
Nel 1993 il geniale Michael Crichton scrisse Rivelazioni, thriller sulle molestie sessuali utilizzate come arma nella lotta feroce per il potere. Esattamente ciò che sta facendo oggi il movimento nato in America. La cui fondatrice ammette: stiamo esagerando.L'editore Einaudi ha da poco mandato in libreria Anatomia di uno scandalo, il thriller dell'inglese Sarah Vaughan che, secondo il Times, «ha anticipato il terremoto che si sarebbe abbattuto sulla nostra società occidentale». Il sisma in questione è quello chiamato Me too. Il romanzo, infatti, racconta la storia di James Whitehouse, giovane e ambizioso politico conservatore, che viene accusato di violenze sessuali da Olivia, ventottenne assistente con cui ha avuto una relazione extraconiugale. Ha scritto bene l'Independent: la Vaughan esamina il (presunto) stupro trattandolo come «un sintomo di un certo tipo di mascolinità tossica che è allevata da privilegi maschili istituzionalizzati». In definitiva, questo sarebbe il romanzo del Me too perché mette in scena, seppure con una scrittura brillante e numerose sfumature, il potere maschile e le sue sopraffazioni. In verità, però, il Me too è qualcosa di molto diverso, e il romanzo della Vaughan non lo racconta affatto. Per capire quale sia la reale natura del movimento che, partito dagli Stati Uniti, ha travolto l'intero Occidente, bisogna cercare l'opera di un altro scrittore. Un genio di nome Michael Crichton, l'uomo che aveva affrontato con grande anticipo sui tempi tutti i grandi temi della nostra epoca: dalle biotecnologie alla rivoluzione digitale, dalla manipolazione del Dna fino, appunto, alle molestie sessuali.Proprio in questi giorni l'editore Garzanti ha deciso di ristampare un libro che era quasi scomparso dagli scaffali, ovvero Rivelazioni, thriller che Crichton scrisse nel 1993 e che l'anno successivo divenne un grande film per la regia di Barry Levinson. Nella versione italiana, il sottotitolo della pellicola, una volta tanto azzeccato, era «sesso e potere». Perché è di questo che parliamo quando affrontiamo il Me too: di un gioco di potere, pure parecchio spietato. Il protagonista di Rivelazioni è Tom Sanders (portato sullo schermo da Michael Douglas) manager di alto livello di una società digitale. Tom è bravo nel suo lavoro, si dà parecchio da fare, ma non vuole comunque trascurare la moglie e i due figli. Quando il lettore lo incontra, è piuttosto teso: la sua compagnia si sta fondendo con un colosso editoriale, e lui si aspetta una promozione. Purtroppo per lui, ottiene ben altro. La compagnia, onde dimostrare apertura mentale e correttezza politica, vuole promuovere una dirigente donna. Così, Tom si trova a lavorare con Meredith Johnson (nel film impersonata da Demi Moore), una donna molto determinata a prendere il comando. A complicare il tutto c'è il fatto che Tom, prima di sposarsi, ha avuto una fugace storia con lei.Meredith vuole arrivare in cima all'azienda, e sulle prime cerca in Tom un alleato. Come? Facendogli delle avances. Meredith si comporta proprio come Harvey Weinstein nei racconti delle paladine del Me too. Comincia con i complimenti, poi passa al massaggio sulle spalle, quindi fa proposte decisamente esplicite. Fa capire a Tom che, se acconsentirà a fare sesso, la sua carriera ne trarrà giovamento. Ma Tom è sposato, ama sua moglie, e non vuole cedere. Si tira indietro, e lì cominciano i suoi guai. Meredith, capendo che non può piegare Tom, decide di schiacciarlo. Dopo aver recitato la parte di Weinstein, assume quella di una delle tante attiviste dei giorni nostri e denuncia il povero Sanders per molestie sessuali. Quale miglior modo per liberarsi di un rivale maschio sgradito? Crichton mostra, prima di tutto, che le donne possono essere predatrici tanto quanto gli uomini e anche di più. Soprattutto, con 25 anni di anticipo, rivela quanto possa essere potente l'arma delle molestie. La vita di Tom Sanders viene distrutta, sul lavoro vive un inferno. Nessuno crede alla sua innocenza, almeno all'inizio. Da quando la psicosi molestie ha avuto inizio, poco più di un anno fa, circa 400 uomini di potere sono stati fatti fuori in questo modo. Con la stessa dinamica mostrata da Crichton nel suo libro. Il Me too è diventato esattamente questo: una spietata lotta per il predominio mascherata da battaglia sui diritti. Se n'è accorta perfino un'attivista americana chiamata Tarana Burke. Sapete chi è? È la fondatrice del Me too, niente meno. È stata lei, quasi dieci anni fa, a utilizzare le due paroline per dare il via a una campagna a sostegno delle donne vittime di violenza sessuale e molestie. Ora, però, si è accorta che la sua creazione ha preso una direzione molto diversa. Tutto è cominciato il 15 ottobre del 2017, quando l'attrice Alyssa Milano, sull'onda del caso Weinstein, invitò via Twitter le donne molestate a scrivere «Me too» sui social. Da allora, però, il movimento ha smesso di occuparsi di chi ha subito violenza. Ha allargato il suo campo d'azione a dismisura, snaturandosi. Ora, ha detto la Burke all'Aspen Ideas Festival, «chiunque cerca di spingere qualunque cosa sotto l'ombrello del Me too». Una battaglia che doveva servire a dare voce alle più deboli si è tramutata in una sterminata collezione di rivendicazioni che poco o nulla hanno a che fare con le molestie e gli stupri, che sono diventati un argomento tra tanti.La Burke ha usato parole caute, ben consapevole di rischiare il linciaggio. Ma il suo messaggio è piuttosto chiaro: il Me too doveva occuparsi di donne molestate, non «di equità salariale, rappresentazione sul posto di lavoro o dinamiche di potere in una cultura misogina». Come a dire: un conto è aiutare chi ha subito una brutalità. Un altro è sfruttare il dramma di alcune per favorire la carriera di altre. Più volte l'attivista ha invitato le sue colleghe a essere «specifiche», spiegando che il Me too è stato creato a beneficio di «milioni di persone che sono sopravvissute alla violenza sessuale. È una cosa molto specifica: violenza sessuale». Solo che la violenza vera e le vittime vere sono state spazzate via dalla scena. Al suo posto, sotto i riflettori, si sono posizionate donne ambiziose, che spesso già partivano da posizioni di privilegio. Donne come la Meredith Johnson raccontata da Micheal Crichton. Una che, quando Tom Sanders la rifiuta, gli promette: «Cazzo, ti ucciderò per questo». E poi passa ai fatti.
Elly Schlein (Ansa)
Nicola Fratoianni lo chiama per nome, Elly Schlein vi vede una «speranza», Stefano Patuanelli rilancia la patrimoniale.
Brutte notizie per Gaetano Manfredi, Silvia Salis, Ernesto Maria Ruffini e tutti gli altri aspiranti (o presunti tali) federatori del centrosinistra: il campo largo italiano ha trovato il suo nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani, ha 34 anni, è il nuovo sindaco di New York, che del resto si trova sullo stesso parallelo di Napoli. La sua vittoria ha mandato in solluchero i leader (o sedicenti tali) della sinistra italiana, che vedono nel successo di Mamdani, non si riesce bene a capire per quale motivo, «una scintilla di speranza» (Alessandro Alfieri, senatore Pd). Ora, possiamo capire che l’odio (si può dire odio?) della sinistra italiana per Donald Trump giustifichi il piacere di vedere sconfitto il tycoon, ma a leggere le dichiarazioni di ieri sembra che il giovane neo sindaco di New York le elezioni le abbia vinte in Italia.
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Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese






