
Per rivedere gli obiettivi del contingente affinché possa fronteggiare Hezbollah servirebbe l’ok (impossibile) del Consiglio di sicurezza. L’alternativa resta il ritiro. Ue: «Grave preoccupazione». Josep Borrell: «Troppo lenti».Nel giorno della diffusione di una serie di video che mostrano un tunnel sotterraneo di Hezbollah a circa 150 metri dalle torrette dalla base Unifil - oggetto degli scontri degli scorsi giorni- è sempre più evidente che la missione dell’Onu non è stata in grado di ottemperare alla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, adottata l’11 agosto 2006. Questo tunnel è uno dei tre che le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno mostrato ad alcuni giornalisti negli scorsi giorni. «Così si costruisce un avamposto d’attacco operativo. Ed è quello che abbiamo trovato qui, a soli 300 metri dalla postazione delle Nazioni unite», ha detto un comandante israeliano che accompagnava i giornalisti. Poi l’ufficiale delle Idf ha affermato: «Sono tunnel militari che Hezbollah ha costruito qualche anno fa e dove ha portato molte armi come missili anticarro, fucili, equipaggiamento da combattimento personale e infrastrutture militari per attaccare Israele e attraversare il confine. Un’altra cosa che voglio sottolineare è che siamo molto vicini alla base Onu, è a meno di 200 metri da noi». La risoluzione 1701 è stata elaborata con l’obiettivo di prevenire un nuovo conflitto e di tenere Hezbollah lontano dal confine tra Israele e Libano. Il testo della risoluzione richiede la cessazione totale delle ostilità, il rilascio immediato dei soldati israeliani rapiti (mai avvenuto), e il dispiegamento di 15.000 uomini delle truppe internazionali delle Nazioni unite, incaricate di monitorare il confine tra Libano e Israele insieme all’esercito libanese. Al 20 giugno 2023 le forze Unifil presenti nel Libano meridionale ammontavano a 9.516 unità. Abbiamo chiesto al generale Antonio Li Gobbi che nella sua lunga carriera ha partecipato a missioni dell’Onu in Siria e in Israele e della Nato, in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, solo per citarne alcune, un’opinione sulla missione dell’Onu in Libano e sui recenti avvenimenti: «Credo che questa situazione fosse ampiamente prevedibile, forse si sono chiusi gli occhi finora e ora ci si stupisce di qualcosa di cui forse non ci si dovrebbe stupire. Il problema riguardo alla missione Unifil è che, come altre missioni Onu, può funzionare solo a patto che operi tra entità statuali che siano consenzienti e che siano in grado di esercitare un controllo effettivo su tutte parti in causa (e né Libano né Israele controllano gli Hezbollah eterodiretti da Teheran). Ogni volta che si è pensato di poter ampliare il ruolo militare dell’Onu, come ad esempio in Congo nel 1964, si è assistito a un fallimento, perché in campo c’erano anche milizie non statuali, come ora c’è Hezbollah in Libano. C’è un’incapacità strutturale dell’Onu nel gestire operazioni militari, come avvenuto anche in Somalia, dove anche noi italiani abbiamo pagato un tributo di sangue, e ancora peggio in Bosnia, dove non si può dimenticare la vergogna di Srebrenica, e dove poi è dovuta subentrare la Nato con ben diverso mandato, diverse regole d’ingaggio e soprattutto diversa credibilità politica». Per tornare alla risoluzione 1701, la missione Unifil -nonostante le ripetute promesse di mantenere la stabilità lungo il confine tra Israele e Libano - non ha mai impedito a Hezbollah di rafforzare la sua presenza nell’area, dispiegando forze, tra cui l’unità d’élite Radwan che ha aumentato la pressione sull’Unifil, ostacolandone di continuo le operazioni. Il gruppo libanese ha installato migliaia di razzi e dispiegato miliziani addestrati all’uso che si sono serviti di organizzazioni civili come copertura per le loro attività nel sud del Libano. Tra le violazioni più gravi c’è la costruzione di un tunnel sotto il confine per facilitare l’infiltrazione di militanti in Israele e ha lanciato operazioni terroristiche e provocazioni dal mese di ottobre 2022. Durante il recente conflitto a Gaza, gli attacchi di Hezbollah si sono intensificati, con centinaia di razzi e missili anticarro diretti contro il territorio israeliano. Secondo le stime delle Idf, nel corso dell’ultimo mese circa 25 razzi e missili sono stati lanciati contro le comunità israeliane e le forze di difesa da postazioni terroristiche di Hezbollah, situate nei pressi delle basi Unifil nel sud del Libano, sfruttando la loro vicinanza alle truppe delle Nazioni Unite. Uno di questi attacchi ha causato la morte di due soldati israeliani. Evidente che si tratti di un gigantesco problema politico così come è chiaro che nessuno vuole dar ragione a Benjamin Netanyahu (da tempo ha chiesto all’Onu «di ritirare i peacekeeper dalle zone dei combattimenti») e uno tra tutti è certamente il ministro della Difesa Guido Crosetto che ha affermato: «L’Italia e l’Onu non prendono ordini da Israele». Detto questo, il problema resta sul tavolo: e allora come se ne esce? Il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ieri era a Berlino, ad una domanda alla stampa italiana sulla modifica delle regole di ingaggio del contingente Unifil in Libano nel caso in cui lo scopo fosse il disarmo dei terroristi ha risposto: «È ovvio che, se l’obiettivo è quello da parte delle Nazioni unite, le attuali regole di ingaggio non vanno bene perché non hanno neanche l’armamento adatto per imporre delle decisioni di questo tipo. Sono le Nazioni unite che devono scegliere». Anche l’Unione europea ha espresso «grave preoccupazione per la recente escalation lungo la Linea Blu» e condannato «tutti gli attacchi contro le missioni Onu», esprimendo «particolare preoccupazione per gli attacchi delle forze di difesa israeliane contro le forze Unifil, che hanno causato il ferimento di diversi peace-keeper». Il tutto dopo 4 giorni, suscitando le ire dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrell, che ha affermato: «Ci è voluto troppo tempo per dire qualcosa più che evidente, ossia che è inaccettabile attaccare l’Unifil: avrei voluto che gli Stati membri raggiungessero un’intesa più velocemente». Ma queste dichiarazioni non cambiano il fatto che per cambiare le regole d’ingaggio debba intervenire il Consiglio di sicurezza. Ma questo è praticamente impossibile, dato che si tratta di organismo pachidermico, perennemente ostaggio dei veti incrociati (qui ci sarebbero Russia e Cina). Il cambio delle regole di ingaggio semplicemente non avverrà mai.
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






