2018-10-21
Il vescovo tifa sostituzione etnica: «L’Italia senza immigrati sparisce»
Monsignor Perego, a capo della diocesi di Ferrara, definisce il meticciato una «realtà ineluttabile». E aggiunge: «Il nostro Paese muore, servono giovani venuti da fuori per cominciare una nuova storia». Il Tribunale dei ministri di Palermo smonta i teoremi dei pm di Agrigento sulla Diciotti: nella prima parte della vicenda non fu commesso alcun reato. Sulla seconda tranche dell'indagine la palla passa invece alla Procura di Catania, che deve ricominciare da capo.Lo speciale contiene due articoliSe pensate che la sostituzione di popolo sia solo una fantasia complottista, una paranoia razzista, leggete qua: «Il meticciato è una realtà ineluttabile e una risposta alla crisi demografica italiana. La sfida dell'Italia è di conciliare un Paese che muore con dei giovani che vengono da lontano per cominciare una nuova storia. Se chiudiamo le nostre porte ai migranti, spariremo». Parole e musica di Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara ed ex direttore della Fondazione Migrantes. Il monsignore ha espresso le sue vedute, degne del romanzo apocalittico di Jean Raspail, Il campo dei santi, a La Croix, il principale organo di stampa cattolico di Francia, con un passato da acceso foglio antisemita, ai tempi dell'affaire Dreyfuss, che ha evidentemente lasciato strascichi in un certo eccesso di zelo. Rileggiamo, per sicurezza: il meticciato è «inevitabile». Un atto di fede, una certezza quasi metafisica, insomma, uno degli ultimi veri dogma, per certi sacerdoti di osservanza bergogliana (ma qui siamo decisamente più realisti del re, o più papalini del Papa...). Secondo punto: l'Italia è un Paese che muore demograficamente, quindi dobbiamo iniziare una «nuova storia» con un nuovo popolo. Il tono è inquietante e ricorda quel «nuovo inizio» evocato da Mel Gibson nel suo Apocalypto, nuovo inizio sostanziato dalle caravelle che appaiono all'orizzonte alla fine del film. La metafora era evidente: un mondo decadente tramonta mentre dal mare arrivano i portatori di una nuova civiltà. Che però si instaura sulla pelle dei vecchi abitanti, non certo con il loro volenteroso contributo. Il terzo punto è quasi un rompicapo: «Se chiudiamo le nostre porte ai migranti, spariremo». Ma in che modo gli immigrati potranno frenare la nostra sparizione? Ci convinceranno a fare più figli? Evidentemente no. Saranno loro a fare figli al posto nostro. Ma allora l'auspicio risulta mal formulato, perché noi spariremo comunque, mentre gli immigrati verranno semplicemente a prendere il nostro posto. Una sostituzione di popolo, appunto. Ma non è tutto. Perego prova a spiegare che l'invasione è solo percepita: «Su 130.000 abitanti di Ferrara, ci sono 13.000 migranti. La metà di loro vengono da tre Paesi: Romania, Albania e Ucraina». Il che non si capisce cosa provi: 13.000 stranieri in una città di provincia sono forse pochi? Kiev è per caso una cittadina emiliana? «Quando le porte si chiudono, ci si impoverisce e si arriva a ciò che è successo a Macerata», dice ancora il mosignore. Se non che, senza ovviamente voler giustificare in alcun modo il gesto folle di Luca Traini, non si capisce in che modo quel raid possa essere inquadrato in un contesto di «porte chiuse» anziché nel quadro opposto. In chiusura, poi, arriva la perla: «Liberté, égalité, fraternité: queste parole hanno ancora un senso? Se sì, non valgono sicuramente per un piccolo numero di persone, ma per tutti». Curioso riferimento, per un religioso cattolico, quello del motto della Rivoluzione francese. E allora perché non «proletari di tutto il mondo, unitevi»? Ma chi conosce monsignor Perego non si stupirà. Solo qualche settimana fa lo avevamo lasciato insieme ai presidenti di Arcigay e Arcilesbica locali, davanti ai cartelloni pubblicitari della mostra fotografica «NOIdentity - True stories human stories», organizzata per promuovere la non conformità di genere e abbattere l'«intollerante» modello «eteronormativo» che obbliga l'individuo a considerare l'eterosessualità come «normalità» e tutto il resto come perversione. Ancora qualche giorno fa, il prelato non poteva esimersi dal dichiarare, contro il governo, che «limitare il diritto di asilo è una cosa vergognosa e scandalosa. Negare o anche limitare il diritto di asilo mina i fondamenti stessi della democrazia».Un brutto colpo, per i cattolici ferraresi, abituati a monsignor Luigi Negri, predecessore di Perego, nominato nel 2012 da Benedetto XVI. Di Perego, invece, si diceva a che fosse legato a Nunzio Galantino, il principale sponsor ecclesiastico delle porte spalancate. Ma perché Ferrara sarebbe diventata improvvisamente centrale nella geopolitica vaticana? A voler pensar male, si potrebbe pensare a una nomina «riparatoria» rispetto alle rivolte popolari che animarono la frazione ferrarese di Gorino, quando il prefetto decise di piazzare degli immigrati nell'alberghetto del paesino. Un caso che venne dipinto dai soliti giornaloni come la rivolta xenofoba dell'Italia bifolca. La nomina di Perego potrebbe quindi essere interpretata quasi in senso «missionario»: ci sono dei nuovi infedeli da convertire. Ovviamente al verbo immigrazionista.Adriano Scianca<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vescovo-tifa-sostituzione-etnica-litalia-senza-immigrati-sparisce-2613842537.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="linchiesta-sulla-diciotti-e-tutta-da-rifare" data-post-id="2613842537" data-published-at="1760536686" data-use-pagination="False"> L’inchiesta sulla Diciotti è tutta da rifare Nell'inchiesta sul caso della nave Diciotti e sull'ipotizzato sequestro dei migranti rimasti in mare mentre il governo trattava con l'Unione europea è tutto da rifare. Nessun reato è stato individuato dai giudici del Tribunale dei ministri di Palermo che hanno analizzato a fondo la prima parte degli atti consegnata dalla Procura di Agrigento, quella che copre i giorni tra il 15 e il 20 agosto. Sulla seconda tranche dell'indagine, quella che ricostruisce ciò che sarebbe accaduto tra il 20 e il 25 agosto, dovrà indagare la Procura di Catania, competente territorialmente perché la Diciotti il 20 agosto gettò l'ancora nel porto della città ai piedi dell'Etna. L'analisi del Tribunale dei ministri è contenuta in un decreto giudiziario di 60 pagine che accompagna i fascicoli mandati l'altro giorno a Catania. I giudici del Tribunale dei ministri rimettono qualsiasi valutazione di possibili reati (che non individuano) ai magistrati catanesi, che dovranno indagare di nuovo. Ma sottolineano «che la Guardia costiera, cercando una soluzione per lo sbarco a Malta, fece l'interesse del Paese rispetto alle convenzioni da parte dei partner europei». Nei primi giorni di intervento della nave Diciotti al largo di Lampedusa, per il salvataggio dei 190 migranti che si trovavano a bordo di un barcone proveniente dalla Libia, quindi, non solo non sono emersi reati, ma fu difeso meritoriamente l'interesse nazionale dalla Guardia costiera. E infatti il ministro dell'Interno Matteo Salvini ora rivendica: «Sono stati difesi i confini». Poi aggiunge: «La partita giudiziaria non è ancora chiusa, però è un primo passo significativo. In ogni caso, giudici o non giudici, non arretro di un millimetro!». Nel fascicolo dell'indagine nei confronti del ministro dell'Interno, il collegio palermitano presieduto da Fabio Pilato, con a latere i giudici Filippo Serio e Giuseppe Sidoti, divide esattamente in due il periodo sottoposto agli accertamenti investigativi. E questo è il giudizio: dal 15 al 20 agosto ci fu solo un'attività di «pressione diplomatica» nei confronti di Malta, affinché rispettasse i doveri previsti dalle convenzioni internazionali che regolano i flussi migratori, il salvataggio e l'accoglienza. La nave Diciotti in quei giorni fece uno scalo nelle vicinanze di Lampedusa, dove, a bordo di alcune motovedette, furono fatti salire 13 migranti ammalati, accompagnati subito in ospedale per le cure. Gli altri 177, sempre in quella prima fase, stando alle valutazioni dei giudici, non subirono alcun reato, men che meno il sequestro di persona, perché nei primi giorni si stava cercando una soluzione diplomatica per l'accoglienza (che poi non fu trovata). La patata bollente passa ai magistrati di Catania per il periodo successivo, quello che va dal 20 (giorno dell'arrivo della Diciotti nel porto catanese) al 25 agosto (giorno dello sbarco). I giudici del Tribunale dei ministri di Palermo hanno valutato di non poter verificare le condotte che sono di competenza del capoluogo etneo e si sono limitati a effettuare una semplice ricostruzione cronologica dei fatti, ritenendo che sulla posizione di Salvini «ogni opportuno approfondimento», se ritenuto necessario, potrà essere portato a termine lì. A questo punto però si pone anche una questione legata all'ispezione a bordo della Diciotti, della quale si è occupato personalmente il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio che, ora si scopre, non era competente a indagare. Gli atti della Procura di Agrigento, che ha ritenuto che si fosse commesso reato già al momento del negato approdo a Lampedusa (e che ha iscritto il ministro Salvini per le ipotesi di omissioni di atti d'ufficio, abuso d'ufficio, arresto illegale dei migranti, sequestro di persona aggravato dalla presenza dei minori e finalizzato a costringere l'Ue a redistribuire i migranti), sono utilizzabili? Il fascicolo è arrivato da Agrigento a Palermo già completo, compresi gli allegati con gli interrogatori eseguiti dalla guardia costiera nei ministeri e le ricostruzioni sulla catena di comando, che fanno parte della relazione di una cinquantina di pagine stilata personalmente da Patronaggio. Ora i magistrati catanesi, guidati dal procuratore Carmelo Zuccaro (che si è occupato dell'inchiesta sulle Ong), valutata l'utilizzabilità o meno degli atti svolti fuori competenza, potrebbero dover ripartire da zero. Ci sono 90 giorni di tempo per decidere se chiudere il caso con l'archiviazione o se chiedere al Parlamento l'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell'Interno. Fabio Amendolara
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo
Papa Leone XIV (Ansa)
«Ciò richiede impegno nel promuovere scelte a vari livelli in favore della famiglia, sostenendone gli sforzi, promuovendone i valori, tutelandone i bisogni e i diritti», ha detto Papa Leone nel suo discorso al Quirinale davanti al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna sono, nella tradizione italiana, parole che esprimono e suscitano sentimenti di amore, rispetto e dedizione, a volte eroica, al bene della comunità domestica e dunque a quello di tutta la società. In particolare, vorrei sottolineare l'importanza di garantire a tutte le famiglie - è l'appello del Papa - il sostegno indispensabile di un lavoro dignitoso, in condizioni eque e con attenzione alle esigenze legate alla maternità e alla paternità».
Continua a leggereRiduci