2024-07-08
La Capua è in ansia per gli effetti avversi. Nei pesci
Ilaria Capua (Imagoeconomica)
Cara Ilaria Capua, le scrivo dopo aver letto il suo editoriale su Sette, il settimanale del Corriere della Sera. Le confesso che sono molto preoccupato: l’eccesso di medicine consumate dall’uomo, infatti, come da lei brillantemente denunciato, «provoca disturbi comportamentali nei pesci». Si tratta di una situazione non più tollerabile: finché qualche essere umano finisce al creatore per un vaccino sperimentale, passi. Finché qualche giovane finisce sulla sedia a rotelle per un’iniezione di Pfizer, chi se ne importa. Finché qualche anziano finisce in coma per un’overdose di pasticche, ce ne facciamo una ragione. Ma il nasello con il disturbo comportamentale, beh, quello no. E la sogliola alterata? E il dentice con il mal di testa? E il branzino con il nervoso? Bisogna intervenire subito. Non c’è tempo da perdere.Meno male che c’è lei, dottoressa, a sollevare il problema. Appena ho visto quel titolo a tutta pagina sui farmaci che «finiscono in mare e alterano il comportamento dei pesci» mi sono buttato nella lettura a capofitto, sapendo che lei ha sempre intuizioni brillanti. Un po’ come quando, in piena pandemia, suggerì di far pagare il ricovero (1.000-2.000 euro a testa) ai non vaccinati nel caso si fossero ammalati. In quel momento, ecco, l’eccesso di medicine con i suoi effetti avversi non la preoccupava nemmeno un po’. Ma per forza: la vaccinazione obbligatoria riguardava gli esseri umani. Mica le trote e le anguille. Che sono il suo vero cruccio, come ci spiega ora: quando i farmaci entrano nel «ciclo dell’acqua» infatti modificano «la biodiversità» e «sono tossici per gli invertebrati». Perciò «dobbiamo consumare meno medicine». Non perché ci uccidono. Macché. Perché «alterano i comportamenti riproduttivi» del merluzzo.Del resto gli animali le sono sempre stati a cuore. Veterinaria, specializzata in igiene e sanità animale, una carriera iniziata all’istituto zooprofilattico, anche quando nel 2013 si è avvicinata alla politica ha cercato di non allontanarsi troppo dalla sua materia preferita: infatti è entrata in Scelta civica, zoo ricco di bestialità. La sua notorietà però è aumentata quando, durante la pandemia, ha cominciato ad occuparsi degli uomini, con fugaci collegamenti dalla Florida su La7 a 2.000 euro a botta: roba che per placare i nervi di Urbano Cairo dopo i pagamenti pare sia stato rovinato un intero branco di salmoni.Ha avuto grande successo anche se ciò che pensa non è sempre chiaro. Su Dagospia, infatti, si è guadagnata il titolo di «senza Capua né coda». Nel febbraio 2020, per dire, strillò che il coronavirus era solo una brutta influenza (anzi: meno di una brutta influenza) e che non bisognava fare allarmismo, poi cominciò lei a fare allarmismo diventando la prima fan di mascherine, lockdown e vaccinazioni forzate. A un certo punto ha ammesso: «La scienza ha fallito», ma subito dopo si è corretta «La scienza ha fatto il suo dovere». Insomma, poche idee, molto confuse. Ma soprattutto redditizie: in due anni (2020-2021) infatti ha scritto ben quattro libri sulla pandemia. Evidentemente i diritti d’autore le stanno a cuore come le triglie. Per la cui stabilità comportamentale ora chiede anche nuovi investimenti in ricerca. Si capisce: le medicine a questo servono. Non a salvare gli uomini, ma i pesci. E i fatturati di Big Pharma.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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