2019-11-04
«Il successo della mia Tgr? Più cronaca e meno palazzo»
Il direttore della Testata regionale Rai Alessandro Casarin: «Lo share ci premia perché parliamo di realtà quotidiana. Io leghista? Vado a cena con gli ex Pci. Mai subito alcuna pressione politica».Alessandro Casarin, varesotto di Somma Lombardo e interista doc (anzi, «come diceva l'avvocato Peppino Prisco, prima di tutto anti juventino»), è il direttore della Testata giornalistica regionale, che ha guidato dal 2011 al 2013 e poi, di nuovo, a partire dall'ottobre 2018. Gli ascolti lo premiano. Mentre i telegiornali nazionali, in crisi di share (la settimana scorsa, il Tg1 delle 20 è sceso sotto la soglia psicologica del 20%) sono al centro delle polemiche politiche, con la sinistra che punta il dito contro la Rai «sovranista», quelli regionali, in onda sul terzo canale, tengono botta benissimo. La media dei tg delle 14 si aggira intorno ai 2,3 milioni di spettatori, l'edizione serale è seguita da 2,4 milioni di italiani.Direttore Casarin, a cosa attribuisce questi risultati?«Credo dipendano da una scelta editoriale ben precisa».Quale?«Io ho sempre sostenuto che la nostra stella polare dovesse essere la cronaca».Di che tipo?«Non parlo di una tipologia di cronaca, come la cronaca nera. Intendo l'insieme dei fatti che accadono sul territorio. E che interessano al cittadino».Più fatti e meno... cosa?«Meno convegni, meno bottiglie di acqua minerale sui tavoli, meno teatrino trasferito dai palazzi di Roma ai palazzi regionali e comunali. Più concretezza».I tg nazionali sono percepiti come la voce del palazzo. Quelli regionali come la voce della gente. Anche nell'informazione, è popolo contro élite. Semplifico troppo?«Forse sì. Le spiego: un grande imprenditore che ha inventato la tv commerciale mi ha sempre detto che la televisione è la cosa più semplice da fare».Parla di Silvio Berlusconi?«Sì, l'ho seguito per dieci anni come cronista ad Arcore».E le diceva che la tv è una cosa semplice.«Diceva che per fare tv devi metterti nei panni di tua mamma, che la mattina si alza e deve pensare a cosa darti da mangiare: deve preparare una cosa che ti attiri».Interessante.«Ecco, secondo me la cronaca sul territorio è quello di cui la gente si vuole nutrire».E voi lo «cucinate».«Se poi uno vuole sapere cosa succede nel mondo, ha tanti canali per scoprirlo».Sarà contento Berlusconi di sapere che, non volendo, ha dato una mano alla Rai...«Ah ah ah... È così».Ma allora, nell'era della globalizzazione, in cui quasi in tempo reale scopriamo cosa sta succedendo dall'altra parte del mondo, paradossalmente a essere oscurato è quello che ci tocca più da vicino?«Non direi che sia oscurato».È trascurato?«Diciamo che il locale non trova spazio, soprattutto in Rete».Da cosa dipende?«Le faccio un esempio: io spesso vado a guardarmi Varesenews.it o Bergamonews.it. Temo invece che i cittadini abbiano ancora qualche difficoltà a scendere così “sott'acqua", a cercare sul Web, per abitudine, l'informazione locale».Quindi su Internet manca la «domanda» di locale.«Pensi alla polemica che ci fu, ai tempi della legge Gasparri, sul fatto di mantenere i canali “in fila"».E allora?«Be', banalmente cosa fa uno quando si siede davanti alla tv? Scorre i canali in fila. Di solito non si mette a digitare altre cifre».C'è una fruizione un po' passiva?«Esatto. L'informazione regionale si è innestata in quest'abitudine di utilizzo della tv, per cui a casa si aspettano già che, agli orari canonici, le 7 del mattino, le 14, le 19 e mezzanotte, ci sia il tg».Che differenze vede - differenze rilevanti ai fini dell'informazione - tra l'Italia dei grandi centri metropolitani e quella di provincia?«In realtà per me l'Italia è tutta uguale».Nessuna differenza?«La differenza è questa. Prendiamo l'esempio della Lombardia: tu vai a cercare la notizia locale a Bergamo, a Brescia, a Varese... Non sei abituato a cercarla al Quarto Oggiaro, al Giambellino, al Gallaratese, che sono quartieri milanesi popolati quasi come una provincia lombarda. Ecco cosa manca».Cosa?«Le notizie locali dentro le grandi città».Ovvero, le notizie che vengono dalle periferie, da ciò che è lontano dai palazzi del potere.«Esatto. Noi a volte veniamo accusati di essere romanocentrici, milanocentrici, torinocentrici, perché diamo conto di quello che succede in città, trascurando le periferie».Perché accade questo?«Non ce la fai. Andare fuori dai centri ha un costo».E cosa si può fare per rimediare?«Bisognerebbe aprirsi alle nuove tecnologie e ai reporter di strada».Crede?«Questo però sarebbe un salto non solo generazionale, ma anche editoriale, per cui la Federazione della stampa, quella degli editori e l'Ordine dovrebbero sedersi intorno a un tavolo e fare il punto della situazione. Le dico una banalità».Prego.«Sarebbe utilissimo sfruttare persino Whatsapp».L'app di messaggistica?«Se devi inviare da qualche parte una troupe, hai il giornalista, l'operatore, magari il tecnico delle luci... Invece da uno smartphone giri due minuti di video e poi lo inoltri con Whatsapp».Mi permetta un'obiezione però: se chiunque diventa reporter, non scompare il filtro legato alla professionalità del giornalista? «Infatti il punto è formare, come avviene già alla scuola Rai di Perugia, giornalisti capaci di essere reporter. Tipo quelli che, da diversi anni, realizzano i servizi per Report. Poi non nego che questo comporti alcuni problemi».Quali?«Taglio occupazionale: viene meno la figura del telecineoperatore».Non è poco. Poi?«Si riduce la qualità: il telecineoperatore è specializzato, vede quelle immagini che magari al cronista sfuggono».Chiaro.«Per questo servirebbe un tavolo tra editori, Federazione della stampa e Ordine. D'altronde, aggiungo che molti colleghi, oltre a saper girare, sanno anche montare: possono consegnarti il prodotto già finito».Senta, ma realizzare un tg regionale a volte non è una missione impossibile? Ci sono territori, dalla Valle d'Aosta, alla Basilicata, al Molise, dove - almeno dal punto di vista del giornalista nazionale - non succede niente. Come si fa a fare un notiziario senza notizie?«Eh, lo so... I colleghi delle piccole redazioni infatti andrebbero premiati ancora di più».Fanno il tg con poco materiale.«Lei sa che la durata del tg è di 20 minuti nel Lazio come in Valle d'Aosta. Una grande rivoluzione sarebbe fissare la durata del tg in proporzione al numero di abitanti della Regione».Si può fare?«Il problema è questo: poniamo che il tg Lazio duri mezz'ora e quello del Molise 20 minuti. Negli altri dieci minuti che fai?».Pubblicità?«Eh eh... Ad averla...».In effetti dieci minuti di pubblicità sulla Rai non sono il massimo.«Direi di no».Klaus Davi, commentando i buoni risultati della Tgr, ha scritto che l'informazione regionale è la «quintessenza del servizio pubblico». Condivide?«Pienamente. Di network che fanno informazione nazionale e globale ce ne sono tanti. Ormai chi fa capillarmente informazione sui territori è solo la Rai. E questo giustifica anche il canone».Dice?«Per garantire questo servizio ci servono 750 giornalisti e diverse centinaia di operatori...».Lei ha iniziato la sua carriera, negli anni Ottanta, alla Prealpina, quotidiano del Varesotto. Quell'esperienza come ha influenzato il suo modo di lavorare?«È stata una palestra fondamentale. La domenica mi occupavo di calcio e pallacanestro, inseguendo due squadre. Il lunedì andavo in tribunale. Il martedì andavo in consiglio comunale».Faceva tutto: sport, giudiziaria, politica...«Anche sindacale. La famosa formazione sul campo. Perciò fino a qualche anno fa vedevo con sospetto le scuole di giornalismo».Cioè?«Per cercare le notizie non puoi stare dietro a una scrivania. Devi andare in pronto soccorso a rubare i referti...».Ha cambiato idea?«Be', le scuole si sono rivelate fondamentali soprattutto per insegnare l'uso degli strumenti digitali».Che direbbe a un giovane che sogna di fare il giornalista?«Sii curioso. Non aspettarti di diventare ricco. Ma considera che ti divertirai e sarai pure pagato...».In Rai c'è troppa politica? «Forse questa pressione esisteva nella prima Repubblica. Io in quest'anno di direzione non ho mai ricevuto una telefonata di protesta da un politico per un servizio andato in onda».Quindi le polemiche sulla Rai sovranista sono sovradimensionate?«Io posso dirle che non mi sveglio la mattina temendo che qualche politico mi telefoni. Casomai mi sveglio e penso: “Cavolo, l'Inter ha perso con la Juve"...».È interista?«Interista, ma prima ancora, come diceva l'avvocato Prisco, anti juventino».Ma è vero che lei è vicino alla Lega?«Da giovane ero socialista. Non ho mai fatto politica con la Lega. Secondo me i leghisti si incazzerebbero se mi definissi leghista».Mette le mani avanti?«Ma no. Chiaramente ho le mie amicizie. Come ce l'ho tra ex democristiani ed ex comunisti. Ci vado pure a cena».Con gli ex comunisti?«Anche».Tutti interisti?«No no, vengono pure gli juventini. Però io mi siedo lontano da loro...».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)