2023-04-22
Il sistema dell’emergenza è stato una mangiatoia
Qualcuno nutre ancora dubbi circa la necessità di dar vita a una commissione d’inchiesta sul Covid? Beh, le notizie di questi giorni credo spazzino via qualsiasi esitazione. Parlo ovviamente degli sviluppi che riguardano le indagini avviate dopo le denunce del nostro giornale. Ricordate? In piena solitudine, mentre altri tenevano la contabilità dei morti e reggevano il microfono e anche qualcos’altro all’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, La Verità incominciò a inseguire i soldi. Qualche cosa non tornava nelle maxi-forniture autorizzate dalla struttura del commissario anti-pandemia. Infatti, dietro l’urgenza di fare in fretta e reperire i dispositivi di protezione per contrastare la diffusione del virus, spuntavano strani interessi e ancor più strani intermediari. Il tutto accompagnato da una montagna di soldi erogata con troppa facilità. Soldi pubblici ovviamente, finiti nelle tasche di privatissimi operatori, molti dei quali trasformati dall’epidemia in brasseur d’affaires nel settore della Salute. Con quali competenze? Nessuna, ma con molti guadagni. La storia delle mascherine comprate in Cina da un ex giornalista Rai, Mario Benotti, con provvigioni per oltre 66 milioni incassate da un gruppetto di sconosciuti, incuriosì fin da subito il nostro Giacomo Amadori. Il quale, com’è sua abitudine, non mollò l’osso, ricostruendo le mosse degli improbabili protagonisti della transazione. A distanza di quasi tre anni, le domande che avevamo posto sulla maxicommessa da 1,2 miliardi di euro trovano una parziale risposta. Infatti, i pm della capitale hanno chiesto il rinvio a giudizio per 11 persone, tra i quali lo stesso commissario all’emergenza Covid. Domenico Arcuri, secondo la Procura, deve rispondere di abuso d’ufficio, con l’accusa di aver «intenzionalmente procurato per sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale». Altri funzionari della struttura commissariale sono invece accusati di aver consentito pagamenti prima di aver attestato la qualità delle forniture e la validità dei documenti di accompagnamento. A carico di tutti, tranne Arcuri, c’è poi il traffico d’influenze illecite, per aver individuato e percorso una scorciatoia che consentisse di ottenere l’appalto miliardario. I giudici stabiliranno chi è colpevole e chi no, ma al di là del processo, è evidente che occorre capire come sia stato possibile per una banda di scombiccherati imprenditori intermediare un affare del genere, triangolando una fornitura da 801 milioni di mascherine dalla Cina all’Italia. Non è tutto: sempre a Roma si indaga su un’altra vicenda, quella delle cosiddette mascherine di Nicola Zingaretti. Trecentomila pezzi acquistati dalla Protezione civile della Regione Lazio dalla Union petroli, controllata da un socio del direttore della Protezione stessa. Dispositivi che il titolare di un'azienda fornitrice dell’ente presieduto dall’ex segretario del Pd, sostiene che possano essere gli «avanzi» di un’altra commessa: «Magari su un aereo che arrivava ce n’erano due milioni e mezzo, noi avevamo un contratto per 2,3 milioni e quindi gli abbiamo dato gli avanzi, 300.000 mascherine circa». Avanzi che molto probabilmente sono stati pagati profumatamente, visto che sul conto della società sono arrivati due bonifici per poco meno di 120.000 euro, a un costo unitario piuttosto elevato. A prescindere dal fatto che si trattasse di ciò che era rimasto in magazzino o no, resta anche qui il fatto degli strani passaggi nelle forniture, con intermediari che recitano un po’ troppe parti in commedia. Ovviamente, a spiegare tutto, anche il mancato rispetto delle procedure previste per gli appalti pubblici, c’è l’emergenza, che viene sbandierata in tutti i modi. Ma era proprio impossibile trovare fornitori accreditati e soprattutto evitare di affidarsi a procacciatori improvvisati di mascherine? La domanda finora è rimasta senza risposta. Certo le indagini e, se i magistrati ravviseranno reati, anche i processi chiariranno le responsabilità. Tuttavia, una cosa è certa: chi doveva provvedere ad attuare il piano pandemico, che prevedeva di dotarsi di dispositivi di protezione, non lo ha fatto e poi per ovviare alla mancanza, ha ritenuto che si potesse aggirare le regole, affidandosi a spesso al primo di passaggio, con il risultato di avere speso centinaia di milioni, ma in qualche caso addirittura miliardi, senza alcun rispetto della legge. Vi sembra questioncella su cui si possa chiudere gli occhi, lasciando ogni compito ai magistrati? I pm accerteranno i reati, ma alla politica tocca stabilire come si sia arrivati a tutto ciò. Come, con il sistema dell’emergenza, non soltanto si siano violati diritti costituzionali, ma anche i principi contabili della buona amministrazione. La pandemia non è stata soltanto una tragedia, con conseguente disastro economico a causa dei lockdown, ma a quanto pare anche una gran mangiatoia. E ricostruire il quadro tocca al Parlamento. Per quanto ci riguarda, non smetteremo di occuparcene.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)