2019-07-21
Morto Borrelli, con Mani pulite fece una rivoluzione
. «Però non ne valeva la pena»
Fu il capo del pool Mani pulite e cercò di tenere dritta la barra dello Stato tra i descamisados della Procura. Con qualche virata. «Io a quello lo sfascio!». È una frase che non avrebbe mai voluto sentire, che i suoi timpani da intellettuale partenopeo della giurisprudenza rifiutavano. E quel contadino molisano impettito come un carrista sovietico sul trattore rosso, che gliela stava buttando lì sulla scrivania, era ancora più lontano da lui nei modi. Non negli obiettivi. Francesco Saverio Borrelli è tutto dentro la smorfia di disgusto che faceva ogniqualvolta era costretto (dalla conversazione, dalla storia) a ricordare la minaccia di Antonio Di Pietro, le cinque parole che fecero passare Silvio Berlusconi da semplice indagato (o imputato) a perseguitato.Un flash, una vita. La vita che quel magistrato minuto ed elegante morto ieri a 89 anni nell'hospice dell'Istituto dei Tumori di Milano avrebbe voluto sommessa, mai da sommossa. Con il sottofondo del pianoforte che suona il Lohengrin, con i passi veloci dalla Procura al Tribunale, con le inchieste ovattate e precise, in punta di diritto, senza sbavature. Argenterie, loden e cappello di feltro. E invece quella vita a un certo punto cambiò, diventò la rivoluzione sudamericana di Mani pulite, e fu abitata - quella vita - da inchieste eclatanti, da azzardi procedurali, da suicidi in carcere, da magistrati scamiciati che andavano in televisione a demolire un decreto del governo, da intoccabili senza mazza da baseball che percorrevano la galleria Vittorio Emanuele a Milano per dimostrare chi comandava, circondati dalla pazza folla. C'era anche lui.Era il terremoto giudiziario che dal 1992 al 1994 spazzò via la prima repubblica e nei cinque anni successivi condizionò la seconda. Era la dittatura del pool al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. E a capo del pool c'era lui. «Se hanno scheletri negli armadi li tirino fuori prima che li scopriamo noi», fu la sua frase più minacciosa al mondo della politica. Silvio Berlusconi rispose così: «Un'affermazione assurda, che presuppone la condanna prima del processo». Al di là delle apparenze, le poche volte che sceglieva di parlare Borrelli non si dimostrava più cauto, più saggio, dei suoi magistrati d'assalto.Si fidava ciecamente di Gherardo Colombo e Francesco Greco, teneva a bada l'irruenza di Di Pietro, rispettava la chirurgica determinazione di Piercamillo Davigo e Ilda Boccassini. E rimase male in silenzio quando il suo vice, Gerardo D'Ambrosio, decise di candidarsi con la sinistra. Sapeva che quel gesto sarebbe stato immediatamente messo in relazione con l'amnesia sulle indagini nei confronti del Pci (Primo Greganti e poco altro) e non approvò. Proprio Greco, procuratore capo a Milano, quindi seduto alla scrivania che fu sua, ieri ha detto: «Era un capo che sapeva proteggere i suoi uomini, una persona che ha fatto la storia d'Italia». Più che un pensiero, una sinfonia confermata dal capo dello Stato, Sergio Mattarella: «Fu un magistrato di altissimo valore, impegnato per l'affermazione della supremazia e del rispetto della legge». E avanti con il De Profundis più dolce. Ma c'è anche chi non vede solo strade lastricate di petali di rose - e a ragione - come Bobo Craxi: «Fu una delle punte di diamante di quello che io considero un colpo di Stato. Comunque pace all'anima sua, la guerra è finita». Nato a Napoli nel 1930, figlio e nipote di magistrati con un nume tutelare come Pietro Calamandrei, entrò in magistratura a 25 anni. Frequentò subito le aule del tribunale di Milano, da dove non sarebbe mai più uscito, se non per andare in pensione, diventare capo dell'ufficio indagini della Federcalcio (nel 2006 gestì lo scandalo di Calciopoli) e poi presidente del Conservatorio di Milano. Amava la musica lirica, suonava il pianoforte e aveva Richard Wagner nel cuore. Davanti alla Morte di Tristano pretendeva il più religioso dei silenzi.Borrelli era un galantuomo che si trovò a far navigare il Bounty senza la cattiveria agonistica del capitano William Bligh. E non seppe impedire gli eccessi, le chiavi delle celle gettate via, le lacrime dei famigliari di chi si era tolto la vita. In ogni caso era quello che dimostrava a un'Italia cafona (le monetine a Bettino Craxi) e smarrita (la paura di una deriva autoritaria) di avere il senso dello Stato. Nella stagione delle tempeste neppure lui fu immune dall'ossessione per Berlusconi. La mascherò, ma non riuscì ad eliminarla. Lo dimostra il famoso avviso di garanzia inviato come il siluro di un U-Boot al Cavaliere nel 1994, mentre quest'ultimo presiedeva la conferenza mondiale contro la criminalità organizzata a Napoli. L'atto era stato autorizzato da lui e innescò la fine del primo governo Berlusconi.A suo favore bisogna dire che la clamorosa popolarità non lo ha mai intaccato. Quella bussola funzionava a meraviglia. E l'unica scivolata, una foto a cavallo con sulla gualdrappa il simbolo della società di Giancarlo Gorrini, inquisito chiave della procura, gli procurò non pochi imbarazzi. Era impagabile quando, da personaggio numero uno della jet society milanese (anche più dello stilista Valentino e Valeria Marini) teneva conferenze stampa nel foyer della Scala la sera della prima circondato da giornalisti adoranti. E tentava di parlare di giustizia prendendo a prestito metafore dell'opera che stava andando ad ascoltare. Come oggi papa Francesco, che utilizza ogni spunto - anche Adamo ed Eva o lo sbarco sulla Luna - per parlare di migranti.Rimane famoso nell'immaginario popolare quel suo discorso del 2002 all'inaugurazione dell'anno giudiziario che si concluse con «Resistere, resistere, resistere, come sulla linea del Piave». Una frase sovranista se letta con i miseri parametri della sinistra di oggi. In realtà un ordine a stringere le file contro il nemico Silvio, la solita spina nel fianco. L'uscita sopra le righe testimonia le rigidità del capo di Mani pulite, i riflessi condizionati come per compiacere il conformismo giudiziario dell'epoca. I più incomprensibili furono contro la famiglia Craxi: il divieto di far rientrare Bettino in Italia per essere curato al San Raffaele e il rifiuto di concedere al cognato Paolo Pillitteri il permesso di andare al funerale del leader socialista ad Hammamet.È morto un protagonista della rivoluzione giudiziaria in un'Italia che, dal punto di vista della corruzione, è cambiata poco. Così poco da indurre qualche anno fa lo stesso Borrelli ad ammettere: «Chiedo scusa per il disastro di Mani pulite. Non valeva la pena buttare all'aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Ultima nota tenuta lunga, fine del concerto. Sipario.
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