2019-01-06
Il Venezuela isolato dal Sud America fa stalking alla piccola Guyana
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Giovedì 10 gennaio Nicolás Maduro giurerà per la seconda volta come presidente del Venezuela. Ma il suo futuro appare sempre più in bilico dopo le recenti condanne al suo regime giunte dal Parlamento di Caracas, controllato dall’opposizione, e dal Gruppo di Lima, un’organizzazione internazionale che riunisce gli sforzi di buona parte dei Paesi americani contro la dittatura bolivariana. E se gli Usa lavorano, in Venezuela come in Siria, a una strategia del disimpegno, il presidente Donald Trump ha scelto di puntare sul Brasile per rispondere a Cina e Russia, che negli ultimi tempi hanno aumentato gli sforzi per accrescere la loro influenza nell’area.Basti pensare a quanto accaduto nelle ultime ore in Perù, dove il Gruppo di Lima ha fatto sapere che non riconoscerà il nuovo governo di Maduro, considerandolo frutto di elezioni illegittime, quelle del maggio scorso. La dichiarazione è stata firmata dai rappresentati dei governi di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucia. L’unico Paese del blocco a sfilarsi è stato il Messico, che aveva firmato tutti i precedenti documenti del Gruppo di Lima, astenutosi per la politica di «non ingerenza» del nuovo presidente Andrés Manuel López Obrador. Il Gruppo di Lima ha invitato il successore di Hugo Chávez a rispettare le prerogative dell’Assemblea nazionale e a trasferirgli, in via provvisoria, il potere esecutivo fino a quando non si terranno nuove elezioni presidenziali democratiche.Ed è sul palcoscenico di Lima che ha fatto il suo debutto internazionale Ernesto Araujo, ministro degli Esteri del nuovo governo di Jair Bolsonaro. Brasilia si è schierata al fianco degli altri Paesi decisi a far fronte comune contro i «regimi autoritari» in America Latina, in particolare Cuba, Nicaragua e Venezuela, quelli definiti poche settimane fa da John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale Usa, i membri della «troika della tirannia». Pochi giorni prima della riunione in Perù, a margine dell’insediamento di Bolsonaro, Araujo aveva incontrato il segretario di Stato Mike Pompeo, al quale aveva garantito la volontà di «lavorare insieme contro i regimi autoritari», come ha riferito il capo della diplomazia statunitense parlando alla stampa dopo il faccia a faccia.Alle parole del Gruppo di Lima hanno fatto seguito quelle di Juan Guaidó, presidente dell’Assemblea nazionale ed esponente del partito Voluntad popular guidato dal dissidente ai domiciliari Leopoldo López. Guaidó ha definito Maduro «illegittimo», aggiungendo che «il 10 gennaio usurperà la presidenza» e che il Parlamento è «l’unico rappresentante legittimo del popolo». Tuttavia, questa presa di posizione per quanto dura sia non ha che un valore simbolico in quanto nel 2016 quando la Corte suprema di Caracas ha dichiarato nulle tutte le decisioni dell’Assemblea.Dura la reazione del governo di Caracas alla decisione del Gruppo di Lima e alle parole del presidente del Parlamento. Il ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza, ha fatto riferimento a una manina statunitense dietro tutte le dichiarazioni dell’organizzazione. Ed è sufficiente un passo indietro di due settimane per comprendere come la battaglia tra Stati Uniti e Venezuela coinvolga anche Cina e Russia. Era, infatti, il 22 dicembre quando la Marina militare di Caracas intercettava la Ramform Tethys, una nave battente bandiera delle Bahamas impegnata in esplorazioni nella zona esclusiva della Repubblica Cooperativa di Guyana per conto della statunitense ExxonMobil (di cui è stato amministratore delegato Rex Tillerson, l’ex segretario di Stato di Washington, predecessore di Mike Pompeo). I rapporti tra Venezuela e Guyana sono peggiorati dalla morte di Chávez e l’avvento di Maduro, che ha riacceso le mire di Caracas, che rivendica oltre metà del territorio attuale sotto l’amministrazione di Georgetown (che, però, con Bolsonaro, può contare su un pesante sostegno del Brasile).Difficilmente le reiterate minaccia venezuelane alla sovranità della Guyana si trasformeranno in una guerra tra i due Stati. Tuttavia, fa notare la rivista specializzata National Interest, siamo davanti a «bullismo» diplomatico il cui obiettivo è Washington, che sta lasciando uscire dai suoi radar la questione caraibica. E di questo disinteresse sono pronte ad approfittare Russia e Cina, i Paesi in prima linea al fianco di Maduro in termini economici e militari. E se davvero una nuova guerra fredda è all’orizzonte, probabilmente passerà anche dall’oro e dal petrolio della Guyana.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)