2020-12-13
Il report che ha assolto la clorochina: «L’Aifa ha esaminato studi sbagliati»
Il Consiglio di Stato ha dato l'ok al farmaco, convinto da una ricerca che dimostra che i trial sono stati condotti su pazienti già ospedalizzati: tuttavia, quel medicinale è efficace solo se somministrato precocemente a casa.C'è un documento dietro alla decisione del Consiglio di Stato di autorizzare l'uso dell'idrossiclorochina nella cura del Covid. La Verità ha potuto prenderne visione: si tratta di un testo lungo 29 pagine (bibliografia inclusa), datato 7 dicembre 2020 e firmato dal professor Alessandro Capocci, cardiologo e già direttore della Scuola di specialità in Malattie cardiovascolari presso l'Università politecnica delle Marche, dal professor Luigi Cavanna, oncologo e direttore del Dipartimento di oncologia-ematologia dell'Azienda Usl di Piacenza, e dalla dottoressa Paola Varese, oncologa e direttore di Medicina generale del presidio ospedaliero di Ovada. Tre stimati professionisti le cui dettagliate tesi hanno convinto i giudici a ripristinare l'uso «off label» del farmaco, cioè per scopi diversi dai quali è stato inizialmente concepito, cancellando di fatto il divieto espresso lo scorso 26 maggio dall'Agenzia italiana del farmaco.«La decisione dell'Aifa di vietare l'uso dell'idrossiclorochina per la terapia del Covid-19 al di fuori dei trial clinici è inspiegabile, sia considerando i canoni della medicina basata sull'evidenza […] sia richiamandosi a norme decisionali (come quella del principio di precauzione), e norme deontologiche, come quella dell'autonomia decisionale del medico», spiegano i firmatari della Relazione medico scientifica sull'utilizzo dell'idrossiclorochina ai primi sintomi della patologia Sars-CoV-2. L'errore di fondo dell'Aifa sarebbe stata quello di prendere in considerazione studi dei quali gli autori evidenziano «i limiti metodologici e l'irrilevanza in merito al criterio di validità esterna», cioè quello relativo all'applicabilità dei risultati di una ricerca al mondo reale. Come rilevato dallo stesso Consiglio di Stato, il regolatore si sarebbe concentrato su trial condotti «su pazienti in fase già avanzata della malattia e comunque già ospedalizzati oppure, dal capo opposto dello spettro patologico, sulla profilassi preventiva dell'infezione da Sars-CoV-2, ma è pacifico e non è nemmeno qui in discussione che l'idrossiclorochina non svolga alcun effetto in una fase avanzata della malattia, […] allorché si siano sviluppati i sintomi più gravi come la polmonite bilaterale, né svolga alcun ruolo in fase di profilassi». Sempre per usare le parole dei giudici, il problema è un altro, cioè «accertare, invece, se l'idrossiclorochina possa svolgere un efficace ruolo terapeutico in fase precoce di sintomatologia […]con una finestra di attività massima tra zero e sei giorni dall'esordio dei sintomi». Perché, come spiegano gli autori della relazione scientifica, «pazienti che si trovino in stadi diversi rispetto a questa finestra temporale potranno difficilmente giovarsi della somministrazione del farmaco: nello stadio avanzato, in quanto l'idrossiclorochina non ha più un ruolo da svolgere; nella profilassi perché non ne ha nessuno da svolgere». Non è tutto, perché i giudici bacchettano Aifa anche sugli studi eseguiti su setting non ospedalieri, più adatti cioè a valutare l'efficacia del farmaco: quelli citati sono solo due e mostrano «vistosi limiti». Però l'accusa rivolta ai giudici di ficcare il naso in materie estranee alla loro competenza, perorata dai giornaloni nostrani e dai virologi da talk show, si sbriciola sotto i colpi delle motivazioni della sentenza. Viene ribadita nero su bianco l'assenza di dati «certi, univoci, concordanti» e la difficoltà ad acquisire «evidenze sperimentali attendibili, capaci di assicurare una risposta rassicurante, in termini di migliori prove di efficacia clinica, sull'utilizzo del farmaco nei tempi rapidi imposti dalla gravità della situazione». Anzi, i togati ci tengono a precisare che «non compete a questo Consiglio valutare e men che meno decretare l'efficacia terapeutica dell'idrossiclorochina […] proprio per i limiti connaturati al suo sindacato giurisdizionale». Ma una cose è certa, e cioè che «la perdurante incertezza circa la sua efficacia terapeutica ammessa dalla stessa Aifa […] non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare l'irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti in base ad una conclusione».Per chi ha letto le carte il punto dirimente della questione, però, è un altro. «Il garante di una valutazione rischio-beneficio del farmaco relativa al singolo paziente è solo e soltanto il medico che lo ha in cura», scrivono Capucci, Cavanna e Varese. Un principio accolto in toto dal Consiglio di Stato: «La scelta se utilizzare o meno il farmaco, in una situazione di dubbio e di contrasto nella comunità scientifica, sulla base di dati clinici non univoci, circa la sua efficacia nel solo stadio iniziale della malattia, deve essere dunque rimessa all'autonomia decisionale e alla responsabilità del singolo medico». Rimane un tragico dubbio: se Aifa non avesse privato i medici della libertà di cura, restituita loro solo oggi dai giudici, gli eventi avrebbero potuto prendere un'altra piega. «A fronte di oltre sei mesi di esperienza di questa malattia, diverse linee guida uscite hanno sconsigliato vivamente (quando non impediscono ope legis) qualsiasi trattamento domiciliare», scrivono i difensori dell'idrossiclorochina, mentre «emerge chiaramente che i malati tardivamente curati hanno una prognosi peggiore». Tutti a puntare il dito contro la movida, ma per i firmatari «l'elevata mortalità degli ultimi periodi dei malati Covid è verosimilmente collegata a un mancato trattamento precoce della malattia». Un'accusa pesantissima che, se verificata, potrebbe riscrivere la storia della pandemia.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson