2024-01-12
Mentre abbandonano l’Ilva, gli indiani si fanno in casa il super-impianto dell’acciaio
Nuovi forni di Mittal da 24 tonnellate (contro le 3 di Taranto). Adolfo Urso chiude al ritorno di Arcelor. Il governo ai sindacati: trattiamo per il «divorzio consensuale» fino al 17.La giornata di ieri verrà ricordata per la rottura definitiva tra il governo e quello che ancora oggi è il primo azionista di Acciaierie d’Italia, il colosso ArcelorMittal. Dopo le parole del ministro Adolfo Urso in Parlamento («Noi faremo la nostra parte, l’attuale partner privato non è intenzionato a metterci risorse, abbiamo dato mandato a Invitalia e ai legali di sciogliere questo nodo») anche le ultime possibilità che gli indiani possano tornare nella partita del sito di Taranto sono svanite. Bisogna solo capire se avranno seguito le intenzioni ventilate del sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano («Il governo lavora a un divorzio consensuale», ha detto in serata ai sindacati) o se la palla passerà in tribunale come invece aveva fatto capire il ministro delle Imprese. Il tempo per provare «la conciliazione stragiudiziale» terminerà mercoledì 17 e infatti i sindacati sono riconvocati per il 18. Del resto che la riapertura di Mittal dopo l’incontro-scontro dell’8 gennaio (fonti legali hanno fatto sapere che il gruppo era disposto a investire in cambio di una governance condivisa pur andando in minoranza) fosse solo un bluff lo dimostra la notizia di ieri. Il presidente di ArcelorMittal, Lakshmi Mittal, ha annunciato che ArcelorMittal India sta costruendo il più grande impianto siderurgico integrato al mondo in un'unica sede, ad Hazira nel Gujarat. A casa sua, in India. I numeri dicono che si tratterà di un sito che ha una capacità di produzione pari a 24 milioni di tonnellate annue e che dovrebbe essere pronto entro il 2029. I lavori sulla prima fase del progetto (iniziati nel 2021) stanno andando avanti spediti e un primo step con tanto di inaugurazione sarà completato nel 2026.Numeri che danno ancora più forza alla presa di posizione del governo che accusa i Mittal di un completo disimpegno rispetto a Taranto. Nulla di ciò che era nel programma è stato realizzato. Nel 2023 la produzione si attesterà a meno di 3 milioni di tonnellate di acciaio, come nel 2022, ben sotto l’obiettivo minimo dei 4 milioni che poi nel 2025 sarebbero dovuti diventare 5. Una produzione che si è ridotta addirittura negli anni in cui la produzione di acciaio era molto profittevole, basti pensare al 2019. L’accusa agli indiani è quella di essere entrati in Ilva solo per evitare che Taranto passasse nelle mani dei concorrenti, per controllarla piuttosto che per farla crescere. E i fatti stanno dicendo questo. Ecco perché lo Stato, nonostante i patti parasociali a favore degli indiani sottoscritti dal governo Conte e il conseguente rischio legale, ha deciso di prendersi Acciaierie d’Italia. Per mantenerne il controllo (le ipotesi più attendibili parlano di un anno di gestione) durante il quale poi venga individuato e fatto entrare un socio o una cordata con più soci. L’ipotesi più verosimile è l’amministrazione straordinaria e poi l’ingresso di un privato. E infatti è già partito il risiko dei partner. Arvedi è in pole position, ma non bisogna dimenticare Duferco, Acciaierie Venete e come rivelato da Verità&Affari che ci sono soggetti interessati, avrebbe già presentato un piano al Mimit Vulcan Steel, che fa capo a un ramo della famiglia Jindal, a realizzare il forno elettrico a Taranto.Sul punto strategico comunque Urso è stato chiaro: «L’Ilva può essere il polo siderurgico green più grande e avanzato del continente e può delineare un piano in Italia che preveda 4 poli: il polo di Taranto, il polo di Piombino, il polo di Terni e il polo delle grandi acciaierie green del Nord Italia. Per rendere», ha spiegato, «la siderurgia italiana leader in Europa e base fondamentale dell’industria manifatturiera, della cantieristica, della nautica, degli elettrodomestico, del sistema delle infrastrutture, delle costruzioni e della meccanica». Insomma, su Taranto, il governo ha detto di essere disponibile a investire un altro miliardo oltre ai 320 milioni dell’aumento di capitale e ai 680 del prestito che sarà convertito, hanno come obiettivo quello di garantire che l’ex Ilva resti il maggior presidio della produzione dell’acciaio nel Paese. Non della lavorazione - perché di siti di lavorazione ce ne sono anche in abbondanza - ma di produzione. Produzione che evidentemente dovrà ma mano crescere ed arrivare il prima possibile allo step minimo dei 4 milioni di tonnellate prodotte in un anno. La strada è stata tracciata ma le incognite sono infinite. C’è come detto il rischio di cause con Mittal. Anche ieri Urso ha attaccato il governo Conte: «Nel marzo 2020», ha precisato, «il Governo Conte 2 (ministro era allora il senatore Patuanelli) ha siglato patti parasociali fortemente sbilanciati a favore del soggetto privato, patti che definire leonini è un eufemismo. Nessuno che abbia cura dell’interesse nazionale avrebbe mai acconsentito». Poi c’è l’inchiesta sull’inquinamento e i picchi di benzene che ieri ha portato i carabinieri a prelevare dei documenti in azienda. E il problema con le banche che stavano sostenendo la carenza di liquidità pagando (in cambio della fattura) le ditte dell’indotto e assumendosi il rischio di insolvenza del gruppo, che dopo la rottura con Mittal non vogliono più prendersi. Ma a questo, e anche a qualcosa in più, Ilva è abituata.
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La terza stagione della serie con Paola Cortellesi (Sky, 8 e 15 ottobre) racconta una Petra inedita: accanto alla sua solitudine scelta, trovano spazio l’amore e una famiglia allargata, senza rinunciare al piglio ironico e disincantato.