2022-09-27
Il voto rimuove pure gli inamovibili. La Bonino chiede di ricontare i voti
Da sinistra, Carlo Cottarelli, Monica Cirinnà, Roberto Fiano (Ansa)
Tantissimi candidati eccellenti, soprattutto del Pd, rimarranno fuori dal Parlamento. Carlo Cottarelli è stato battuto da Daniela Santanchè, Roberto Fiano da Isabella Rauti. +Europa: «Vogliamo una verifica, esclusi per uno 0,5% in meno».«Cannabis legale e ius scholae. Queste sono le priorità». Le impellenti necessità snocciolate nell’ultimo talk show non hanno convinto gli elettori di Roma centro. La quirinabile Emma Bonino è stata sconfitta da un consigliere comunale di Fratelli d’Italia: Lavinia Mennuni. Niente Palazzo Madama. Lei, però, non demorde. chiede il riconteggio delle schede, sperando di rosicchiare quel decimale che farebbe superare il 3% a +Europa. Comunque andrà, lo strapotere del centrodestra nei collegi uninominali miete illustrissime vittime, salvo eventuali ripescaggi nel proporzionale: paladini dei diritti, scalpitanti tecnici, implacabili tribuni, potentoni vari. La conseguente regola è elementare. Più i trombati hanno tromboneggiato in carriera, più il tonfo si fa sordo. L’elenco pullula dunque di nomi notevoli. Come quello della senatrice dem, Monica Cirinnà. A metà agosto, quando si venne a sapere di una posizione non adeguata ai suoi mitologici trascorsi, la comunità Lgbt si ribellò. Ma lei, nonostante il cuccia gate, non s’è mai abbattuta. Adesso, sconfitta, deve lasciare il proscenio. Non prima però di aver innescato l’ultima, inestimabile, polemica. Mentre ha ancora la scheda tra le dita, deflagra al seggio: «Ho chiesto di metterlo a verbale. La divisione dei registri elettorali per maschi e femmine va superata. È un ostacolo all’esercizio del voto delle persone trans e non binarie che, in questo modo, sono costrette a fare coming out». Ci mancherà. Come l’eterogenea falange piddina sbaragliata in Toscana. Anche il costituzionalista Stefano Ceccanti, dopo furibonde polemiche della base dem, s’era immolato a Pisa, sperando di venir rieletto onorevole: «Nei collegi uninominali la contendibilità è legata al radicamento territoriale, che vale più di qualsiasi altra cosa» trillava. Difatti, stravince il leghista trentenne Edoardo Ziello. Sempre nell’ex Granducato rosso, non è stato riconfermato neppure l’ex capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci: «È probabilmente il risultato più basso del centrosinistra nella storia», ammette mesto. A Livorno, dov’era il favorito della vigilia, perde per mano forzista pure il deputato Andrea Romano. Le urne bocciano pure l’ex governatore toscano, Enrico Rossi: «Le elezioni sono andate davvero male», analizza laconico. Il senatore Emanuele Fiano, figlio di Nedo, sopravvissuto ad Auschwitz, era invece candidato a Sesto San Giovanni, la ex Stalingrado d’Italia. Viene però strapazzato da Isabella Rauti, figlia di Pino, fondatore dell’Msi, che trionfa con il 45%. Uninominale amaro pure per il turboeconomista Carlo Cottarelli: l’alabarda spaziale lettiana viene doppiata, a Cremona, dalla meloniana Daniela Santanchè. In quota Speranza, inteso come Roberto, indimenticabile ministro della Salute, non poteva mancare un televirologo di rango. La scelta, alla fine, è caduta sul’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, ex assessore regionale alla Salute in Puglia. In lizza per il centrosinistra nell’uninominale di Lecce, pure lui viene annichilito da un senatore uscente della Lega, Roberto Marti. Racimola il 24%: la metà del contendente. Non perde però il piglio arcigno e supponente: «Personalmente, nella mia campagna elettorale, non credo di aver sbagliato nulla» commenta umile. E comunque, avverte: «L’opposizione si può fare anche fuori dal Parlamento, con il proprio lavoro e le proprie opinioni». Ecco, appunto: l’indipendenza degli scienziati che abbiamo tanto apprezzato durante la pandemia... Tra le vecchie glorie del centrosinistra, invece, non sono rieletti né Bobo Craxi, figlio di Bettino, candidato in Sicilia, e neppure Pippo Civati, rivoluzionario di ritorno, schierato invano in Emilia Romagna dall’Alleanza Verdi-Sinistra. Tra i cespugli del Partito democratico, il trombato eccellente resta però il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, incompreso fondatore di Impegno civico. Ai 60 temerari che l’hanno seguito dopo la scissione dai 5 stelle, una settimana fa assicurava: «I sondaggi ci danno allo 0,7%. Mi aspetto invece un ottimo risultato, supereremo la soglia del 3%». Gli istituti demoscopici, in effetti, avevano peccato. Quanto a eccesso d’ottimismo, però. Il partitino di Giggino raggiunge lo 0,6%. E il ministro viene battuto a Napoli Fuorigrotta, proprio da un pentastellato: l’ex ministro Sergio Costa.Un collegio inclemente. Mara Carfagna, altra venerata ministra draghiana scissionista, arriva quarta, con il 6,7%. Ora spera nel ripescaggio. I modesti risultati del Terzo polo chiudono invece ogni prospettiva per Teresa Bellanova: presidente di Italia viva, già ministra e senatrice. Un accorato tweet annuncia l’incolmabile perdita di Palazzo Madama: «La mia esperienza parlamentare si ferma qui, ma so bene, me lo insegna la mia storia, che lo spazio per la buona politica è dovunque». Napoli amara anche per il suo ex sindaco: il ribaldo Luigi de Magistris. Unione popolare, velleità radicali e nome mastelliano, si ferma all’1,5%, nonostante gli strepitosi endorsement stranieri: da Jean-Luc Mélenchon, capo dell’estrema sinistra in Francia, a Pablo Iglesias, fondatore di Podemos in Spagna. E non entra in parlamento neppure Gianluigi Paragone: Italexit sfiora appena il 2%. Anche nel trionfante centrodestra, però, si segnala qualche illustre vittima. Come il senatore leghista Simone Pillon. E, a dispetto della spumeggiante campagna, non tornerà in parlamento Vittorio Sgarbi. Viene sconfitto a Bologna da Pier Ferdinando Casini, che l’anno prossimo potrà così tagliare l’inarrivabile traguardo: 40 anni filati da parlamentare. Per convincere i più riottosi elettori del Partito democratico, l’eterno democristianone stavolta ha perfino intonato Bella Ciao: «Una mattina, mi son svegliato...».
Dopo la sconfitta in Calabria, Tridico potrebbe tornare nel dorato europarlamento.
Ansa
Dopo due settimane di proteste, tre morti e centinaia di arresti, re Mohammed VI rompe il silenzio promettendo riforme e lavoro. Ma i giovani chiedono cambiamento vero. Intanto in Madagascar cresce la tensione tra piazza ed esercito.