2022-03-20
Zar isolato? Forse sì, ma può farci molto male
Per spiegarmi il suo punto di vista in merito alle sanzioni alla Russia, un amico, grande esperto di cose internazionali e di sicuro non sospetto di tifare per Putin, mi ha citato una frase, attribuendola a Winston Churchill. L’uomo che guidò la Gran Bretagna dal 10 maggio del 1940 fino alla conclusione della seconda guerra mondiale, un giorno, osservando la visibilità ridotta a zero nel canale che separa Inghilterra e Francia, avrebbe detto: «Oggi c’è nebbia sulla Manica: il continente è isolato». Ecco, secondo il mio amico, noi occidentali con Mosca ci culliamo più o meno nella stessa illusione, convinti che il Cremlino e gli oligarchi siano completamente isolati, condannati dal disprezzo del mondo e dalle misure finanziarie adottate dopo l’invasione dell’Ucraina. In realtà le cose non stanno esattamente come ci vengono descritte, ma sono un po’ più complesse, perché alcuni Paesi, pur non essendosi schierati apertamente a favore di Putin, di fatto non stanno applicando le sanzioni, nascondendosi dietro la mancata risoluzione di condanna dell’Onu. Come tutti sanno, è stata la Russia a opporsi a una decisione che l’avrebbe messa ai margini, approfittando del suo potere di veto. Tuttavia, una serie di Paesi, anziché sostenere la proposta avanzata da Stati Uniti e Europa, si sono astenuti e quasi tutti coloro che hanno preferito non esprimersi sono Stati che intrattengono rapporti commerciali con Mosca. In pratica, più dei diritti all’autodeterminazione dei popoli, più della sofferenza dei civili ucraini, nella decisione hanno pesato gli affari. Il mio amico ha fatto un calcolo semplice: considerando la popolazione dei Paesi che hanno deciso di non applicare le sanzioni, tra i quali ci sono Cina, India e Turchia, a sostenere le misure contro la Russia è meno della metà del mondo. È vero che la parte schierata contro l’invasione, che cioè ha varato provvedimenti che incidono sull’economia reale di Mosca, rappresenta quella più avanzata, ossia quella il cui Pil pesa di più. Però non si può ignorare che, per opportunismo o cinismo (o forse per tutti e due), più della metà del mondo, se non sta con Putin, quanto meno chiude gli occhi. Altro che isolamento: ci sono Paesi che continuano a intrattenere relazioni con Mosca, sfruttando la guerra per ottenere migliori condizioni commerciali nell’acquisto di carburanti, ma anche per avere sconti sulle materie prime. Il blocco delle transazioni finanziarie è sì un problema, ma molti stanno aggirando i divieti ricorrendo alla moneta cinese, oppure con operazioni in bitcoin che sfuggono ai controlli. Del resto, passando dalla Cina all’India, dalla Turchia all’Arabia Saudita, molti hanno bisogno di petrolio oppure sono interessati agli armamenti e soffrono il predominio americano, sognando di poter riequilibrare i rapporti grazie a un’alternativa. È vero che il mercato occidentale è quello che garantisce il maggior numero di consumi, ma è altrettanto vero che alcuni Paesi sognano l’indipendenza. Non soltanto quella politica, ma anche quella economica. Del resto, nonostante i missili sparati contro le città ucraine, recidere la dipendenza da Mosca non è facile. Basti pensare che a tutt’oggi, nonostante l’invasione, Gazprom, ossia la compagnia statale russa, non solo continua a erogare il gas a tutta Europa, nonostante questa abbia condannato la guerra e rifornisca di armi l’esercito di Kiev, ma non ha neppure chiuso i rubinetti con cui alimenta la stessa Ucraina. Detto in termini più chiari, non soltanto l’Italia e gli altri Paesi della Nato, da un lato si oppongono al conflitto e dall’altro lo finanziano, pagando ogni mese le forniture di metano; ma fino a ieri, e forse anche oggi, lo stesso ha fatto Kiev, per evitare che tutto il Paese rimanesse al freddo, ma soprattutto al buio. Sono i paradossi di una guerra che in apparenza nessuno vuole, ma che tutti evitano di fermare? Sì. Ma sono anche i paradossi di un conflitto in cui ci sono più affermazioni di principio che ragionamenti di buon senso. A leggere i nostri giornali, ma anche quelli internazionali, Putin è ormai alle corde, isolato nel suo stesso Paese, con un’opposizione crescente nella classe dirigente russa. Noi tutti ci auguriamo che lo sia e che con un colpo di mano sia deposto. Però, ragionando con il metro del mio amico e soprattutto con quello di interessi che non muovono gli ideali ma il mondo, forse le cose non stanno come ci vengono raccontate. Se c’è nebbia sulla Manica non è l’Europa a essere isolata, ma la Gran Bretagna. E se la metà della popolazione mondiale non applica le sanzioni alla Russia, forse non è quest’ultima a rischiare l’isolamento. Il dollaro oggi è ancora predominante nelle transazioni internazionali, ma siamo sicuri che sarà sempre così? E siamo certi che spingere Russia, Cina e India a sostituire il bigliettone verde del vecchio zio Sam con lo yuan non sia un autogol?Ps. Ieri il portavoce di Putin ha alzato i toni contro l’Italia. Il senso è chiaro: se il nostro Paese prenderà la stessa strada intrapresa dalla Francia, Mosca potrebbe dichiararci guerra. Non penso che la Russia voglia colpirci con i missili, ma con il gas sì. La nostra economia dipende e dipenderà dal metano russo e un blocco sarebbe per noi un danno inestimabile. Insomma, lo zar del Cremlino sarà pure isolato, ma può ancora far male.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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