
Il leghista Matteo Salvini che dalla felpa è passato alla camicia bianca è il primo leader di partito a essere ministro dell'Interno. Sovranista, euroscettico, antitasse, ha tre slogan: padroni a casa propria, chi mi entra in casa gli sparo, la famiglia è una mamma e un papà.Cosa sia successo al milanese Matteo Salvini non è chiaro ma gli ha portato bene. Fino a qualche tempo fa, il quarantacinquenne neosenatore e capo leghista aveva una psicologia elementare che coincideva con la scritta della sua maglietta verde: «Milano. Viverci un onore, difenderla un dovere». Sua massima aspirazione era guidare la città natale. D'improvviso, l'orizzonte si è squarciato. I lumbard gli sono diventati stretti e ha puntato a governare l'Italia. La metamorfosi si è conclusa il primo giugno con il giuramento del governo Conte di cui Salvini è vicepremier (in tandem con il pentastellato Luigi Di Maio) e ministro dell'Interno. Già da mesi aveva sostituito la maglietta verde con la camicia bianca. Non so se lo ingrassi come sostiene Giampaolo Pansa ma è un progresso. Mi auguro adesso che tagli la barba nera da fanatico maomettano. Un aspetto rassicurante è utile al ministro di Polizia che incarna la forza, e anche il lato oscuro, dello Stato. Al momento, Matteo è l'uomo più in auge d'Italia. Lo prova il fatto che tutti gli strali, politici e giornalistici, sono per lui: fascista, populista, razzista, golpista, carnivoro, vivisezionista. A giorni, sarà pure sbirro. La sua è una posizione inedita nella storia della Repubblica. Mai un segretario di partito era stato contemporaneamente ministro dell'Interno. Nella prima veste, potrà riempire le piazze con i suoi se lo desidera. Nella seconda, reprimere le piazze degli avversari se gli conviene. Un potere delicato. Salvini farà bene a tenere la Costituzione sul comodino. Ho incontrato il collega Matteo (è giornalista da 20 anni) una sola volta. Era stato da poco eletto segretario della Lega nel dicembre 2013. Arrivò all'appuntamento per l'intervista, spaccando il minuto. Non ha perciò la sicumera delle mezze tacche che ti costringono all'anticamera. Nell'ora insieme, non mi è mai sembrato il rodomonte che è in tv. Mi sono fatto l'idea del timido-sfacciato. Ha il torto di avere idee controcorrente e averle chiare. Poiché molti gli danno addosso, reagisce. Penso perfino che ne soffra, facendosene una ragione perché gli porta una marea di voti. Oggi, di tutti, è il politico con più consenso popolare. Perciò il meno gradito al Palazzo. Tornando all'inizio: com'è avvenuta la sua metamorfosi? Matteo era il tipico celtico con l'elmo a corna che scandiva, «Napoli merda, Napoli colera». Diventato segretario -dopo le magagne del cerchio magico, di Francesco Belsito, ecc.- era così impregnato di padanità che, al confronto, i due predecessori, Umberto Bossi e Roberto (Bobo) Maroni, facevano la figura di spiriti universali. Entrambi avevano soggiornato a Roma, frequentato salotti e accettato compromessi. A Teo, invece, Roma ha sempre dato l'orticaria. Due volte, eletto deputato, gli era toccato scendere laggiù e ne era fuggito orripilato. Nel 2008, resistette un anno. Nel 2009, esausto, si fece eleggere a Strasburgo. Idem nel 2013, quando, rieletto a Montecitorio, optò di nuovo per il seggio Ue, lasciando la scranna romana a un collega. Anche i rapporti col sud Italia erano limitati e conflittuali. D'estate, andava al mare in Puglia ma finiva sempre per pestare qualche aculeo di riccio e giurare che non ci avrebbe più messo piede. Meridionale era anche la moglie, Fabrizia Ieluzzi, che nel 2003 gli ha dato Federico. Agli inizi ne era innamoratissimo, poi gli è passata, tanto più che erano di idee politiche opposte: lei vicina ad An e lui - come vedremo - sul comunistoide. Andato a carte quarantotto il matrimonio sudista, Matteo ha da allora sempre avuto nordiche nel talamo. Dalla milanese, Giulia Martinelli, gli è nata Mirta che oggi ha 6 anni. Dal 2015, ha una turbinosa liaison con la conduttrice tv, Elisa Isoardi, cuneese. Si sfuggono e si inseguono, fra baci e tradimenti, col che il nostro neoministro è sempre su un chi va là che gli sarà utile nell'incarico. La svolta nazionale è avvenuta nel 2014. La Lega, che aveva appena presa in mano, era agli sgoccioli. Incerto sul da farsi, Teo provò a rinverdire il patriottismo lombardo. Propose un referendum regionale sull'indipendenza della Padania. Se lo filarono in 10 nostalgici delle ampolle del Monviso. Trovarsi alla canna del gas gli dette l'idea: rivolgersi a tutti, compreso l'inguaiatissimo Mezzogiorno, pozzo senza fondo in cui pescare. A fine anno, aveva fondato «Noi con Salvini», lista leghista per il centro e il sud Italia. Cominciò col cospargersi il capo di cenere per le smargiassate del passato. Aveva detto, tra l'altro, in un paese di tifosi: «Il tricolore è solo la Nazionale di calcio, per cui non tifo». Viaggiò in lungo per l'Italia, sopportando stoicamente lanci di sassi e uova. Esultò sui social per i pareggi della Nazionale (vittorie non ne venivano), pianse per le sconfitte e nel 2015, profittando del centenario della Grande guerra, si mostrò in giro col foulard tricolore. Finì per riconciliarsi col centrosud, portando il partito all'attuale secondo posto su un programma, amato o detestato, ma preciso. Sovranista, euroscettico, antitasse e tre slogan: padroni a casa propria, chi mi entra in casa gli sparo, la famiglia è una mamma e un papà. Di ceppo benestante -il babbo era dirigente d'azienda-, Teo poteva diventare un fighetto della Milano da bere, con i soldi che gli uscivano dalle orecchie facendo il trader. Ha scelto, invece, di passare le giornate vestito di verde nei mercatini rionali a distribuire volantini. Dopo le Medie dai preti e il Classico al Manzoni, ha piantato le tende alla facoltà di Storia. Si è affezionato al punto che è lì da 26 anni senza dare esami ma rinnovando l'iscrizione per non gettare la spugna. A traviarlo fu la politica. Nel 1990, il diciassettenne Teo si tesserò nella Lega. S'innamorò filialmente di Bossi, prima di immedesimarsi in Maroni, diradando le preghiere nella parrocchia dei Santi Narbone e Felice, dove era cresciuto tra i boy scout e il campo di pallone. Ebbe diverse fissazioni. Il Leoncavallo, noto centro sociale dove si nutrì di convinzioni marxistoidi, tanto da fondare la corrente leghista dei «comunisti padani». Col tempo sfebbrò. Gli si sono invece accentuate la passione per il Milan e l'antipatia per il suo ex proprietario, Silvio Berlusconi. Intatto è rimasto l'amore per Fabrizio De André. Quando può, organizza pellegrinaggi a Tempio Pausania nella casa dove l'artista fu rapito dai briganti. Dal 1993 al 2004, prima di diventare eurodeputato, Salvini è stato consigliere comunale a 800 euro al mese. Propose nella Metro vagoni riservati alle donne per sottrarle «all'invadenza degli extracomunitari». Rifiutò la mano al presidente Carlo Azeglio Ciampi, dicendogli: «Lei non mi rappresenta». Nel 1999, gettò uova contro il premier ds, Massimo D'Alema, e fu condannato a 30 giorni per oltraggio. Quando capitò a lui di riceverle, definì «disadattati» chi gliele lanciava. Qualunque impegno abbia, caschi il mondo, Salvini fa una capatina all'Avis. È, infatti, un generoso e quasi fanatico donatore di sangue. Nelle emergenze, organizza scambi trasfusionali tra militanti. «Per evitare che sangue padano vada a genti di diverso colore?», gli fu chiesto. «Il sangue ha un solo colore», replicò Matteo, dando garbatamente del cretino a un cretino.
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Il premier al Tg1: «Risponderemo ai rilievi della Corte dei conti». «Sia chiaro che l'obiettivo è fare il ponte sullo Stretto di Messina, che e' un'opera strategica. Sarà un'opera ingegneristica unica al mondo».
«Alla magistratura contabile voglio dire che sono rimasta francamente un po’ incuriosita di fronte ad alcuni rilievi, come quello nel quale ci si chiedeva per quale ragione avessimo condiviso una parte della documentazione via link, perché verrebbe voglia di rispondere “perché c’è internet”. Dopodiché il governo aspetta i rilievi, risponderà ai rilievi, sia chiaro che l’obiettivo è fare il ponte sullo Stretto di Messina, che è un’opera strategica, sarà un’opera ingegneristica unica al mondo». «Noi siamo eredi di una civiltà che con i suoi ponti ha meravigliato il mondo per millenni – ha aggiunto Meloni – e io non mi rassegno all’idea che non si possa più fare oggi perché siamo soffocati dalla burocrazia e dai cavilli».
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2025-10-31
La Cassazione assolve la toga contraria ai dogmi sanitari presa di mira da Renzi e i suoi
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Nel 2023 il giudice Susanna Zanda rigetta alcune querele dell’ex premier: solo allora il Csm la punisce per aver reintegrato una psicologa sospesa nel 2022. Lunedì l’assoluzione.
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Lo ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, subito dopo l’approvazione della riforma della separazione delle carriere al Senato.
«È bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche e razionali che possono meditare contro questa riforma. Ma per l’amor del cielo non si aggreghi – come effettivamente ha già detto, ammesso, e io lo ringrazio, il presidente Parodi – a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo. Questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura». «Mi auguro che il referendum sulla separazione delle carriere venga mantenuto in termini giudiziari, pacati e razionali e che non venga politicizzato nell’interesse della politica ma soprattutto della magistratura. Non si tratta di una legge punitiva nei confronti della magistratura, visto che già prospettata da Giuliano Vassalli quando era nella Resistenza e ha rischiato la vita per liberare Pertini e Saragat».
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