2020-08-24
Importiamo il modello Sud America
Da sempre i caudilli nazionalizzano le Tlc: in questi giorni in Argentina l'ultimo caso, sulla scia di Bolivia e Venezuela. Il Mef sarebbe però pronto a una trattativa di mercato.Lezioni sudamericane per l'Italia? Si può sperare di no, ovviamente, ma c'è da temerlo, in qualche misura. Il presidente argentino Alberto Fernández (potente capo del gabinetto dei ministri ai tempi della presidenza di Cristina Kirchner; poi eletto presidente a fine 2019, con un'agenda economica fatta di aumenti fiscali a tappeto sulle classi medie e medio alte e di distribuzione di buoni pasto per i più poveri) ha deciso una vera e propria nazionalizzazione dei sistemi di telecomunicazione. Per evitare di continuare il gioco delle somiglianze, va detto che non ha usato un Dpcm, ma l'equivalente di un decreto legge (in Argentina si chiama Dnu: decreto di necessità e urgenza). Così, sono stati dichiarati «servizi pubblici» (e dunque sussunti dalla mano pubblica) l'intero settore telefonico (telefonia fissa e mobile), Internet e televisione a pagamento. In questa mossa si riconoscono due stimmate: il classico tocco kirchnerista (mescolanza di potere politico e business, controllo pubblico dell'economia come strumento di acquisizione del consenso) più tutto un armamentario che in Argentina viene definito peronista (a seconda dei casi, lungo i decenni, con varianti più di destra o più di sinistra), ma che in Italia può essere tradotto in un mix di statalismo, ostilità al mercato, tutto innaffiato da retorica inneggiante ai più deboli e al pueblo. Fernández ha infatti subito annunciato che le tariffe resteranno congelate almeno per quattro mesi, e che così si «recuperano strumenti regolatori che il precedente governo aveva sottratto allo Stato». Poi, spiegata con un linguaggio che non dispiacerebbe ai nostri grillini, ecco la copertura ideologica: «Il diritto degli utenti e dei consumatori è un diritto riconosciuto costituzionalmente». E ancora: «L'educazione, l'accesso alla conoscenza, alla cultura e alla comunicazione sono diritti di base che dobbiamo proteggere».Ma non sfugge a nessuno che il cuore dell'operazione è ben lontano dalla preoccupazione per qualche aumento tariffario: Buenos Aires vuole che l'intero sistema delle Tlc, sia saldamente (e unicamente) nelle mani dello Stato. Il che è due volte inquietante: in primo luogo, per il rafforzamento di chi è al potere; e in secondo luogo perché la mano pubblica non è certo soggetta agli obblighi di trasparenza che comunque gravano sui soggetti privati quotati in Borsa. Qui si entra in un territorio diverso, in cui lo Stato possiede e controlla, cioè controlla sé stesso. Ovvero, non controlla: dispone e basta, in modo pressoché assoluto. Va purtroppo sottolineato che in Sud America non si tratta di un esperimento isolato. Già nel Venezuela ai tempi di Hugo Chávez il regime mise le mani su Cantv, la principale compagnia telefonica, il cui azionista di controllo era l'americana Verizon. La scusa utilizzata fu quella di opporsi allo spionaggio internazionale: naturalmente oggi è proprio l'azienda di regime a organizzare il jamming di siti sgraditi. Un altro caso avvenne 13 anni fa nella Bolivia di Evo Morales, quando fu espropriata l'Entel, una succursale di Telecom Italia. La parola «esproprio» fu usata in una nota di Telecom che fa una certa impressione rileggere oggi: «Lo schema di intervento messo in atto per recuperare le quote in possesso delle società straniere […] si configura come un vero e proprio “esproprio", che fa seguito alle pretestuose motivazioni di carattere gestionale e a infondate accuse di comportamenti illegittimi». Ciononostante il governo boliviano non si fece scrupolo di intervenire, anche con effetti retroattivi. La morale è fin troppo chiara, anche se ieri sera fonti del Mef hanno tentato la marcia indietro rispetto all'intervista di Roberto Gualtieri a Repubblica, parlando di uno scenario che prevede il via libera a Kkr, la possibilità per Tim di mantenere il 51% della rete unica e l'importanza di una governance condivisa. Certe cose possono essere dette in lingua spagnola o in lingua italiana, e in genere si parte da argomenti sexy per l'opinione pubblica (la presenza dello Stato in infrastrutture critiche), ma poi si finisce come una fin troppo lunga storia insegna: gestioni antieconomiche, colpi mortali alla concorrenza, assenza di trasparenza, opaca coincidenza di controllante e controllato. A volte ritornano.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco