2023-01-02
Il teologo scomodo e i «distillatori d’utopia»
Tanta antipatia preconcetta ha accompagnato, fuori e dentro la Chiesa, l’azione del Papa che affondava il bisturi nel vero dramma del nostro tempo.Quando fu eletto Papa, scegliendo il nome di Benedetto XVI, negli episcopi di mezzo mondo ci fu chi rimase sorpreso, qualcuno felicemente, altri molto meno. Il panzer kardinal, il watch dog della fede, salì al soglio di Pietro durante il secondo giorno del conclave del 2005, al quarto scrutinio, nel pomeriggio del 19 aprile. Cronache giornalistiche mai confermate, né smentite, raccontarono che in quel conclave Joseph Ratzinger contese la candidatura con il cardinale Carlo Maria Martini e poi con il cardinale Jorge Mario Bergoglio. Joseph Ratzinger è stato per oltre 20 anni prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, voluto in quel ruolo da Giovanni Paolo II fin dal 1981, proprio l’uomo che non aveva mai esitato a criticare certe forzature del post concilio Vaticano II, nel 2005 diventava Papa. Un colpo durissimo per quella parte di Chiesa che nel Concilio vedeva una specie di nuovo inizio ancora da portare a termine. Eppure il giovane Joseph Ratzinger era stato in qualche modo parte di quel mondo liberal, infatti, partecipò al Vaticano II come esperto dell’episcopato tedesco, assumendo un ruolo da «equilibrato progressista».Ma lui, confidandosi poi con Vittorio Messori nel celebre Rapporto sulla fede del 1985, dirà che la successiva nomea di conservatore non è stata determinata dal suo cambiamento, ma «sono cambiati loro», intendendo quel mondo di teologi e prelati che hanno fatto di tutto per aggiornare la Chiesa in chiave moderna. Anzi, disse, «ho capito che certa “contestazione” di certi teologi è segnata da mentalità tipiche della borghesia opulenta dell’Occidente. La realtà della Chiesa concreta, dell’umile popolo di Dio, è ben diversa da come se la raffigurano in certi laboratori dove si distilla l’utopia». Uno dei tratti specifici del pontificato di Benedetto XVI sarà proprio la corretta interpretazione del Concilio, ritornando alla lettera dei documenti e abbandonando «ermeneutiche di rottura» che, secondo Ratzinger, nulla hanno a che vedere con la realtà. In questo contesto va letto anche il lungo cammino che Ratzinger cardinale, e poi Papa, ha tentato per riportare nella piena comunione ecclesiale il mondo lefevbriano, la Fraternità sacerdotale San Pio X, comunità fondata dal vescovo francese Marcel Lefevbre nell’immediato post Concilio, in aperto dissenso con un certo tipo di aggiornamento ritenuto non in continuità con la tradizione della Chiesa.Il discorso alla Curia romana del dicembre 2005 è uno dei momenti centrali del pontificato di Ratzinger. I problemi della ricezione del Concilio, disse, «sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro». Una, quella della rottura e discontinuità, ha causato «confusione» e «non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna», l’altra è quella dell’«ermeneutica della riforma», «del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del popolo di Dio in cammino». Intorno a questo concetto chiave del pensiero di Ratzinger si possono trovare le cause di tanta antipatia preconcetta che ha accompagnato, fuori e dentro la Chiesa, l’azione di papa Benedetto XVI.Il motu proprio Summorum pontificum del 2007 è un altro tassello di questa azione tesa a una «riforma della riforma» per riavvicinare la Chiesa alla tradizione. In questo caso l’ambito è quello liturgico, perché il Papa riporta alla luce del sole il cosiddetto vetus ordo, la messa in latino preconciliare, non tanto per accontentare i nostalgici, quanto per riaprire spazi al sacro di fronte alla progressiva banalizzazione dei riti. Peraltro nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia, l’allora cardinale Ratzinger aveva già chiaramente detto come la pensava. La crisi della Chiesa, secondo lui, è innanzitutto una crisi liturgica.Professore finissimo di teologia, probabilmente il più grande teologo cattolico degli ultimi due secoli, Joseph Ratzinger era nato nella Bassa Baviera il 16 aprile 1927, da una famiglia di agricoltori. Fu ordinato sacerdote nel 1951, insieme al fratello Georg, poi avviò la sua carriera di professore, trascorrendo dieci anni, dal dal 1959 al 1969, come insegnante a Bonn, Münster, e Tubinga. Nel 1969, dopo aver preso parte al Vaticano II, divenne professore ordinario di dogmatica e storia dei dogmi all’università di Ratisbona.La città di Ratisbona porta subito alla mente un altro discorso memorabile di Benedetto XVI, parole che nel 2006 ebbero un’eco mediatica enorme, ma furono profondamente fraintese. Mentre Benedetto XVI affondava il bisturi dentro al vero dramma del nostro tempo, il restringimento della ragione nel recinto chiuso del sapere scientifico, si riduceva il suo discorso a un sentimento antislamico. Non si comprese che il recupero di una ragione autenticamente metafisica, cioè aperta al trascendente, è la chiave per inquadrare anche il dialogo con le religioni che aveva impostato Ratzinger, un dialogo fondato soprattutto sugli aspetti culturali, cioè quelli che nascono dalla comune natura umana, senza fraintendimenti e pericolosi sincretismi. Per questo poteva dire, come disse in quel discorso del 2006, che nessuna religione può compiere violenza in nome di Dio, e che agire contro la ragione è contrario alla natura di Dio. Così, in nome di questa ragione si può, anzi si deve, ha sostenuto Ratzinger in diverse occasioni, arrivare a una certa critica della religione, qualsiasi essa sia.Il rapporto fede e ragione (e tra scienza e fede), già espresso nell’enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, pubblicata quando Ratzinger era prefetto della Dottrina della fede, è un altro grande caposaldo del suo pensiero e della sua opera pastorale. In questo contesto si deve segnalare anche il ruolo avuto da Ratzinger come presidente della Commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica pubblicato nel 1992. Vasto è stato il campo di ricerca che ha interessato Joseph Ratzinger lungo tutta la sua vita. Da sempre fermo nella battaglia dei principi non negoziabili, non per questioni politiche, ma per la chiara convinzione che questi sono come il minimo sindacale per l’affermazione di un’antropologia veramente umana, oltreché cristiana.Le dimissioni da papa del febbraio 2013 sono stati l’ennesimo colpo di scena. Una scelta discussa, su cui non si è mai cessato di costruire ipotesi, anche delle più fantasiose, ma per cui lo stesso Ratzinger non ha mai lasciato dubbi circa la totale e piena libertà nell’assumere la decisione. Un gigante del pensiero, un uomo di grande umiltà e semplicità. I suoi detrattori lo definivano come un bieco conservatore, riducendolo a macchietta, mentre i suoi amici a volte lo hanno accusato di non saper governare, fidandosi di personalità che non hanno saputo supportarlo. Ha affrontato come pochi la piaga della pedofilia, ha dovuto subire l’onta di Vatileaks, il tutto godendo di una diffusa cattiva stampa. Rimane la sua lezione, quella di un professore saggio, ma poco ascoltato. Come disse nella missa pro eligendo pontifice del 2005, sono troppi i «venti di dottrina [che] abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore. Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?