
Gli investimenti militari hanno ricadute positive sul mercato. Ma bisogna accelerare.Trasformare la necessità in opportunità. A molti non piacerà, ma li invito a pensare in modo realistico e non illusorio interpretando correttamente il cambio di mondo in atto: il riarmo con obiettivo di superiorità ha lo scopo di dissuadere poteri aggressivi dall’uso della forza. È una necessità. Ma sul piano economico è un costo. E lo è soprattutto per le nazioni europee che per decenni si sono debellicizzate perché protette dall’ombrello di sicurezza statunitense. Ora e nel futuro questo non potrà essere così esteso perché l’America, pur restando prima superpotenza militare nel globo, non ha più la scala né la volontà (causa il costo sociale elevato) per presidiare da sola tutto il pianeta e nemmeno tutta l’alleanza delle democrazie: dovrà concentrarsi su alcuni geoteatri a rischio di diventare caldi e su alcune nazioni con capacità competitrici globali, Cina in particolare senza dimenticare Russia, Iran e Corea del Nord e loro proxy. Il calcolo del costo economico per gli europei non solo per difesa del loro perimetro comune, ma anche per renderli esportatori di sicurezza sia da soli sia come alleati nel G7 e nazioni convergenti, mostra volumi di investimento finanziario tanto importanti da porre un problema di cannoni che riducono il burro. Pertanto mi sembra razionale iniziare la ricerca sia in Europa sia in Italia su come trasformare i cannoni in burro.Da tempo il mio gruppo di ricerca ha studiato l’effetto economico degli investimenti di potenza militare durante la prima Guerra fredda per avere una base storica utile a capire il fenomeno nelle democrazie in relazione ai segnali che anticipano una seconda. In America il trasferimento delle tecnologie militari di punta, pur più o meno degradate, al mercato civile ne ha potenziato in modo decisivo la competitività tecnologica che a sua volta ha reso espansivo il ciclo finanziario indotto: pur lungo mediamente circa 10 anni l’intervallo tra spesa pubblica militare ed esito espansivo nel mercato privato, via trasferimento tecnologico, alla fine la spesa militare stessa (pur con alto livello dissipativo) si è rivelata un enorme stimolo economico con conseguenze di ricchezza diffusa. La stessa analisi sull’Unione sovietica ha mostrato che la produttività sistemica della spesa militare richiedeva un vasto sistema di imprese private come moltiplicatore entro un modello industriale liberalizzato e concorrenziale che però non esisteva nel modello comunista. Un’analisi simile fu fatta dal leader cinese Deng Xiaoping nel 1978 quando iniziò a liberalizzare gradualmente - pur mantenendo il controllo politico del Partito comunista sul processo - l’economia cinese con lo scopo di ottenere potenza militare, ma senza rischiare il collasso economico: ci riuscì. A metà degli anni 90 il Pentagono si rese conto che la Cina nel 2024 sarebbe diventata un competitore dell’America sul piano delle capacità tecnologiche e avviò programmi innovativi. Questi furono rallentati dall’eccesso di spesa militare deviato verso le operazioni contingenti dal portafoglio degli investimenti futurizzanti a causa della guerra contro il terrorismo avviata nel 2001. Infatti ora non è chiaro di quanti «anni tecnologia» la Cina sia rimasta dietro l’America, ma la sensazione è che non siano tanti. In sintesi, l’alleanza delle democrazie ha un problema. Soluzioni? Quella geopolitica migliore sarebbe isolare la Cina, anche staccando la Russia (e Corea del Nord) da essa, ma è ancora solo un tratteggio. Quella diplomatica può tenere sotto soglia l’aggressività cinese, considerando che la Cina soffre di sovracapacità e regressione dello sviluppo ed è pronta a mostrarsi temporaneamente tranquilla per non perdere export, ma non a fermare il movimento espansivo di Pechino, per esempio per la conquista del Sud globale. Pertanto la diplomazia ha bisogno di avere un sostegno più forte sul piano della deterrenza e dissuasione militari. L’America, infatti, si sta concentrando su tale scopo. Ma la Cina ha una strategia di impegno dell’America su fronti multipli - non si pensi che Hamas abbia attaccato Israele nell’ottobre 2023 di sua spontanea volontà senza ordini dall’Iran probabilmente generati da sussurri cinesi - per indebolire via dispersione il potenziale proiettivo statunitense. Per tale motivo realistico l’America preme su europei e giapponesi affinché aumentino le proprie capacità di difesa e di deterrenza dell’alleanza complessiva. Infatti c’è un’ipotesi iniziale di Nato globale, ma ancora lontana con l’eccezione del progetto di caccia di sesta generazione (Gcap) tra Londra, Roma e Tokyo. Per inciso, questo ha probabilità di produrre decine di innovazioni poi trasferibili al mercato civile, in particolare robotica. Semplificando, gli europei devono accelerare.Come? Programmi militari industriali comuni con adeguato livello di investimento non possibile se solo nazionale. Già da decenni ci sono, ma devono essere futurizzati, integrati ed ampliati. Così come dovrà essere futurizzata, integrata ed ampliata una forza militare all domain europea entro la Nato. Da un lato, la confederalizzazione europea è un oggetto remoto e (per me) da valutare con prudenza. Ma, dall’altro, l’integrazione industriale degli europei sul piano militare è una priorità. Che va vista con ottimismo perché ogni nazione ha una sua specialità nel settore - l’Italia spazio, aerei, navi, droni sub - produttiva di vantaggi economici e di capacità complementare per il complesso. Inoltre, ha un’industria civile vasta ed evoluta che potrà moltiplicare la conseguenza economica della diffusione di supertecnologie. Etica? Come padre preferisco vedere i miei figli al sicuro grazie a deterrenza piuttosto che bombardati o impoveriti da debolezza geopolitica. Risponderò a qualsiasi critica. www.carlopelanda.com
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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