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2021-08-03
Gli imbrogli per vaccinare i bambini
iStock
Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico sembra un croupier che mescola i numeri e li estrae dal bussolotto, ma nessuno ha voglia di giocare a tombola con la salute dei minori. Lo scorso maggio, appena tre mesi fa, Franco Locatelli compariva in audizione davanti alle commissioni congiunte Salute e Istruzione del Senato dichiarando che il rischio Covid per i giovanissimi era «contenuto, se non irrilevante». Spiegava, infatti, che in un anno e mezzo di pandemia «il prezzo pagato in termine di vite perse nella popolazione pediatrica è stato di 19 pazienti sotto i 18 anni e spesso c'era una patologia concomitante».
Nessuna preoccupazione, dichiarava, con un sensato riferimento ad altre questioni sulle quali vigilare perché i minorenni «possono però essere esposti a stress in seguito alle misure» conseguenti al lockdown. Passano novanta giorni e il professore cambia tono, sul Corriere della Sera annuncia minaccioso che «i deceduti sotto i 19 anni in Italia sono a oggi 28» e che la vaccinazione serve perché «gli adolescenti vengono protetti dal rischio di sviluppare malattia grave o addirittura fatale». Il numero estratto questa volta dal coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità non è dieci, cento volte più grande di quello rilevato a maggio: stiamo parlando di nove decessi in più tra giovanissimi.
Siamo tutti d'accordo, sarebbe meglio che nessuno morisse per malattie, incidenti, suicidi o disgrazie varie, ma se il Covid si è portato via nove under 18 in più in tre mesi non vuol dire che è stata versata una delle sette coppe dell'ira di Dio ed è ormai prossima la fine del mondo. L'Apocalisse annunciata da Locatelli dovrebbe riguardare solo il Cts e il ministero della Salute, per come trattano gli italiani a dati in faccia. Basta leggere l'ultimo rapporto dell'Iss per sapere che «l'età media dei pazienti deceduti e positivi a Sars-CoV-2 è 80 anni» e che malgrado il terrorismo da variante delta l'età mediana dei pazienti deceduti positivi al Covid «è più alta di oltre 35 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l'infezione», con età media 46 anni.
Non riempiono gli ospedali, non vanno in terapia intensiva, i decessi tra gli under 19 non raggiungono nemmeno i dieci casi in tre mesi, sono 28 in un anno e mezzo, quindi perché suonare le sette trombe? L'operazione seria, corretta sarebbe stata rendere trasparenti le cause di quelle morti, finite nel calderone di chi viene registrato vittima del Covid anche se aveva altre patologie o era caduto dalla scala mentre era in quarantena per un tampone risultato positivo. L'Iss fa sapere che al 21 luglio erano 1.479 (l'1,2%) i decessi per coronavirus di età inferiore ai 50 anni ma che «di 105 pazienti di età inferiore a 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri, 206 presentavano gravi patologie preesistenti».
Perché non è stato possibile consultare le cartelle cliniche? E perché mai la tabella, sulle patologie e complicanze più comuni osservate in questi pazienti, mette insieme la fascia di età 19-59 anni? Nell'accozzaglia spariscono riferimenti utili a capire le ragioni del decesso degli adolescenti. I pezzi grossi della Sanità preferiscono associare un numero alla cartella del terrore, in tutte le sue varianti. I giovanissimi con l'etichetta «morti per Covid» sono 28, da inizio epidemia, questa sarebbe una ragione valida per vaccinare i ragazzi perché «la protezione degli adolescenti consente di proteggere indirettamente coetanei che frequentano la stessa classe o altri luoghi di socializzazione, ma che non hanno un sistema immunitario capace di rispondere efficacemente al vaccino. Lo stesso discorso si applica ai non vaccinati che entrano in contatto con i bambini», secondo Locatelli. Edificante esempio di come non si fa una corretta comunicazione ai cittadini. Tutti i morti positivi risultano morti per Covid e tutti i morti dopo il vaccino sembrano uccisi dal farmaco, senza studi sul nesso causale.
La disinformazione dilaga, stordendo con dati e dichiarazioni tra loro discordanti. Anche il patologo Sergio Abrignani ha utilizzato i numeri dell'Iss per diffondere sconcerto. Prima ricordava che «sono circa 3 milioni» in Italia i ragazzi tra i 12 e i 17 anni, li definiva «un bacino molto vasto per l'infezione» e che «i rischi legati a Covid nei bambini non sono pari a zero», per poi contraddire il dato allarmistico riportando i dati dell'Iss, ovvero che «in questo anno e mezzo i morti tra 0 e 19 anni sono stati 28», dovuti al coronavirus. Facciamo due conti solo sul tasso di mortalità standardizzato relativo al 2016, quando per i maschi era di 2,7 decessi su 10.000 giovani di età 0-18 anni e per le femmine di 2,6. Se lo moltiplicate per i 10,7 milioni di ragazzi di quella età in Italia, ottenete rispettivamente 2.901 e 2.703 morti l'anno tra i giovanissimi. Non per Covid.
Via libera all’iniezione per i bambini pure se i genitori sono contrari
Dopo averli lasciati a casa per quasi un anno e aver organizzato la risposta al Covid sulla base delle esigenze di docenti e ultrasessantenni in generale, lo Stato italiano si ricorda dei ragazzi. Ma solo di quelli che si vogliono vaccinare e trovano un ostacolo nei genitori, che troveranno medici pronti ad ascoltarli e ottenere la dose. E in ogni caso, «la volontà del minore deve prevalere». Se invece un adolescente non vuole vaccinarsi, gli va solo detto che sarebbe meglio farlo. Tanto a lui, legalmente, possono pensare i genitori, portandolo per le orecchie a immunizzarsi. È quanto si ricava da un parere espresso dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb), dall'impostazione nettamente pro-vaccino. Parere che arriva dopo che a ottobre lo stesso Cnb aveva messo in guardia dalla sperimentazioni di farmaci e vaccini contro il virus cinese, specie su minori, soggetti deboli e non debitamente informati. Il Comitato è una struttura di consulenza della presidenza del Consiglio, presieduta dal giurista Lorenzo d'Avack e nel quale siedono scienziati come l'immunologo Silvio Garattini e l'ex ministro della Salute Mariapia Garavaglia. Di solito si occupa di temi come l'inizio o la fine della vita, a cavallo tra scienza, diritto e filosofia, ma questa volta il comitato ha voluto dire la sua su quello che capita in mezzo.
Ebbene, il parere reso noto ieri (sette pagine in tutto) e votato all'unanimità disegna una singolare asimmetria. Se il minore vuole vaccinarsi e i genitori invece non vogliono, il ragazzo dovrà essere ascoltato da personale medico con competenze pediatriche e «la sua volontà deve prevalere, in quanto coincide con il migliore interesse della sua salute psico-fisica e della salute pubblica». Se invece il minore non vuole vaccinarsi, nonostante i genitori siano favorevoli, il Comitato se la cava con una raccomandazione: «È auspicabile e importante che l'adolescente sia informato che la vaccinazione è nell'interesse della sua salute, della salute delle persone prossime e della salute pubblica». Lo strabismo nei confronti dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni è evidente, perché se si vogliono vaccinare, lo Stato non li lascerà soli di fronte ai genitori oscurantisti. Se invece non si vogliono vaccinare, ma i genitori sono a favore dell'immunizzazione, lo stesso Stato non entrerà nelle dinamiche familiari.
Nel parere, il Comitato aggiunge anche un passaggio che sembra liberale: dal punto di vista bioetico si ritiene corretto non introdurre l'obbligo vaccinale per legge, ma «è opportuno che, nelle circostanze di contrasto tra le parti, la volontà sia certificata per esplicitare con la massima chiarezza le rispettive posizioni, anche al fine di individuare meglio i contrasti nel tentativo di ricomporli». Già, peccato che se il minore in contrasto con i genitori si vuole vaccinare, scendono in campo i pediatri e la macchina della Salute pubblica, a costo di entrare nella sfera della potestà genitoriale. Se invece il ragazzo non si vuole vaccinare, lo Stato si gira dall'altra parte e se la cava con un auspicio alla «corretta informazione» (quella favorevole al vaccino).
Nel caso poi si abbia a che fare con un adolescente che ha malattie per le quali il vaccino è raccomandato, come il diabete o l'obesità, e i genitori si oppongano, il Cnb ricorda l'obbligo dei genitori di garantire il migliore interesse del minore «con ricorsi al comitato di etica clinica o ad uno spazio etico e, come extrema ratio, al giudice tutelare». Insomma, occhio che finisce male. Scomparso ogni riferimento alla tutela dei minori in senso contrario, come invece lo stesso Comitato aveva auspicato in un parere del 22 ottobre, nel quale si metteva in guardia dalla sperimentazione di trattamenti anti-Covid sui minorenni. E il vaccino, per ammissione unanime, è sperimentale. In compenso, a questo giro il Comitato sostiene che, obbligo o non obbligo, «rimane il dovere morale e civile di vaccinazione, come autorevolmente sottolineato dal presidente Mattarella». Lucidati i candelabri quirinalizi, resta il mistero di questi minorenni che non possono guidare la macchina e votare alle elezioni, ma per il Cnb, se vogliono vaccinarsi contro il volere di mamma e papà, vanno aiutati. Se invece sono contrari, restano minorenni. Insomma, anche con la «f» minuscola, sui vaccini c'è figliolo e figliolo.
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Il capo del Cts: «28 le morti tra gli under 19, la puntura va fatta». Ma tre mesi fa parlava di nove vittime in meno e la sconsigliava.Il comitato di bioetica smentisce i suoi allarmi sulle sperimentazioni di farmaci su minori.Lo speciale contiene due articoli.Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico sembra un croupier che mescola i numeri e li estrae dal bussolotto, ma nessuno ha voglia di giocare a tombola con la salute dei minori. Lo scorso maggio, appena tre mesi fa, Franco Locatelli compariva in audizione davanti alle commissioni congiunte Salute e Istruzione del Senato dichiarando che il rischio Covid per i giovanissimi era «contenuto, se non irrilevante». Spiegava, infatti, che in un anno e mezzo di pandemia «il prezzo pagato in termine di vite perse nella popolazione pediatrica è stato di 19 pazienti sotto i 18 anni e spesso c'era una patologia concomitante». Nessuna preoccupazione, dichiarava, con un sensato riferimento ad altre questioni sulle quali vigilare perché i minorenni «possono però essere esposti a stress in seguito alle misure» conseguenti al lockdown. Passano novanta giorni e il professore cambia tono, sul Corriere della Sera annuncia minaccioso che «i deceduti sotto i 19 anni in Italia sono a oggi 28» e che la vaccinazione serve perché «gli adolescenti vengono protetti dal rischio di sviluppare malattia grave o addirittura fatale». Il numero estratto questa volta dal coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di sanità non è dieci, cento volte più grande di quello rilevato a maggio: stiamo parlando di nove decessi in più tra giovanissimi. Siamo tutti d'accordo, sarebbe meglio che nessuno morisse per malattie, incidenti, suicidi o disgrazie varie, ma se il Covid si è portato via nove under 18 in più in tre mesi non vuol dire che è stata versata una delle sette coppe dell'ira di Dio ed è ormai prossima la fine del mondo. L'Apocalisse annunciata da Locatelli dovrebbe riguardare solo il Cts e il ministero della Salute, per come trattano gli italiani a dati in faccia. Basta leggere l'ultimo rapporto dell'Iss per sapere che «l'età media dei pazienti deceduti e positivi a Sars-CoV-2 è 80 anni» e che malgrado il terrorismo da variante delta l'età mediana dei pazienti deceduti positivi al Covid «è più alta di oltre 35 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l'infezione», con età media 46 anni. Non riempiono gli ospedali, non vanno in terapia intensiva, i decessi tra gli under 19 non raggiungono nemmeno i dieci casi in tre mesi, sono 28 in un anno e mezzo, quindi perché suonare le sette trombe? L'operazione seria, corretta sarebbe stata rendere trasparenti le cause di quelle morti, finite nel calderone di chi viene registrato vittima del Covid anche se aveva altre patologie o era caduto dalla scala mentre era in quarantena per un tampone risultato positivo. L'Iss fa sapere che al 21 luglio erano 1.479 (l'1,2%) i decessi per coronavirus di età inferiore ai 50 anni ma che «di 105 pazienti di età inferiore a 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri, 206 presentavano gravi patologie preesistenti». Perché non è stato possibile consultare le cartelle cliniche? E perché mai la tabella, sulle patologie e complicanze più comuni osservate in questi pazienti, mette insieme la fascia di età 19-59 anni? Nell'accozzaglia spariscono riferimenti utili a capire le ragioni del decesso degli adolescenti. I pezzi grossi della Sanità preferiscono associare un numero alla cartella del terrore, in tutte le sue varianti. I giovanissimi con l'etichetta «morti per Covid» sono 28, da inizio epidemia, questa sarebbe una ragione valida per vaccinare i ragazzi perché «la protezione degli adolescenti consente di proteggere indirettamente coetanei che frequentano la stessa classe o altri luoghi di socializzazione, ma che non hanno un sistema immunitario capace di rispondere efficacemente al vaccino. Lo stesso discorso si applica ai non vaccinati che entrano in contatto con i bambini», secondo Locatelli. Edificante esempio di come non si fa una corretta comunicazione ai cittadini. Tutti i morti positivi risultano morti per Covid e tutti i morti dopo il vaccino sembrano uccisi dal farmaco, senza studi sul nesso causale. La disinformazione dilaga, stordendo con dati e dichiarazioni tra loro discordanti. Anche il patologo Sergio Abrignani ha utilizzato i numeri dell'Iss per diffondere sconcerto. Prima ricordava che «sono circa 3 milioni» in Italia i ragazzi tra i 12 e i 17 anni, li definiva «un bacino molto vasto per l'infezione» e che «i rischi legati a Covid nei bambini non sono pari a zero», per poi contraddire il dato allarmistico riportando i dati dell'Iss, ovvero che «in questo anno e mezzo i morti tra 0 e 19 anni sono stati 28», dovuti al coronavirus. Facciamo due conti solo sul tasso di mortalità standardizzato relativo al 2016, quando per i maschi era di 2,7 decessi su 10.000 giovani di età 0-18 anni e per le femmine di 2,6. Se lo moltiplicate per i 10,7 milioni di ragazzi di quella età in Italia, ottenete rispettivamente 2.901 e 2.703 morti l'anno tra i giovanissimi. 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Tanto a lui, legalmente, possono pensare i genitori, portandolo per le orecchie a immunizzarsi. È quanto si ricava da un parere espresso dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb), dall'impostazione nettamente pro-vaccino. Parere che arriva dopo che a ottobre lo stesso Cnb aveva messo in guardia dalla sperimentazioni di farmaci e vaccini contro il virus cinese, specie su minori, soggetti deboli e non debitamente informati. Il Comitato è una struttura di consulenza della presidenza del Consiglio, presieduta dal giurista Lorenzo d'Avack e nel quale siedono scienziati come l'immunologo Silvio Garattini e l'ex ministro della Salute Mariapia Garavaglia. Di solito si occupa di temi come l'inizio o la fine della vita, a cavallo tra scienza, diritto e filosofia, ma questa volta il comitato ha voluto dire la sua su quello che capita in mezzo. Ebbene, il parere reso noto ieri (sette pagine in tutto) e votato all'unanimità disegna una singolare asimmetria. Se il minore vuole vaccinarsi e i genitori invece non vogliono, il ragazzo dovrà essere ascoltato da personale medico con competenze pediatriche e «la sua volontà deve prevalere, in quanto coincide con il migliore interesse della sua salute psico-fisica e della salute pubblica». Se invece il minore non vuole vaccinarsi, nonostante i genitori siano favorevoli, il Comitato se la cava con una raccomandazione: «È auspicabile e importante che l'adolescente sia informato che la vaccinazione è nell'interesse della sua salute, della salute delle persone prossime e della salute pubblica». Lo strabismo nei confronti dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni è evidente, perché se si vogliono vaccinare, lo Stato non li lascerà soli di fronte ai genitori oscurantisti. Se invece non si vogliono vaccinare, ma i genitori sono a favore dell'immunizzazione, lo stesso Stato non entrerà nelle dinamiche familiari. Nel parere, il Comitato aggiunge anche un passaggio che sembra liberale: dal punto di vista bioetico si ritiene corretto non introdurre l'obbligo vaccinale per legge, ma «è opportuno che, nelle circostanze di contrasto tra le parti, la volontà sia certificata per esplicitare con la massima chiarezza le rispettive posizioni, anche al fine di individuare meglio i contrasti nel tentativo di ricomporli». Già, peccato che se il minore in contrasto con i genitori si vuole vaccinare, scendono in campo i pediatri e la macchina della Salute pubblica, a costo di entrare nella sfera della potestà genitoriale. Se invece il ragazzo non si vuole vaccinare, lo Stato si gira dall'altra parte e se la cava con un auspicio alla «corretta informazione» (quella favorevole al vaccino). Nel caso poi si abbia a che fare con un adolescente che ha malattie per le quali il vaccino è raccomandato, come il diabete o l'obesità, e i genitori si oppongano, il Cnb ricorda l'obbligo dei genitori di garantire il migliore interesse del minore «con ricorsi al comitato di etica clinica o ad uno spazio etico e, come extrema ratio, al giudice tutelare». Insomma, occhio che finisce male. Scomparso ogni riferimento alla tutela dei minori in senso contrario, come invece lo stesso Comitato aveva auspicato in un parere del 22 ottobre, nel quale si metteva in guardia dalla sperimentazione di trattamenti anti-Covid sui minorenni. E il vaccino, per ammissione unanime, è sperimentale. In compenso, a questo giro il Comitato sostiene che, obbligo o non obbligo, «rimane il dovere morale e civile di vaccinazione, come autorevolmente sottolineato dal presidente Mattarella». Lucidati i candelabri quirinalizi, resta il mistero di questi minorenni che non possono guidare la macchina e votare alle elezioni, ma per il Cnb, se vogliono vaccinarsi contro il volere di mamma e papà, vanno aiutati. Se invece sono contrari, restano minorenni. Insomma, anche con la «f» minuscola, sui vaccini c'è figliolo e figliolo.
Roberto Fico (Ansa)
Il partito di Matteo Renzi, a ieri sera, al momento in cui siamo andati in stampa, non aveva ancora raggiunto l’accordo al suo interno sul nome da proporre a Fico; solito marasma nel Pd, dove alla fine due posti su tre in giunta sono stati decisi (Mario Casillo ed Enzo Cuomo) mentre sul terzo è andato in scena lo psicodramma, con Elly Schlein che ha rotto lo schema che prevedeva almeno una donna e ha deciso, a quanto ci risulta, di nominare un terzo uomo (in pole Andrea Morniroli). Per il M5s in pole c’è la deputata Gilda Sportiello, fedelissima di Fico, mentre Vincenzo De Luca dovrebbe riuscire a vincere il braccio di ferro con Fico e ottenere una delega di peso per il suo ex vicepresidente, Fulvio Buonavitacola. Per il Psi certo l’ingresso in giunta di Enzo Maraio, per Avs Fiorella Zabatta, mentre Noi di centro, lista di Clemente Mastella, dovrebbe indicare Maria Carmela Serluca.
«Siamo agli sgoccioli», ha commentato Fico al termine della seduta, «a breve la giunta sarà annunciata. Non ci sono ritardi, la legge ci dice che possono passare fino a dieci giorni dall’insediamento del Consiglio per la nomina della giunta, siamo perfettamente nei tempi. Ci prendiamo il tempo giusto per la migliore giunta possibile. Penso che sia normale che ogni forza politica metta sul tavolo anche le proprie competenze, le proprie volontà e quindi si sta cercando solo un equilibrio giusto nell’interesse dei cittadini campani. Ma se devo dire che ci sono particolari discussioni, no».
Manco a dirlo a centrare il bersaglio al primo colpo è stato invece il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, il cui fratello Massimiliano è stato eletto presidente del Consiglio regionale con 41 voti su 51 presenti. Considerato che il centrodestra ha votato per lui, a Manfredi jr sono mancati una decina di voti della maggioranza. I sospetti si addensano sui consiglieri della lista di Vincenzo De Luca, A testa alta, e su qualche mal di pancia in altre liste. «Nessun soccorso alla maggioranza, ma una scelta politica netta e motivata dal rispetto delle istituzioni e dagli interessi della Campania». Forza Italia, in una nota, «chiarisce» il senso del voto espresso per l’elezione del presidente del Consiglio regionale. «Non abbiamo votato Manfredi per far dispetto a qualcuno», hanno dichiarato capogruppo e vice di Fi, Massimo Pelliccia e Roberto Celano, «ma perché riteniamo che il presidente del Consiglio regionale debba essere la più alta espressione del Consiglio stesso. Una decisione che nasce da una valutazione autonoma e istituzionale. Non abbiamo guardato a quello che faceva De Luca, non ci interessavano dinamiche o contrapposizioni personali. Abbiamo guardato esclusivamente agli interessi dei campani». «A fronte di un’apertura istituzionale del centrodestra che ha votato compatto Manfredi», hanno poi precisato tutti i capigruppo del centrodestra, «dimostrando rigore istituzionale e collaborazione nell’interesse dei cittadini campani, la maggioranza di centrosinistra si lacera nelle sue divisioni interne. I fatti sono chiari nella loro oggettività, il centrosinistra parte male». In realtà anche la Lega è partita con un passo falso: caso più unico che raro un consigliere appena eletto, Mimì Minella, ha abbandonato alla prima seduta il Carroccio e si è iscritto al Misto. I problemi del centrosinistra si sono manifestati plasticamente quando, dopo una sospensione, i cinque consiglieri regionali del gruppo congiunto Casa riformista-Noi di centro non si sono ripresentati in aula. Clamorosa poi la protesta pubblica di Avs che con un comunicato durissimo in serata parla addirittura di «atti di forza che mortificano il confronto democratico e alterano gli equilibri della coalizione» e chiede al governatore di intervenire immediatamente.
Fico ha annunciato il ritiro da parte della Regione della querela contro la trasmissione Rai Report, presentata da Vincenzo De Luca e relativa a un servizio sulla sanità campana: «Per dare un segnale di distensione da subito», ha detto Fico, «annuncio il ritiro della querela. Sosterremo un’informazione locale plurale e di qualità, gli organi di stampa del territorio sono presidi di democrazia. Ognuno deve naturalmente fare il proprio mestiere, ma deve farlo liberamente e senza condizionamenti».
Da parte sua, il candidato del centrodestra sconfitto da Fico, il viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, non ha sciolto l’interrogativo sulla sua permanenza in Consiglio come capo dell’opposizione: «Sto qua, sto bene, farò la mia parte», ha detto Cirielli, «poi si prenderanno decisioni ad alto livello istituzionale per garantire il miglior funzionamento del Consiglio regionale».
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Alfonso Signorini (Ansa)
I due avvocati hanno assunto da poco la difesa di Signorini sia in sede civile che penale «nell’ambito della complessa vicenda che lo vede vittima di gravi e continuate condotte criminose». Il riferimento è alle «accuse» sollevate dall’ex paparazzo che nella puntata dello scorso 15 novembre del suo format «Falsissimo» aveva parlato di un «sistema Grande Fratello» che sarebbe stato creato dallo stesso Signorini. Secondo Corona, chi voleva accedere al reality show doveva cedere alle avances sessuali del direttore di Chi: questo «sistema» sarebbe andato avanti per circa dieci anni coinvolgendo oltre 500 persone.
Nell’immediatezza delle accuse, Signorini aveva subito presentato una querela in Procura a seguito della quale è stata poi aperta un’inchiesta. E la Procura aveva iscritto Fabrizio Corona nel registro degli indagati per diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito. Da questa indagine è scaturita una perquisizione a casa di Corona, avvenuta sabato scorso. L’ex fotoreporter, a quel punto, ha deciso di essere sentito dai pm ai quali per oltre due ore ha raccontato «il sistema». All’indomani delle festività natalizie è emerso che il direttore di Chi avrebbe deciso di prendere una pausa dai social dal momento che il suo profilo Instagram è stato «rimosso». I legali di Signorini hanno motivato la sua scelta: «Per fronteggiare queste gravissime condotte illecite, a tutti evidenti, e soprattutto il capillare riverbero che trovano su alcuni disinvolti media, il dottor Alfonso Signorini, professionista che ha costruito con scrupolo, serietà e abnegazione un’intera carriera di giornalista, autore, regista e conduttore televisivo, si vede costretto a sospendere in via cautelativa ogni suo impegno editoriale in corso con Mediaset».
Secondo gli avvocati Missaglia e Aiello, «è noto il principale responsabile di questa surreale e virulenta aggressione, soggetto che, nonostante le precedenti condanne penali, oggi vorrebbe assumere le vesti di giudice e pubblico ministero, imponendo proprie regole per un tornaconto personale e non certo per l’interesse di giustizia. Il tutto al costo di danni irreparabili ed enormi per le vittime designate».
Mediaset «agirà con determinazione in tutte le sedi sulla base esclusiva di elementi oggettivi e fatti verificati per contrastare la diffusione di contenuti e ricostruzioni diffamatorie o calunniose, a tutela del rispetto delle persone, dei fatti e dei propri interessi», ha reso l’azienda in un comunicato. Per Mediaset «chi opera per l’azienda è tenuto ad attenersi a chiari principi di correttezza, responsabilità e trasparenza, come definiti dal codice etico, che viene applicato senza eccezioni. Sono in corso tutti gli accertamenti e verifiche per garantirne il suo rispetto». L’azienda ha accolto la decisione di Signorini di autosospendersi «stante l’esigenza di tutelare sé stesso e le persone interessate nella vicenda mediatica in cui è rimasto suo malgrado coinvolto».
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Una sottrazione di ricchezza che nel 2025 ha raggiunto la cifra di 9 miliardi. Nel primo semestre dell’anno che sta per chiudersi, le rimesse verso l’estero sono cresciute del 6,4%. Dal 2005 al 2024, in vent’anni, il valore complessivo è passato da 3,9 a quasi 8,3 miliardi di euro, segnando un aumento del 40%, al netto dell’inflazione (a prezzi costanti).
È una sottrazione di ricchezza pari allo 0,38% del Pil italiano e anche se è una percentuale contenuta rispetto al contributo del lavoro straniero all’economia nazionale (8,8%) sono pur sempre soldi che se ne vanno e che non contribuiscono al benessere della comunità. Va considerato anche che le rimesse tracciate rappresentano una parte di quelle che sfuggono alle statistiche perché frutto di attività in nero. Secondo i dati Istat del 2024 oltre 1,8 milioni di immigrati risultano in povertà assoluta. Difficile verificare se questa sia una condizione reale o se risultano tali solo al fisco. In sostanza uno su tre non paga le tasse.
Bankitalia nel suo report, ci dice che considerando i trasferimenti in contanti che non avvengono tramite banche, Poste e altri canali tenuti a registrare gli spostamenti finanziari verso l’estero, l’incidenza sul Pil sale a circa lo 0,5%. Le autorità monetarie stimano che per tenere conto anche delle varie forme di invii di denaro si debbano aumentare di un 30% le cifre ufficiali. I trasferimenti verso il Paese d’origine sono tanto maggiori quanto più la località di destinazione è vicina e quanto più alto è il numero dei suoi cittadini in Italia. Parliamo comunque di cifre risultanti da moltiplicazioni ipotetiche. Il contante che varca il confine potrebbe essere di gran lunga superiore alle stime più larghe, considerata la diffusione del sommerso per numerose attività svolte dagli immigrati. Basta pensare alle colf, alle badanti o alle attività artigiane o nell’edilizia dove gli immigrati sono più presenti.
In vent’anni, dal 2005-2024 gli stranieri registrati all’anagrafe in Italia sono passati da 2,27 a 5,25 milioni (+131%), con un trend di crescita ben più marcato rispetto a quello dei trasferimenti. Di conseguenza l’importo medio trasferito è passato da 1.719 euro a 1.577 euro (-8% a valori correnti). Il che non vuol dire che hanno iniziato a spendere e a investire nel nostro Paese ma solo che sono aumentati i ricongiungimenti familiari. Pertanto, invece di mandare i soldi all’estero, questi sarebbero serviti al sostegno economico dei parenti venuti in Italia. Questi, secondo le statistiche, sono oltre 100.000 l’anno. Va sottolineato che i visti per lavoro sono appena 39mila nel 2023, circa l’11% dei 330.730 totali.
Bankitalia ha analizzato anche la distinzione geografica dei flussi delle rimesse. Il Bangladesh è la prima destinazione con 1,4 miliardi di euro inviati nel 2024, pari allo 0,34% del Pil nazionale. Seguono Pakistan (600 milioni), Marocco (575 milioni), Filippine (570 milioni), Georgia, India, Romania, Perù, Sri Lanka, Senegal. Questi dieci Paesi ricevono i due terzi delle rimesse complessive. Se si aggiungono le dieci successive posizioni nella graduatoria si supera l’85% del totale dei valori trasferiti. Ai restanti 100 Paesi, sono arrivati circa 500.000 euro complessivi nel 2024.
I trasferimenti di denaro più consistenti vengono da Roma (1,1 miliardi) e Milano (900 milioni). Seguono Napoli, Torino, Firenze, Brescia, Bologna, Genova, Venezia e Verona. Complessivamente da queste città partono 3,9 miliardi di euro pari al 47% del totale.
Guardando alla media per singolo straniero i flussi maggiori si hanno ad Aosta (3.465 euro) e Napoli (3.211 euro), mentre i valori più bassi si registrano a Rieti (497 euro) ed Enna (682 euro).
Oltre al fenomeno delle rimesse, c’è anche quello dell’alta spesa per assistenza sociale che gli immigrati assorbono essendo destinatari di misure contro la povertà e dei vari bonus famiglia per 1,3 miliardi su 5,9 miliardi complessivi.
Secondo un’analisi di Itinerari Previdenziali, con 3 milioni e mezzo di dipendenti privati nel 2024 e una retribuzione media annua di 16.693 euro, gli stranieri appartengono a quella fascia di reddito che versa solo il 23% dell’Irpef complessiva. Quindi gravano sulle voci principali del welfare. L’80% del peso fiscale italiano si regge su un ristretto 27,41% di lavoratori con redditi oltre 29.000 euro e in questa fascia non rientra la maggioranza degli immigrati.
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Fabio Dragoni ricostruisce il caso Minnesota: miliardi di dollari destinati ad aiuti umanitari e istruzione finiti in una rete di associazioni fantasma, scuole inesistenti e fondi pubblici bruciati nel silenzio dei grandi media.