018, invece i Renzi, indicati come «amministratori di fatto fino a dicembre 2012», sono accusati di aver sottratto, «con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori», i libri e le altre scritture contabili. La maggior parte degli indagati è sotto accusa anche per la gestione della Marmodiv, dichiarata fallita nel marzo 2019. Per esempio i coniugi Renzi e Spiteri nella dichiarazione Iva del 2015 e nel modello Unico dello stesso anno presentato ai fini Ires avrebbero inserito 32 fatture considerate dall'accusa fittizie e utilizzate per abbattere gli utili. Giuseppe Mincuzzi, presidente del cda fino al marzo 2018, babbo Renzi, Massone e il genovese Massimiliano Di Palma (legale rappresentante della Dmp Italia) avrebbero infine aggravato, secondo i magistrati, il dissesto della società con una «colpa grave». Quale? Durante la procedura prefallimentare avrebbero stipulato un contratto di cessione di ramo d'azienda della Marmodiv in favore della Dmp Italia, ma non vi avrebbero dato esecuzione, non trasferendo i dipendenti all'acquirente, né saldando i debiti entro il 31 dicembre 2018. I costi di gestione sarebbero rimasti a carico della Marmodiv, che addirittura avrebbe fornito servizi alla Dmp Italia senza conseguire alcun ricavo. L'unico ad uscire di scena è l'avvocato Luca Mirco, già presidente della Marmodiv, che compariva nell'avviso di chiusura indagini e che non è nell'elenco degli imputati. Le sue memorie difensive devono aver convinto la Procura ad avanzare una richiesta di archiviazione. Tutti gli altri dovranno presentarsi in tribunale il 9 giugno. La richiesta di rinvio a giudizio non ha sorpreso i difensori dei coniugi Renzi, gli avvocati Federico Bagattini e Lorenzo Pellegrini, che hanno dichiarato: «Era ampiamente scontata, trattandosi della questione per la quale i Renzi sono stati arrestati, provvedimento poi annullato dal Tribunale del riesame». Che, però, nelle motivazioni confermò l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza. «Nel merito», comunque, sostengono gli avvocati, «siamo assolutamente convinti che in sede processuale dimostreremo come non vi sia alcun nesso tra il fallimento della Marmodiv e l'attività dei Renzi, che erano clienti e non amministratori». Ora sarà il giudice a stabilirlo.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Riduci
Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
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Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
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